Il rilievo (indiretto) della meritevolezza del debitore nell’accordo di composizione della crisi Scarica Trib. Milano, Sez. II, 18/11/2016

By | 18/12/2019

TRIB. MILANO, SEZ. II, 18/11/2016

«La disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento, come parte della dottrina non ha mancato di evidenziare, appare essere in controtendenza rispetto alla scelte operate dal legislatore in materia di concordato preventivo, essendo il tribunale chiamato a più riprese e sotto diversi profili a verificare la meritevolezza del soggetto sovraindebitato.

Lo dimostra la previsione secondo cui l’O.C.C. deve indagare sulle cause dell’indebitamento, sulla diligenza del debitore nell’assunzione delle obbligazioni, sulle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte, sull’attendibilità della documentazione allegata all’atto introduttivo delle procedure, sulla solvibilità del debitore negli ultimi cinque anni e dunque, in sintesi, sulla condotta tenuta dal debitore nel periodo antecedente l’accesso alla procedura.

In questo contesto si colloca anche l’aver imposto al debitore di fornire l’elenco degli atti dispositivi degli ultimi cinque anni, si che l’O.C.C. possa valutarli e l’aver condizionato l’ammissibilità del piano del consumatore, dell’accordo di composizione della crisi e della liquidazione dei beni come prevista dall’art.14 ter della legge, all’accertamento da parte del giudice, senza necessità di sollecitazione alcuna, della mancanza di atti di disposizione patrimoniale di natura fraudolenta posti in essere dal debitore, che, se esistenti, lo rendono immeritevole dei vantaggi che derivano dal buon esito della procedura indipendentemente dalla loro idoneità decettiva.

Lo conferma il fatto che l’esistenza di atti di frode rende inammissibile sia l’accordo, che richiede una manifestazione di volontà da parte dei creditori, sia il piano del consumatore e la procedura di liquidazione dei beni, che non necessitano invece dell’adesione del ceto creditorio.

Sarebbe infatti irragionevole ritenere che la medesima espressione – atti di frode – che ricorre sia nell’art.10 che negli artt. 12 bis e 14 quinquies della legge in esame vada interpretata diversamente a seconda che sia formulata una proposta di accordo o il debitore faccia ricorso ad una delle altre procedure previste dalla medesima legge» (Massima non ufficiale)

Il Giudice [Omissis]

OSSERVA

[Omissis], premesso di versare in situazione di sovraindebitamento in conseguenza delle obbligazioni di garanzia assunte a favore di [Omissis] S.r.l. in liquidazione, società di cui era socio e che è stata dichiarata fallita il 13 ottobre 2015, ha domandato l’omologazione di una proposta di accordo ai sensi dell’art. 9 leg. n.3/2012 che prevede: 1) il pagamento integrale del compenso del professionista designato con funzioni di O,C.C., nella misura pattuita con detto professionista; 2) il pagamento del creditore ipotecario [Omissis] in misura pari ad E 152.000,00 e cioé nella misura massima ricavabile dalla vendita degli immobili su cui insiste l’ipoteca, con degradazione dell’importo residuo del credito al chirografo; 3) il pagamento dei creditori chirografari, divisi in tre classi e cioé in misura del 5,32% i creditori originariamente chirografari, in misura dell’1% i creditori ipotecari degradati (si tratta della sola [Omissis]) e dello 0,05% i titolari di crediti nascenti da contratto di leasing (cioé [Omissis] s.p.a.). Tali pagamenti dovrebbero avvenire esclusivamente grazie ad un finanziamento di E 300.000,00 erogato all’istante da [Omissis] in cambio della cessione all’istituto mutuante dei diritti nascenti da un contratto di consulenza con [Omissis] S.r.l., non essendo invece prevista la liquidazione dei beni e diritti di cui il ricorrente è titolare. Non rientra invece tra i destinatari della proposta [Omissis] in relazione al credito derivante da mutuo ipotecario di E 207.666,76 per il quale il [Omissis] ha pattuito una moratoria di un anno, al termine del quale egli prevede di riprendere i versamenti, fino ad estinzione totale del debito. Al ricorso il debitore ha allegato la documentazione prescritta dall’art. 9 leg. n.3/2012, compreso l’elenco delle spese correnti necessarie al suo sostentamento, stimate, a fronte di un reddito annuo di circa E 140.000 netti, in E 112.969 e l’elenco degli atti dispositivi compiuti negli ultimi cinque anni, dando atto di aver donato alle sue figlie il 19 dicembre 2014 la nuda proprietà di un immobile sito in Milano.

Con il ricorso, inoltre, è stata depositata la relazione del professionista incaricato dei compiti dell’O.C.C. che ha attestato la fattibilità dell’accordo ed ha stimato il valore complessivo del patrimonio del [Omissis] in E 287.000,00 al netto del debito di E 207.666,76 verso [Omissis], titolare di credito ipotecario di primo grado. Il professionista ha stimato in complessivi E 151.201,18 il valore dei beni su cui ha [Omissis] nel mese di febbraio 2016 ha iscritto ipoteca – si tratta dell’usufrutto degli immobili di Milano (tenuto conto del previo soddisfacimento di [Omissis], titolare di ipoteca di primo grado) e di una quota di comproprietà di un immobile in Rapallo -, concludendo perciò per la legittimità della previsione di pagamento di E 152.000 rispetto al credito ipotecario di E 422.601,67 e della degradazione della quota residua del credito al chirografo. Infine, il professionista ha evidenziato che la donazione della nuda proprietà degli immobili di Milano dal [Omissis] alle figlie è oggetto di due azioni revocatorie ordinarie promosse da [Omissis] s.p.a. e [Omissis]. Il 26 luglio 2016 questo giudice, verificata la regolarità e la completezza della documentazione prodotta, ha fissato l’udienza prevista dall’art. 10 leg. n.3 del 2012 e dettato le disposizioni necessarie a dare pubblicità alla proposta ed alla formazione della volontà dei creditori. Il 12 ottobre 2016 il professionista ha informato i creditori dell’approvazione della proposta a maggioranza, indicata nel 63,09% e il 24 ottobre 2016 ha depositato la propria definitiva relazione, dando atto, tra l’altro, delle contestazioni formulate da [Omissis] in ordine all’esistenza di atti di frode, all’asserita erronea determinazione del valore degli immobili di Milano e Rapallo ed alle modalità di computo della maggioranza. In rapporto a tale ultima contestazione, il professionista ha evidenziato che, anche recependo le doglianze di [Omissis], la proposta deve ritenersi comunque approvata da creditori rappresentanti il 60,63% del monte complessivo dei crediti. Sulle contestazioni svolte dal creditore [Omissis], alle quali ha aderito nel corso dell’udienza del 25 ottobre 2016 [Omissis], anch’essa creditrice dissenziente, si è sviluppato pieno contraddittorio con il [Omissis]

Quindi, all’udienza dell’8 novembre 2016, questo giudice si è riservato la decisione.

Per la formazione dell’accordo previsto dall’art. 9 della legge n. 3 del 2012 non è richiesta la maggioranza delle classi, ma l’adesione di creditori rappresentanti il 60% dei crediti, sicché si deve dare atto dell’approvazione della proposta da parte della maggioranza dei creditori. Detta proposta, tuttavia, non può essere omologata ed il decreto pronunciato ai sensi dell’art. 10 leg. n.3/2012 deve essere revocato per la presenza di atti in frode ai creditori. Si è detto che il [Omissis] il 19 dicembre 2014 ha donato alle sue figlie la nuda proprietà di un immobile ad uso abitativo e dei due box annessi, mantenendone l’usufrutto.

Con tale atto egli si è spogliato della posta attiva più rilevante del suo patrimonio, ledendo le aspettative dei suoi creditori. Basti dire che, secondo la stima effettuata dall’O.C.C., il valore dell’immobile oggetto di donazione in piena proprietà è pari ad E 637.500, mentre il valore dell’usufrutto, ovviamente rapportato all’età del ricorrente, nato nel 1947, è di E 286.875 e che ove il creditore [Omissis], titolare sull’immobile di ipoteca di secondo grado, avesse potuto soddisfarsi sul diritto di proprietà e non sul solo usufrutto, il suo credito avrebbe potuto essere quasi certamente soddisfatto per intero.

L’atto è oggetto di impugnativa da parte di due istituti di credito che ne hanno domandato la revoca ai sensi dell’art.2901 c.c. In questa sede, tuttavia, non importa accertare, né vi sarebbero gli elementi per farlo, se tali azioni siano fondate; rilevano, invece, le circostanze antecedenti e successive la stipulazione del contratto ed il negozio stesso nella sua obiettività; in altre parole, occorre accertare se la donazione in esame, oltre ad avere compromesso, in concreto, la possibilità per i creditori (o alcuni di essi) di soddisfarsi in misura maggiore rispetto a quella prospettata in questa sede, sia soggettivamente fraudolenta e dunque posta in essere con la consapevolezza e l’intenzione di arrecare pregiudizio al ceto creditorio.

La lettura degli atti di citazione notificati al [Omissis], allegati dal professionista alla sua relazione e le ulteriori circostanze accertate dal medesimo professionista fanno ritenere che la domanda posta debba avere risposta positiva.

Infatti, la donazione è stata stipulata a dicembre 2014, dopo nove anni dall’acquisto del bene (cfr. l’atto di donazione allegato alla relazione dell’O.C.C.), nello stesso periodo in cui il [Omissis] secondo quanto egli stesso ha riferito, venne a sapere delle irregolarità commesse dall’amministratore di [Omissis] s.r.l., società di cui egli era fideiussore e scoprì dunque che, con molta probabilità, le garanzie prestate sarebbero state escusse. Si legge nella relazione del professionista che nel corso del 2014 i soci non amministratori decisero di esercitare i poteri di controllo previsti dall’art. 2476 c.c. e che “alla fine del 2014 i soci ricevevano dal professionista incaricato una preliminare situazione patrimoniale. Dalla quale risultava una perdita stimata per E 4.794.861. “. Peraltro, essi compresero bene la gravità della situazione, molto diversa da quella che in precedenza era stata loro descritta dall’amministratore, tanto che decisero di informare della scoperta [Omissis] s.r.l., con cui [Omissis] aveva in corso un contratto di concessione ed ebbero con essa una serie di incontri tra dicembre 2014 e gennaio 2015.

Oltre alla significativa coincidenza temporale, è importante notare che la donazione non pare rispondesse ad alcuna esigenza effettiva delle due beneficiarie, poiché non sono entrate in possesso dei beni, di cui il donante si è riservato l’usufrutto e poiché, essendo verosimilmente le sue eredi legittime – il [Omissis] è divorziato dal 1998 – i medesimi beni sarebbero loro prima o poi comunque pervenuti in via ereditaria.

Inoltre, il [Omissis], anche dopo la donazione, ha continuato a pagare per intero le rate del mutuo contratto per l’acquisto dell’immobile, facendosi carico anche della quota – di ammontare pari a circa E 27.500 annui- che dovrebbe gravare sulle nude proprietarie, che pure hanno più di quarant’anni di età ([Omissis] è nata nel 1971 e [Omissis], nel 1973) e sembrerebbero svolgere attività lavorativa (cfr. la reazione del professionista a pag. 18, da cui risulta che il ricorrente è tuttora garante di un finanziamento contratto dalla figlia [Omissis] la quale sta onorando il suo debito, sempre verso [Omissis]).

I creditori aderenti non hanno giudicato tale impegno lesivo dei loro interessi; tuttavia, esso conferma la natura fraudolenta della donazione perché manifestamente ed inequivocabilmente stipulata, forse in modo fittizio, allo scopo di “mettere al sicuro” l’immobile di abitazione del ricorrente, che è anche il bene di maggior valore tra quelli che egli possiede, sottraendolo alla garanzia patrimoniale generica dei creditori.

Il [Omissis] ha contestato la rilevanza dell’atto in questione, invocando in particolare i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di concordato preventivo con riferimento all’art.173 leg.fall. Secondo il ricorrente, l’art.10 della leg. n.3/2012, dove prevede che “all’udienza, il giudice, accertata la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori, dispone la revoca del decreto di cui al comma 1. ” attribuirebbe rilevanza soltanto gli atti diretti ad ingannare i destinatari della proposta, sviando il processo di formazione della loro volontà, situazione che non ricorrerebbe nel caso in esame, poiché nella proposta sarebbe stata fornita ampia e puntuale notizia della donazione. Questa ricostruzione non convince.

La disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento, come parte della dottrina non ha mancato di evidenziare, appare essere in controtendenza rispetto alla scelte operate dal legislatore in materia di concordato preventivo, essendo il tribunale chiamato a più riprese e sotto diversi profili a verificare la meritevolezza del soggetto sovraindebitato.

Lo dimostra la previsione secondo cui l’O.C.C. deve indagare sulle cause dell’indebitamento, sulla diligenza del debitore nell’assunzione delle obbligazioni, sulle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte, sull’attendibilità della documentazione allegata all’atto introduttivo delle procedure, sulla solvibilità del debitore negli ultimi cinque anni e dunque, in sintesi, sulla condotta tenuta dal debitore nel periodo antecedente l’accesso alla procedura. In questo contesto si colloca anche l’aver imposto al debitore di fornire l’elenco degli atti dispositivi degli ultimi cinque anni, si che l’O.C.C. possa valutarli e l’aver condizionato l’ammissibilità del piano del consumatore, dell’accordo di composizione della crisi e della liquidazione dei beni come prevista dall’art.14 ter della legge, all’accertamento da parte del giudice, senza necessità di sollecitazione alcuna, della mancanza di atti di disposizione patrimoniale di natura fraudolenta posti in essere dal debitore, che, se esistenti, lo rendono immeritevole dei vantaggi che derivano dal buon esito della procedura indipendentemente dalla loro idoneità decettiva. Lo conferma il fatto che l’esistenza di atti di frode rende inammissibile sia l’accordo, che richiede una manifestazione di volontà da parte dei creditori, sia il piano del consumatore e la procedura di liquidazione dei beni, che non necessitano invece dell’adesione del ceto creditorio. Sarebbe infatti irragionevole ritenere che la medesima espressione – atti di frode – che ricorre sia nell’art.10 che negli artt. 12 bis e 14 quinquies della legge in esame vada interpretata diversamente a seconda che sia formulata una proposta di accordo o il debitore faccia ricorso ad una delle altre procedure previste dalla medesima legge.

Ciò senza tacere che il disvelamento che nel procedimento di concordato preventivo elide il carattere fraudolento di atti comunque pregiudizievoli per i creditori deve essere pieno, mentre il [Omissis], nel ricorso, in ossequio alla previsione normativa che solo questo gli impone, si è limitato a dar conto dell’esistenza della donazione, la quale emerge come atto fraudolento esclusivamente grazie agli ulteriori elementi conoscitivi acquisiti attraverso la lettura della relazione dell’O.C.C. e solo all’esito di un’operazione interpretativa di tali elementi indiziari, contestata nelle sue conclusioni dal ricorrente.

Diversamente opinando, del resto, come giustamente ha osservato [Omissis], sarebbe davvero facile per un debitore sottrarsi all’adempimento dei propri debiti, spogliandosi dei propri beni o imponendo su tali beni dei vincoli che ne diminuiscano in modo sensibile il valore e quindi formulando ai creditori proposte rapportate all’entità del suo “nuovo” patrimonio. Tanto più che la valutazione di convenienza prevista dal secondo comma dell’art. 12 (“quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell’accordo, il giudice lo omologa se ritiene che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda”) parrebbe essere riferita al possibile risultato della liquidazione dei beni esistenti nel patrimonio del soggetto sovraindebitato al momento del deposito della domanda e di quelli sopravvenuti nei successivi quattro anni ai sensi degli artt.14 novies e undecies e non ai possibili esiti, per il singolo creditore, delle azioni revocatorie intraprese.

P.Q.M.

rigetta il ricorso di [Omissis]

visto l’art. 10 com. 3 leg. n.3/2012, revoca il proprio decreto in data 26 luglio 2016 e con esso il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, di disporre sequestri conservativi o acquistare diritti di prelazione sul patrimonio del ricorrente da parte dei creditori aventi causa o titolo anteriore alla proposta;

ordina la cancellazione della eventuale trascrizione del predetto decreto;

ordina la pubblicazione del dispositivo del presente provvedimento sul sito www.tribunale.milano.it a cura del professionista incaricato delle funzioni di O.C.C.

Documenti & materiali

Scarica Trib. Milano, Sez. II, 18/11/2016

Post pubblicati sino ad oggi

 

 

 

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.