Il caso concreto, come si ricava agevolmente dalla lettura del precedente oggi in esame, è quello di un noto magistrato espulso dalla magistratura per ragioni che hanno occupato a lungo le prime pagine dei giornali nazionali.
Ma al di là del caso specifico da cui muove la sentenza che qui segnala (Cass. Pen., Sez. VI, 04/10/2022, dep. 22/11/2022, n. 44436) sono interessanti i principi in essa affrontati.
In particolare, l’imputato aveva ricusato due componenti del collegio giudicante del Tribunale dinanzi al quale era tratto a giudizio, per il fatto che essi erano aderenti all’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), e cioè l’associazione dalla quale egli era stato escluso a suo tempo e che aveva dichiarato la propria intenzione di volersi costituire parte civile in quel procedimento penale.
Secondo l’imputato (che propone ricorso alla Corte di Cassazione contro il provvedimento della Corte d’appello che aveva rigettato la sua istanza di ricusazione) le ragioni di ricorso consistono in un sostanziale dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 37 cpp che non consente, neppure sulla base di un’interpretazione analogica, di ricomprendere tra le ipotesi di ricusazione anche quella prevista dall’art. 36, lett. h) cpp delle «gravi ragioni di convenienza», ipotesi invece prevista per la facoltà di astensione del giudice; nel sostanziale interesse degli iscritti ad ANM, e dunque dei due giudici che compongono il collegio giudicante, all’accoglimento dell’azione risarcitoria che l’associazione stessa eserciterà in quel procedimento (a suo giudizio la sua condanna al risarcimento del danno in accoglimento dell’azione civile di ANM si tradurrebbe in un vantaggio economico sia dell’associazione che dei suoi iscritti, sotto il profilo dei servizi e delle prestazioni di natura economica che l’appartenza all’associazione garantisce ai suoi iscritti, come, ad esempio, la sottoscrizione di convenzioni per il trasporto o assicurative; la remunerazione di consulenti incaricati di seguire problematiche stipendiali o comunque di natura strettamente sindacale, etc.); e la sostanziale coincidenza tra l’interesse morale di cui si è fatta portarice la costituenda parte civile ANM nel procedimento a carico dell’imputato-ricorrente, e la condivisione dei medesimi principi da parte dei magistrati giudicanti ed iscritti all’associazione medesima, coincidenza idoena a porre in dubbio l’imparzialità dei giudici medesimi.
Sotto quest’ultimo profilo l’imputato-ricorrente ha anche chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per ritenuto contrasto con l’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali.
Con la sentenza 04/10/2022, dep. 22/11/2022, n. 44436, che qui si segnala, la Sezione VI, della Corte di legittimità respinge il ricorso con i suoi specifici motivi e conferma la decisione della Corte d’appello.
In particolare, sul primo punto (quello della stretta interpretazione delle cause di ricusazione del giudice), la Corte premette che
sussiste una consolidata giurisprudenza che esclude qualsivoglia applicazione estensiva delle cause di ricusazione, sul presupposto che i casi di ricusazione sono tassativamente indicati dall’art. 37 c.p.p. e tra questi non è richiamato l’art. 36, lett.h), c.p.p. (Sez.6, n. 2902 del 10/7/1995, Rv.202329; Sez.3, n. 42193 dell’1/20/2003, Urbini, Rv. 226693; Sez.1, n. 12467 dell’11/3/2009, Cariolo, Rv.243562; Sez.1, n. 30033 dell’11/09/2020, Bilancia, Rv. 279732).
E la Corte osserva come la necessità di tipizzare i casi di ricusazione sia direttamente collegata alla salvaguardia del principio della precostituzione del giudice, avente parimenti rilievo costituzionale ex art. 25 Cost, e come l’istituto della ricusazione, pur finalizzato alla concreta attuazione del principio di imparzialità, costituisce una deroga al dovere di ius dicere, che il magistrato assume entrando a far parte dell’ordine giudiziario, pertanto, le ipotesi in cui il giudice è esonerato da tale dovere, in quanto eccezionali, sono necessariamente tipiche e tassativamente predeterminate dal legislatore, senza alcun margine di discrezionalità.
Passando alle altre questioni sollevate, che costituiscono il tema centrale del ricorso e, cioè, se magistrati iscritti all’ANM siano o meno portatori di un interesse coincidente con quello dell’associazione, che li renda incompatibili a giudicare nel processo in cui quest’ultima intende costituirsi parte civile, la Corte di Cassazione concorda con la Corte di appello che ha esaminato l’eventuale sussistenza di un “interesse” dei magistrati iscritti all’ANM escludendone la ricorrenza sia sotto il profilo prettamente economico che morale.
In particolare, ritiene che l’eventuale condanna al risarcimento dei danni dell’imputato-ricorrente in favore dell’ANM non si risolverebbe in un vantaggio patrimoniale per i singoli iscritti, perchè l’accrescimento patrimoniale dell’associazione non determinerebbe in alcun caso, neppure nell’ipotesi di teorico scioglimento della stessa, un accrescimento del patrimonio dei singoli associati.
Sul punto la Corte evidenzia come l’interesse che può far dubitare dell’imparzialità del giudicante deve necessariamente essere concreto ed attuale, nel senso che deve tradursi in un vantaggio economico, diretto e non meramente eventuale, derivante dalla sentenza che il giudice è chiamato a rendere, comportando un immediato accrescimento patrimoniale dello stesso, mentre non può inficiare l’imparzialità del giudicante un vantaggio meramente teorico ed eventuale che, peraltro, non si tradurrebbe in alcun caso in un accrescimento diretto della sua sfera patrimoniale.
Sotto l’altro profilo, ossia quello della coindenza dell’interesse morale dei magistrati iscritti ad ANM, la Corte di Cassazione ritiene che la tutela dei principi di autonomia ed indipendenza della magistratura, dei quali l’ANM si fa portatrice, rispondono ad un interesse generale e costituzionalmente previsto che, pertanto, è comune a qualunque cittadino.
In sostanza, dunque, l’interesse morale dell’associazione sarebbe e dovrebbe essere quello di tutti e comunque coincide con un interesse generale e previsto in Costituzione.
Sul punto la Cassazione codifica il seguente principio:
la nozione di “interesse” contenuta all’art. 36, lett.a), c.p.p., si presta ad un’interpretazione in senso estensivo, tale da farvi rientrare non solo l’interesse prettamente patrimoniale, ma anche l’interesse non patrimoniale che, tuttavia, deve essere specifico, giuridicamente rilevante e direttamente incidente sulla sfera soggettiva del magistrato, non potendo assumere rilievo anche un generico interesse ideologico solo indirettamente collegato all’oggetto del procedimento, la cui affermazione è intrinsecamente insuscettibile di tradursi in un vantaggio personale.
Infine, con riguardo alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, la Corte di Cassazione ritiene che non sussistono i presupposti per procedere in tal senso.
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