Trib. Treviso/3: gli IPAB non possono accedere al sovraindebitamento Trib. Treviso, Sez. II, 12/05/2016

By | 24/12/2019

TRIB. TREVISO, SEZ. II, 12/05/2016

«La L. 3/2012 non è applicabile agli enti pubblici (nella specie un IPAB) poiché con essa il legislatore ha inteso disciplinare situazioni di insolvenza civile non particolarmente complesse, riferibili ai cd debitori ‘deboli’ tra i quali gli enti pubblici non possono essere annoverati.

Inoltre, la specifica disciplina di settore prevista per gli IPAB (nella specie costituita dal D.Lgs. 207/01, dalla L.R. 43/12 e dalla L. 1404/56) costituisce un autonomo sistema liquidatorio incompatibile con la procedura di sovraindebitamento.

Va infine considerato che l’applicazione della L. 3/12 alle IPAB in dissesto comporterebbe una inammissibile ingerenza dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria nella sfera della Pubblica Amministrazione, nonché una illegittima prosecuzione dell’attività dell’ente in contrasto con le norme che ne impongono la soppressione in caso di malfunzionamento.» (Massima non ufficiale)

PREMESSO

– che, con ricorso depositato il 20/12/13, l’Istituto [Omissis] Ipab, ente pubblico avente la finalità di provvederle all’assistenza agli anziani non autosufficienti ed ai disabili, aveva chiesto al Tribunale di Treviso la nomina di un Organismo di Composizione della Crisi ex art. 15 L.27/1/12 n.3 al fine di proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione che componesse la sua grave situazione di sovra indebitamento;

– che, nominato il professionista nella persona del Dott. [Omissis] l’Istituto [Omissis] aveva presentato in data 19/3/l5 una proposta che prevedeva la prosecuzione della propria attività (provvedendo al parziale soddisfacimento dei creditori mediante la liquidazione dei beni del patrimonio disponibile;

– che, ritenuta la ammissibilità del piano presentato, con decreto 19/5/15, veniva concesso termine ai creditori per la espressione di voto entro il 6/7/15 e veniva contestualmente fissata l’udienza al 16/7/15;

– che, in data 6/7/15 veniva autorizza la transazione con [Omissis] spa, creditrice verso Istituto [Omissis] per euro 9.500.000,00 con garanzia ipotecaria iscritta in data 13/5/15 sul compendio immobiliare dell’Istituto [Omissis] sulla base della sentenza del tribunale di Treviso n.864 del 14/4/15;

– che la transazione prevedeva il trasferimento a [Omissis] in parziale soddisfazione del suo credito, della proprietà di una porzione di beni immobili, stimati in euro 2.255.000,00, dietro rinuncia alla ipoteca giudiziale, di talché doveva essere modificata la proposta di piano sulla quale si erano espressi i creditori fino a quel momento;

– che, in data 16/7/15, veniva presentata una nuova proposta che tenesse conto della transazione in questione e veniva assegnato altro termine per la manifestazione del voto sulla nuova proposta entro il giorno 8/9/15 con fissazione di udienza al 24/9/15;

– che, all’udienza fissata per la verifica dei voti, veniva dato atto del raggiungimento della maggioranza prevista dall’art. 11 L. 3/12;

– che, nel termine assegnato per le osservazioni, [Omissis] spa. [Omissis] spa, Banca [Omissis] spa e Banca [Omissis] spa, tutte creditrici dissenzienti, depositavano le loro contestazioni ex art. 12 L. 3/12;

– che, richiesta l’omologazione dell’accordo di. composizione della crisi di sovra indebitamento da parte dell’Istituto [Omissis] veniva fissata l’udienza del 24/11 15 previa acquisizione della relazione definitiva sulla fattibilità del piano;

– che, all’udienza per l’omologazione dell’accordo, [Omissis] spa, [Omissis] spa, Banca [Omissis] spa e Banca [Omissis] spa insistevano per la inapplicabilità della disciplina sul sovra indebitamento nonché per il rigetto della richiesta di omologa;

– che con decreto 9/12/15, veniva omologato l’accordo di composizione della crisi di sovra indebitamento con rigetto di tutte le contestazioni;

– che avverso il predetto decreto, [Omissis] spa, [Omissis] spa, Banca [Omissis] spa e Banca [Omissis] spa avevano proposto la tempestiva opposizione di cui oggi è causa.

Tutto ciò premesso, il Tribunale nella composizione sopraindicata, osserva

I reclami di cui si discute sottopongono al Tribunale la soluzione di identiche questioni, prima fra tutte, quella relativa all’inammissibilità della domanda presentata da Istituto [Omissis] Ipab ai sensi della L.3/12, inammissibilità derivante dalla natura di ente pubblico dell’Istituto, assoggettato allo speciale procedimento di liquidazione previsto dal D. Lgs 207/01 e dalla normativa locale emanato in attuazione del medesimo decreto (L.R. 43/12) nonché alla L. 1404/56 (va ricordato che l’Istituto [Omissis] svolge un servizio di interesse generale, quale è quello di ricovero, assistenza e cura di persone malate e non autosufficienti).

Nel provvedimento impugnato, il Giudice, chiamato a decidere sulle opposizioni delle odierne reclamanti, aveva affrontato la questione sostenendo che ” la legge sul sovra indebitamento ha carattere di chiusura del sistema, ed è quindi applicabile in tutte le situazioni per le quali l’ordinamento non appronta una specifica regolamentazione. Le norme invocate dagli opponenti non prevedono il risanamento dell’ente, ma solo la definitiva eliminazione dal sistema, mediante liquidazione e soppressione.”.

In altre parole il decreto 9/12/15 aveva rigettato le opposizioni sul punto in base a due conseguenziali argomenti:

– la legge sulla crisi da sovra indebitamento è applicabile in tutte le situazioni per le quali l’ordinamento non appronta una specifica regolamentazione, per cui, considerato che tutte le procedure amministrative previste ad hoc dal D.Lgs. 207/01, dalla L.R. 43/12 e dalla L. 1404/56 disciplinano la definitiva eliminazione dal sistema dell’ente, mediante liquidazione e soppressione, ma non prevedono il risanamento, questo può essere perseguito attraverso gli strumenti di cui alla L. 3/12;

– l’obiettivo di risanamento non contrasta con le caratteristiche pubblicistiche dell’ente in quanto la procedura, scelta per volontà dell’ente stesso, non implica alcuna interferenza dell’A.G.O., chiamata ad effettuare solo un controllo di legittimità sulla formazione del consenso e costituisce l’unico strumento per consentire all’ente di risolvere la crisi continuando l’espletamento dei compiti ed obiettivi istituzionale.

Secondo l’impostazione del decreto 9/12/15, dunque, nell’assenza di una apposita disciplina per il risanamento dell’ente pubblico, si realizza il presupposto per l’applicazione della L. 3/12 che, all’art. 6, consente al debitore di fare ricorso alle procedure ivi previste “al fine di porre rimedio alle situazioni di sovra indebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate nel presente capo”.

Questo Tribunale non condivide l’impostazione del decreto qui impugnato e ritiene che le opposizioni siano meritevoli di accoglimento.

Infatti, vari accoglimenti conducono a ritenere l’inammissibilità della legge sulla crisi da sovraindebitamento alle IPAB:

1) sulle finalità della L. 3/12

La disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento è stata varata per la prima volta con il DL 212/11 contenente una regolamentazione organica del fenomeno della crisi delle piccole imprese e delle famiglie introdotta attraverso io strumento del decreto legge per la necessità e l’urgenza derivanti dalla rilevanza sociale della proposta e dalla grave situazione economica in atto nel Paese.

In sede di conversione del DL 212/11, la Commissione Giustizia del Senato e l’Aula avevano approvato un emendamento che andava a sovrapporsi al DDL pendente innanzi alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati di talché, stralciata la proposta in esame, si era preferito concludere l’iter di approvazione del DDL con la L. 3/12, poi modificata con D.L. 18/10/12 n. 179, convertito dalla legge 17/12/12 n. 221, entrata in vigore il 18/1/13, si deduce

Ora, dalla relazione illustrativa al Senato dell’intervento correttivo, si deduce che la voluntas legis era quella di introdurre, in linea con molti altri ordinamenti europei e non, uno strumento di risoluzione della crisi del consumatore – definito come debitore o persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta – e dell’imprenditore non fallibile, soggetti altrimenti privi di un qualsiasi meccanismo negoziale di composizione delle situazioni di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte.

Pertanto, non appare coerente con la volontà del legislatore l’estensione della applicazione alla normativa fino a ricomprendere situazioni del tutto diverse (né può dirsi che l’ente pubblico rientri tout court nella categoria degli imprenditori non fallibili, categoria formata dai soggetti non aventi i limiti dimensionali ex art. 1 lf per i quali non sia prevista una diversa disciplina per la regolamentazione della crisi).

La struttura del procedimento, il limitato controllo giudiziale e lo stesso accostamento tra il consumatore con l’imprenditore non fallibile sono elementi che già di per sé, portano a ritenere come il legislatore abbia inteso disciplinare situazioni di insolvenza civile non particolarmente complesse, riferibili ai cd debitori ‘debolì; del resto, se il legislatore avesse voluto includere gli enti pubblici, lo avrebbe detto espressamente così come ha fatto per l’imprenditore agricolo (cfr. art.7, comma 2 bis, L.3/12).

2) Sui presupposti di applicazione della L.3/12.

Un passaggio del decreto impugnato 9/12/15 afferma: è pacifico che le norme invocate dagli opponenti non prevedono il risanamento dell’ente, ma solo la sua definitiva eliminazione del sistema, mediante liquidazione e soppressione (v. decreto 9/12/15 pag.5).

Ora. contrariamente a quanto appena riportato, questo Tribunale ritiene che non sia affatto pacifico che la disciplina prevista dal D.Lgs. 207/01, dalla L.R. 43/12 e dalla L. 1404/56 non regolamenti il risanamento delle IPAB, ma solo la liquidazione e soppressione.

Innanzitutto, l’art.8, comma 9, L.R. 43/12 prevede una fase di gestione commissariale finalizzata proprio al risanamento dell’ente laddove dispone che le Ipab.possono alienare e acquistare il patrimonio disponibile unicamente con l’autorizzazione della Giunta Regionale, allo scopo di incrementarne la redditività e la resa economica ai fini di un miglioramento economico-gestionale dell’ente. L’istanza di alienazione è corredata con un analitico piano di risanamento risolutivo, riferito alla gestione corrente e allo stato patrimoniale, con i relativi tempi di attrazione.

E pur vero che, in caso di esito negativo di tale fase gestoria, trova applicazione, in quanto richiamata espressamente dall’art 9 L.R. 43/12, la L. 1404/56 finalizzata alla liquidazione e alla conseguente soppressione dell’ente, tuttavia, la mancanza di una apposita ed autonoma procedura finalizzata al risanamento dell’ente, non appare dipendere da un vuoto normativo, ma deve piuttosto ritenersi rispondente ad una ben precisa scelta da parte del legislatore volta a non far proseguire l’attività da parte di quegli enti che abbiano arrecato un danno a carico della finanza pubblica. E che questo sia il fine, risulta dall’art. 1 della L. 1404/56 laddove, nell’introdurre una organica procedura di tipo amministrativo per la soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti, soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessante la finanza statale, afferma tassativamente che tali enti in condizioni economiche di grave dissesto. devono essere soppressi e posti in liquidazione con le modalità’ stabilite dalla presente legge ovvero incorporati in enti similari.

Inoltre, va considerato che all’art. 8 comma 7, L.R. 43/12 è così disposto: “La presenza di una perdita di esercizio nonché la mancata esecuzione del piano di valorizzazione del patrimonio di cui al comma 4 sono presupposti per l’avvio delle procedure di cui all’articolo 3 della legge regionale 16/8/2007 n.23.”; pertanto posto che la norma appena richiamata prevede una procedura destinata ad individuare soluzioni possibili per ricondurre a legalità la situazione dell’istituzione, procedura da svolgersi sotto il controllo della Regione attraverso la nomina di un commissario, appare difficile escludere che tale procedura, ancorché di carattere amministrativo, non sia volta al risanamento dell’ente (cfr. art. 3 L.R. 23/07).

Né può dirsi che l’applicazione alle IPAB della disciplina sulla crisi del sovra indebitamento discenda dal fatto che le procedure di risanamento per esse previste non siano di carattere concorsuale, posto che la regola del concorso è stata espressamente esclusa dal legislatore in caso di enti pubblici ex art. 1 lf con coerente e conseguente preclusione della possibilità per i predetti enti di avvalersi di una procedura concorsuale cosiddetta ‘minoré.

Pertanto, in assenza di una diversa ed espressa disposizione legge 3/12 non può ritenersi applicabile nei casi in cui i soggetti per i quali è disposta un’autonoma procedura di liquidazione.

3) sulla compatibilità della estensione alle IPAB della legge sulla crisi da sovra indebitamento con l’assetto normativa vigente.

Non potendosi prescindere da un coordinamento sistematico con le procedure speciali previste per quegli enti, vanno svolte le ulteriori seguenti considerazioni;

– innanzitutto, l’accordo di composizione della crisi si fonda su un piano che prevede la liquidazione di una parte del patrimonio dell’Istituto [Omissis] nonostante sia fatto divieto alle IPAB di alienare il patrimonio disponibile per eventuali esigenze di equilibrio di bilancio, fatte salve le ipotesi di gestione allegata al bilancio in perdita e l’ipotesi di gestione commissariale ex art.3 L.R. 23/07 nel qual caso l’istanza di alienazione è corredata con un analitico piano di risanamento risolutivo, riferito alla gestione corrente detto stato patrimoniale, con i relativi tempi di attuazione (v. art.8, comma 93, L.R.43/12).

Istituto [Omissis] sostiene che, in assenza di disposizioni, il piano di risanamento previsto dalla normativa regionale può essere coincidente con un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano ex artt. 7 e ss L. 3/12. In realtà, l’affermazione è smentita sia dal carattere residuale della L. 3/12 che non consente opzioni e sia dal fatto che la legge regionale, entrata in vigore dopo la legge sulla crisi da sovra indebitamento del 27/1/12 nonché dopo il decreto legge correttivo del 18/10/12, non ha in alcun modo richiamato l’applicazione di questa disciplina in via alternativa;

– inoltre, va considerato che l’applicazione della L. 3/12 alle IPAB in dissesto comporterebbe una inammissibile ingerenza dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria nella sfera della Pubblica Amministrazione, una illegittima prosecuzione dell’attività dell’ente per contrasto con le norme che ne impongono la soppressione in caso di malfunzionamento nonché una confusione dei ruoli attribuiti alla Regione che, da un lato, è l’ente cui spetta il controllo della corretta gestione del debito da parte dell’IPAB e, dall’altro, partecipa all’accordo di composizione della crisi riconoscendone l’esistenza pur prescindendo da qualsiasi analisi delle cause del danno derivato alla finanza pubblica;

– infine traendo spunto dal dibattito sulla fallibilità o meno delle società in house in dissesto, va considerato che l’orientamento favorevole si fonda sul fatto che perseguire l’interesse pubblico attraverso uno strumento privatistico, quale è la costituzione di una società di capitali avente ad oggetto un’attività propria di un ente locale, comporta per tali società l’assunzione di tutti i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità dei rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità (Cass. 22209/13). Specularmente, nel caso di dissesto di un ente pubblico, la violazione dei principi di uguaglianza e di parità di trattamento si può configurare per effetto della estensione ad un soggetto, che non opera in regime di concorrenza né assume i rischi della propria insolvenza, di un rimedio per il superamento della crisi con facoltà di scelta alternativa rispetto alla procedura prevista per gli enti pubblici a differenza di soggetti privati che non hanno altri rimedi.

Ne consegue che. in accoglimento delle opposizioni al in totale riforma del decreto 9/12/15, la proposta di composizione della crisi presentata ex L.3/12 da Istituto [Omissis] IPAB deve essere dichiarata inammissibile non potendo trovare applicazione la disciplina invocata a tutti quei soggetti per i quali è disposta un’autonoma procedura di risanamento o di liquidazione come disposto sia dall’art.6 sia dall’art.7, comma 2, lett. a) della legge in esame.

Il convincimento espresso rende superfluo l’esame di ogni altro motivo di opposizione.

La particolarità e la novità della questione costituiscono giusti motivi di compensazione.

P.Q.M.

accoglie le opposizioni e, per l’effetto, in totale riforma del decreto 9/12/15, dichiara inammissibile la proposta di composizione della crisi presentata ex L.3/12 da Istituto [Omissis] Ipab con ricorso depositato il 19/3/15;

– compensa le spese tra le parti.

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