Procura alle liti: le SS.UU. dettano le regole Cass. Civ., SS. UU, 14/03/2016, n. 4909

By | 04/04/2016

Con un’interessante e articolata pronuncia (Cass. Civ., SS. UU, 14/03/2016, n. 4909) le Sezioni Unite si occupano della problematica relativa all’estensione dei poteri conferiti dalla parte al difensore con la procura alle liti, specie nelle ipotesi in cui quest’ultima venga rilasciata in modo essenziale e generico, con formule del tipo «con ogni facoltà», quale quella del caso di specie.

La decisione si discosta dagli orientamenti giurisprudenziali che tendono a delimitare il raggio d’azione del difensore entro i confini formali del testo della procura ad lites, con particolare riferimento alla nota questione della chiamata in giudizio del terzo in garanzia c.d. impropria, circa la quale la Suprema Corte si era a suo tempo espressa opinando, pur con qualche distinguo, per la nullità e/o inammissibilità della chiamata in base all’originaria procura che non prevedesse, almeno implicitamente, l’autorizzazione dell’assistito a procedervi (v., ad es., Cass. Civ., Sez. III, 11/3/1992, n. 2929 o Cass. Civ., Sez. III, 29/9/2009, n. 20825).

Proprio su questo tema, oggi, tornano le SS.UU. con una decisione, come si vedrà, di tenore pressoché opposto rispetto all’orientamento appena ricordato, che contiene anche un’interessante e completa ricostruzione del delicato istituto della procura alle liti.

Il caso

Il caso che ha originato la pronunzia delle SS.UU. oggi in rassegna è il seguente.

Il condominio “X” si aziona in via monitoria nei confronti di due condomini, Tizio e Caio.

Questi ultimi, resistendo alla pretesa del condominio, propongono in via riconvenzionale domanda di risarcimento dei danni derivati alla propria unità immobiliare a causa di infiltrazioni da essi addebitate dall’improvvida esecuzione di lavori di rifacimento del tetto del fabbricato, svolti dalla società “Y srl”, su incarico del condominio “X”, che li aveva appaltati a quest’ultima.

A fronte della spiegata riconvenzionale, il condominio “X” chiama quindi in garanzia (impropria, in quanto domanda fondata su un titolo originario diverso rispetto a quello posto a base dell’originario giudizio) l’appaltatrice “Y srl”, a che quest’ultima risponda nei confronti dei condomini Tizio e Caio per i danni arrecati dalle predette infiltrazioni.

L’appaltatrice “Y srl”, dal canto suo, solleva eccezione di inammissibilità della chiamata in causa per difetto di procura alle liti: la procura rilasciata al difensore del condominio “X”, infatti, a detta dell’appaltatrice terza chiamata, era stata rilasciata a margine del ricorso per decreto ingiuntivo in termini generici, senza specificare, in particolare, la facoltà di chiamare terzi in giudizio.

Soccombente in primo e secondo grado, l’appaltatrice “Y srl” ricorre infine per Cassazione riproponendo l’eccezione.

La Sezione Seconda, investita della questione di cui sopra, alla luce del contrasto interpretativo su punto specifico sollevato dalla ricorrente, rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale intervento delle SS.UU.

Di qui la decisione in commento.

La procura alle liti secondo le Sezioni Unite

Affrontando il tema di specie, le SS. UU, sembrano voler cogliere l’occasione, da un lato, di semplificarne i termini e, dall’altro, di fare chiarezza in modo dettagliato e puntuale sullo stato della giurisprudenza di legittimità in materia.

Ne è derivata un’utile e concreta sinossi circa natura, caratteristiche e limiti operativi della procura alle liti, che può essere sintetizzata come di seguito.

Natura della procura alle liti. Differenza rispetto al contratto di patrocinio

Anzitutto, il Supremo Collegio si occupa di definire la procura alle liti, che è

«l’atto formale con il quale si attribuisce al difensore lo ius postulandi, il “ministero” di rappresentare la parte nel processo»,

ed ha natura di

«negozio unilaterale processuale, formale ed autonomo (…), che investe della rappresentanza in giudizio il difensore».

Essa, dunque, come tale, va senz’altro tenuta distinta

«dal presupposto rapporto c.d. interno, il quale ha fonte nel contratto di prestazione d’opera professionale stipulato tra quest’ultimo e la parte – o chi per essa (…), restando insensibile alla sorte del contratto di patrocinio».

Il contenuto della procura 

Chiarito, dunque, cos’è la procura alle liti, la Corte passa poi ad esaminarne le caratteristiche, partendo dal presupposto che

«la legge non determina il contenuto necessario della procura, limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale (art. 83 c.p.c., comma 2), e a stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati, mentre non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere (art. 84 c.p.c.)».

Dunque, il contenuto della procura risulta di fatto determinato, da un lato, dallo stesso «contenuto del rapporto controverso» e, dall’altro, dal «risultato perseguito dal mandante nell’intentare la lite o nel resistere ad essa». In altre parole, cioè,

«i poteri processuali risultano al difensore attribuiti direttamente dalla legge, con la procura la parte realizzando “semplicemente una scelta ed una designazione”, e non anche un'”attribuzione di poteri”, al cui riguardo la volontà della parte è pertanto “irrilevante”».

In questo quadro, la volontà del mandante finisce con l’assumere rilievo «esclusivamente al fine della eventuale limitazione dei poteri del procuratore derivanti dalla legge».

Per converso, l’ampiezza dei poteri derivanti al difensore deriva in modo sostanzialmente automatico dal rilascio stesso della procura, tanto è vero che a quest’ultima

«in assenza di specifica regolamentazione, si applica la disciplina codicistica sulla rappresentanza e sul mandato, avente carattere generale rispetto a quella processualistica»,

ivi compreso, dunque

«il principio generale posto all’art. 1708 c.c. secondo cui il mandato comprende tutti gli atti necessari al compimento dell’incarico conferito».

Quel che il difensore può fare in base alla procura alle liti

Premesso ciò, la Corte elenca tutta una serie di attività che la giurisprudenza ritiene legittimamente esperibili dal difensore in base alla procura alle liti, del tutto indipendentemente da specifiche previsioni in essa contenute (e salva, per converso, la possibilità dell’assistito di limitarne espressamente l’estensione).

Così, anche in presenza di «procura ad litem di contenuto scarno e generico», si è ritenuto rientrante nella discrezionalità tecnica del difensore:

  • «impostare la lite e scegliere la condotta processuale più rispondente agli interessi del proprio rappresentato»;
  • «proporre tutte le domande comunque ricollegabili all’oggetto originario»;
  • «fissare con le conclusioni definitive il thema decidendum»;
  • «modificare la condotta processuale in relazione agli sviluppi e agli orientamenti della causa nel senso ritenuto più rispondente agli interessi del proprio cliente»;
  • «compiere, con effetto vincolante per la parte, tutti gli atti processuali non riservati espressamente alla stessa, come ad esempio consentire od opporsi alle prove avversarie e di rilevarne l’inutilità (…), rinunziare a singole eccezioni o conclusioni, ridurre la domanda originaria e rinunziare a singoli capi della domanda, senza l’osservanza di forme rigorose».

Quel che il difensore non può, invece, fare

Dunque, secondo lo schema logico fatto proprio dalle SS.UU. e sopra riassunto, il difensore, nell’ambito del giudizio per cui è stato officiato, può compiere la più ampia gamma di attività in base alla procura “pura e semplice”, per quanto sinteticamente essa possa essere stata rilasciata.

Quel che, viceversa – sempre seguendo le SS.UU. – il difensore non può fare è esorbitare dai limiti del giudizio, cioè ad esempio

  • «effettuare atti che importino disposizione del diritto in contesa, come transazione, confessione, rinuncia all’azione o all’intera pretesa azionata dall’attore nei confronti del convenuto, rinunzia agli atti del giudizio»;
  • «introdurre una nuova e distinta controversia eccedente l’ambito della lite originaria»;
  • utilizzare la procura alle liti «per un rapporto litigioso soggettivamente e oggettivamente diverso da quello per il quale è stata rilasciata».

Il principio base e i casi particolari

Dunque il difensore, in base alla procura alle liti ricevuta dal proprio assistito e indipendentemente dal suo contenuto (salva l’«eventuale limitazione in base alla volontà della parte» che la conferisce) può comunque «proporre tutte le domande che non eccedano l’ambito della lite originaria».

Il che costituisce il principio “base” posto dalle SS.UU. nella materia in esame, posto il quale il Supremo Collegio si occupa di esaminare tre casi particolari in cui l’attività del difensore sembra esorbitare dall’ambito della lite originaria, con i correlativi dubbi di ammissibilità: si tratta delle ipotesi della domanda riconvenzionale, dell’appello incidentale e della chiamata in causa di terzo in causa.

Domanda riconvenzionale e appello incidentale

Quanto alle prime due ipotesi appena elencate – domanda riconvenzionale e appello incidentale – le SS.UU. si limitano a ribadire le conclusioni già raggiunte in materia da precedenti arresti giurisprudenziali.

La domanda riconvenzionale

Così, in tema di domanda riconvenzionale, il Collegio rammenta il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale

«il mandato ad litem, anche quando sia conferito in calce alla copia notificata della citazione, attribuisce al difensore la facoltà di proporre tutte le difese che siano comunque ricollegabili all’originario oggetto della causa, e quindi anche la domanda riconvenzionale, atteso che quest’ultima, anche quando introduce un nuovo tema di indagine e mira all’attribuzione di un autonomo bene della vita, resta sempre fondamentalmente connotata dalla funzione difensiva di reazione alla pretesa della controparte».

L’appello incidentale

D’altro canto, circa la possibilità di proporre appello incidentale, le SS.UU. ricordano un proprio precedente (Cass. Civ., SS.UU., 14/9/2010, n. 19510) con il quale esse avevano riconosciuto tale facoltà al difensore, in quanto, come si è già sopra ricordato,

«la facoltà di proporre tutte le domande ricollegabili all’interesse del suo assistito e riferibili all’originario oggetto della causa è attribuita al difensore direttamente dall’art. 84 c.p.c., e non dalla volontà della parte che conferisce la procura alle liti, rappresentando tale conferimento non un’attribuzione di poteri ma semplicemente una scelta ed una designazione, con la conseguenza che la natura dell’atto con il quale od all’interno del quale viene conferita, o la sua collocazione formale, non costituiscono elementi idonei a limitare l’ambito dei poteri del difensore».

La chiamata in causa propria e impropria

Più complessa, invece, la problematica della chiamata in causa, ipotesi in cui il Supremo Collegio opera un distinguo tra chiamata in causa c.d. propria,

«che si ha quando la causa principale e quella accessoria abbiano lo stesso titolo, ovvero quando ricorra una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande (…) onde sollevare il proprio assistito dall’eventuale soccombenza nei confronti dell’attore (…) o comunque per esigenze difensive»

e chiamata in causa c.d. impropria

«che si ha quando il convenuto tenda a riversare su di un terzo le conseguenze del proprio inadempimento in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale, ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto (…) perché risponda in suo luogo, oppure venga condannato a rispondere di quanto sia eventualmente tenuto a prestare all’attore».

Così, mentre nel primo caso (chiama c.d. propria), le SS. UU, rilevano il tendenziale riconoscimento giurisprudenziale al difensore della possibilità di procedervi in base «ad una normale e generica procura originaria» e ciò in quanto

«allorquando il convenuto per risarcimento di danni abbia conferito il mandato alle liti “con ogni più ampia facoltà di legge”, ed abbia subito indicato quale unico responsabile un terzo, deve ritenersi che la sua reale volontà sia stata quella di conferire al patrono non solo il potere di chiamare in causa il terzo per soddisfare l’esigenza di difesa rispetto alla domanda risarcitoria dell’attore, ma anche il potere di proporre nei confronti del terzo la domanda di risarcimento dei danni, e ciò al fine evidente di conseguire, in un unico processo, la decisione su tutte le pretese»,

in caso di chiamata c.d. impropria si è, viceversa, spesso

«ravvisato necessario il conferimento espresso al difensore (anche) del relativo potere, se del caso mediante nuova procura, in calce o a margine della citazione in chiamata»,

salva l’ipotesi in cui

«siffatto potere risulti implicitamente evincibile dal contesto dell’atto cui essa accede; che dall’atto contenente la procura originaria emerga cioè la chiara espressione di volontà della parte di autorizzare il difensore (anche) alla chiamata in garanzia impropria».

L’ impostazione di SS.UU. 4909/2016

Ebbene, le SS.UU in rassegna – precisato che l’ipotesi della chiamata in causa c.d. impropria non deve confondersi con quella della «chiamata del terzo responsabile, indicato dal convenuto come l’effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall’attore», in cui non si è in presenza di una chiamata in giudizio in senso tecnico, verificandosi l’estensione automatica della domanda al terzo chiamato, indicato dal convenuto come il vero legittimato – ritengono di estendere ulteriormente le potestà del difensore discendenti direttamente dalla procura.

Ad avviso del Consesso, infatti, se è vero che

«i poteri del difensore discendono direttamente dalla legge, la procura valendo solamente a realizzare la scelta e la designazione dell’avvocato e a far emergere la relativa (più o meno ampia) eventuale limitazione in base alla volontà della parte»,

ne deriva

«che la procura, ove risulti come nella specie conferita in termini ampi e comprensivi (“con ogni facoltà”), in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale idonea a dare attuazione ai principi di tutela del diritto di azione e di difesa nonché di economia processuale (artt. 24 e 111 Cost.) deve intendersi come idonea ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le azioni necessarie o utili per il conseguimento del risultato a tutela dell’interesse della parte assistita»,

ivi compresa, pertanto, concludono le SS.UU.,

«l’azione di garanzia c.d. impropria, volta come detto a salvaguardare l’interesse della parte mediante la chiamata in causa del terzo, perché risponda in suo luogo o venga condannato a tenerla indenne di quanto risulti eventualmente tenuta a prestare all’attore».

Conclusioni e schemi riepilogativi

Concludendo, dunque, le SS. UU ampliano ulteriormente gli spazi di operatività della procura alle liti “generica”, estendendoli, di fatto, sino al massimo limite concepibile in base al contenuto della procura (che, come più volte ricordato, ha pur sempre ad oggetto una specifica res litigiosa e non altro).

E, nel compiere tale operazione interpretativa, esse offrono un riepilogo strutturale completo delle più recenti acquisizioni giurisprudenziali in tema, che vale la pena riepilogare schematicamente.

 

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Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

One thought on “Procura alle liti: le SS.UU. dettano le regole Cass. Civ., SS. UU, 14/03/2016, n. 4909

  1. Marco Pepe

    Ottimo lavoro del Collega Avv. Luca Lucenti.
    Il contenuto della procura difatti è tuttora nebuloso, la legge non offre un “modello” che va dunque elaborato dalla prassi e giurisprudenza.
    Marco Pepe

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