La CEDU condanna l’Italia per violazione della normativa relativa alla tutela dei figli minori di genitori separati CEDU, Sez. I, 10/11/2022, ricorso n. 25426/2020, I.M. e altri contro Italia


Con decisione del 10/11/2022 (su ricorso n. 25426/2020) la Corte europea dei diritti dell’uomo  (CEDU) ha condannato l’Italia al risarcimento del danno non patrimoniale in favore di due figli minori coinvolti in una complessa vicenda di separazione dei genitori in cui, sostanzialmente, lo Stato italiano non ha provveduto in modo tempestivo ed adeguato alla situazione, rendendosi così responsabile della violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

L’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, intitolato ‘Diritto al rispetto della vita privata e familiare‘ dispone quanto segue:

1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Nel caso che qui ci occupa, è interessata la prima parte del primo comma dell’art. 8 e cioè quella che dispone che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare…» e, come detto, secondo la Corte EDU l’Italia ha violato questa parte dell’art. 8 della Convenzione perchè in un caso di separazione, i due figli minori, collocati presso la madre, di fatto e per lungo tempo (tre anni circa) erano stati costretti agli incontri con il padre, persona aggressiva, alcolizzata, tossicodipendente e pericolosa, e ciò senza che i giudici interessati del caso (Tribunale civile da un lato, e Tribunale per i minorenni di Roma dall’altro) riuscissero ad adottare tempestivamente i provvedimenti adeguati.

Si trattava di un caso – certo – complesso, ma come in realtà ce ne sono tanti, in cui la madre aveva sporto denuncia per violenza domestica nei confronti del padre dei suoi bambini; rivoltasi al centro antiviolenza, si era poi rifiugiata con i figli per lungo tempo in una casa famiglia; il Tribunale per i minorenni aveva prescritto gli incontri protetti dei figli con il padre, che tuttavia non riuscivano a tenersi nella forma protetta ma in modalità e in luoghi non adeguati (senza la presenza dello psicologo, ed in luoghi come una biblioteca, una piazza, etc); a questi incontri il padre oltre a manifestare un forte risentimento nei confronti dell’altro genitore, era spesso sprezzante ed aggressivo anche nei confronti degli operatori dei servizi sociali che si sono succeduti nel tempo, tanto che un operatore si era deciso a rinunciare all’incarico ed i successivi arrivavano – addirittura – a chiedere al giudice procedente di autorizzare gli incontri in un locale posizionato al piano terra per poter avere la possibilità di allontanarsi e fuggire all’occorrenza.

In tutto questo, la madre, stante la situazione, ad un certo punto, si era rifiutata di sottoporre i propri figli a questi incontri, con la conseguenza tuttavia che, oltre ad essere sottoposta a procedimento penale a seguito di denuncia del padre per la violazione dell’ordine del giudice,  veniva considerata dal Tribunale per i minorenni ‘genitore non collaborativo’ e ‘genitore ostile’ e dunque le veniva sospesa la responsabilità genitoriale, allo stesso modo del padre; di seguito, poi, il Tribunale civile ordinario le revocava l’affidamento esclusivo dapprima concessole.

La complessa vicenda è durata alcuni anni fino a che, finalmente, sono stati emessi i provvedimenti adeguati e precisamente la sospensione degli incontri padre/figli, il ripristino della responsabilità genitoriale in capo alla madre e l’affidamento esclusivo dei figli in suo favore.

Ora, il caso, come si diceva, è stato alquanto complesso e forse particolarmente ‘sfortunato’ perchè in esso si sono sommati diversi errori o misure totalmente inadeguate da parte dei soggetti coinvolti, che vanno da una sostanziale inefficienza ed inadeguatezza dei servizi sociali ed in generale della struttura che non era riuscita a garantire dei veri incontri protetti padre/figli e che aveva addirittura svelato l’indirizzo segreto della casa famiglia in cui si era rifugiata la madre con i figli per sfuggire alle di lui violenze; ma anche un sostanziale approccio lassista e superficiale dei vari giudici coinvolti (giudici del TM e del TO) che non erano stati in grado di capire la gravità della situazione, malgrado le numerose segnalazioni dei servizi sociali e le contestazioni della madre, e quindi di adottare i provvedimenti opportuni a tutela dei bambini.

Purtroppo la sentenza è particolarmente deludente sotto il profilo della somma risarcitoria riconosciuta a favore dei figli minori (solo € 7.000,00, peraltro senza il rimborso delle spese di lite), ma è invece molto interessante laddove contiene un’approfondita analisi della capacità reattiva del nostro sistema di giustizia di fronte a questo tipo di situazioni.

In particolare, in questa sentenza la CEDU, facendo propria la relazione condotta dal GREVIO (Gruppo di esperte/i sulla violenza contro le donne, organismo indipendente del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul in tutti i paesi che l’hanno ratificata), con stretto riferimento all’Italia considera che il nostro sistema è vincolato al principio dell’affidamento condiviso di cui sostanzialmente fa un’applicazione diffusa, a volte anche a costo di trascurare o addirittura ignorare i casi di violenza domestica denunciati, che rimangono privi di adeguata considerazione e di approfondimento, sacrificando così la concreta tutela dell’interesse del minore.

Testualmente, la sentenza della CEDU afferma che

dall’adozione della legge 54/2006, i tribunali civili italiani sono vincolati al principio dell’affidamento condiviso come soluzione predefinita in caso di separazione o divorzio. I dati ISTAT mostrano che nella pratica l’affidamento condiviso viene applicato in quasi il 90% dei casi.

ed inoltre che

il sistema in vigore, anziché offrire protezione alle vittime e ai loro figli, non è in grado di garantire una protezione adeguata […]. Ciò si ritorce contro le madri che cercano di proteggere i loro figli denunciando la violenza e le espone a una vittimizzazione secondaria.

sino ad arrivare a considerare che

non solo alcuni tribunali civili e alcuni TCU non riescono a individuare i casi di violenza, ma tendono a ignorarli. Quando vengono avviati procedimenti penali paralleli, possono verificarsi situazioni in cui le vittime vengono spinte a ritirare le accuse penali contro l’autore del reato, partendo dal presupposto che la prosecuzione di tali accuse impedisce la pace familiare e l’accordo sulle questioni di custodia e accesso, in nome di principi quali la “disposizione amichevole dei genitori”.
Il GREVIO ha raccolto ampie prove, tra cui numerose testimonianze individuali, che suggeriscono che i tribunali civili spesso impongono alle vittime di incontrare il partner violento, indipendentemente dalla denuncia della vittima e senza un’adeguata verifica e valutazione dei rischi, fino a quando non viene raggiunto un accordo “amichevole”.

Sempre con riferimento all’Italia, la CEDU riporta anche che

il GREVIO nota con estrema preoccupazione che in alcuni tribunali le linee guida sono sostituite da linee guida locali che ignorano gli standard della Convenzione di Istanbul. In generale, il GREVIO teme che le difficoltà incontrate nel soddisfare i requisiti dell’articolo 31 siano la conseguenza dellintroduzione di una riforma giuridica sull’affidamento condiviso che non ha valutato attentamente le persistenti disuguaglianze tra donne e uomini e gli alti tassi di esposizione delle donne e dei minori testimoni alla violenza, nonché i rischi di violenza postseparazione.

Come si comprende, si tratta di critiche al nostro sistema molto gravi e serie ma, purtroppo, pienamente condivisibili e condivise da chi scrive.

Quest’analisi contenuta nella sentenza CEDU qui segnalata si conclude con una vera e propria esortazione del GREVIO affinchè l’Italia corregga il proprio sistema di giustizia in questo settore. Testualmente:

il GREVIO esorta le autorità italiane a prendere le misure necessarie, compresi gli emendamenti legislativi, per garantire che i tribunali competenti siano obbligati a esaminare tutte le questioni relative alla violenza contro le donne nel determinare i diritti di custodia e di accesso.

Documenti & Materiali

Scarica CEDU, Sez. I, 10/11/2022, ricorso n. 25426/2020, I.M. e altri contro Italia

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.