Interruzione del processo in seguito a dichiarazione del fallimento e termine per la riassunzione: la Suprema Corte conferma il proprio orientamento Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 21/11/2022, n. 34247

By | 24/11/2022

CASS. CIV., SEZ. I, ORDINANZA 21/11/2022, N. 34247

«In caso di apertura del fallimento, l’interruzione del processo è automatica ai sensi dell’art. 43, comma 3, l. fall., ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall. per le domande di credito, decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c., va notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario» (Massima non ufficiale)

FATTI DI CAUSA

[Omissis] S.p.A. chiese l’ammissione in prededuzione al passivo di [Omissis] S.p.A., all’epoca in amministrazione straordinaria, dei crediti per complessivi € 1.110.440,49, oltre interessi, vantati in forza di tre contratti: due relativi ai servizi di trattamento delle acque di scarico e degli sfiati clorurati e uno stipulato per la ripartizione dei costi di ristrutturazione (revamping) di un impianto chimico.

Dopo che il giudice delegato aveva ammesso il credito, ma in chirografo, [Omissis] S.p.A. propose opposizione ribadendo che si trattava di crediti sorti dopo l’apertura dell’amministrazione straordinaria e aggiungendo l’allegazione del sopravvenuto subentro dei commissari nei contratti in questione.

Il giudizio di opposizione venne interrotto per la conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento e quindi riassunto su ricorso dell’opponente. Dopo di che il Tribunale di [Omissis] accolse l’opposizione, nonostante le eccezioni sollevate dalla curatela fallimentare, sia in rito (estinzione del procedimento per tardività della riassunzione), sia nel merito (contestazioni sull’epoca di insorgenza dei crediti e sul subentro dell’A.S. nei contratti pendenti).

Contro tale decisione del Tribunale, il Fallimento [Omissis] S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Si è costituita con controricorso [Omissis] S.p.A., che ha poi depositato anche memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, «ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità del procedimento di primo grado». L’eccezione che viene riproposta con tale motivo è quella della intervenuta estinzione del giudizio in seguito alla asseritamente tardiva riassunzione del processo, dopo la interruzione verificatasi per la conversione in fallimento della procedura di amministrazione straordinaria di [Omissis] S.p.A.

Il Tribunale di [Omissis] ha respinto l’eccezione, individuando quale dies a quo per il computo del termine di tre mesi di cui all’art. 305 c.p.c. il giorno in cui il giudice relatore dichiarò in udienza l’interruzione del processo; parte ricorrente ritiene, invece, che il dies a quo debba essere individuato nella ben precedente data in cui il curatore inviò a [Omissis] S.p.A., a mezzo PEC, una comunicazione art. 92 legge fall. È pacifico che, se così fosse, il ricorso in riassunzione sarebbe tardivo e il processo di opposizione allo stato passivo si sarebbe estinto.

1.1. Il motivo è infondato.

1.1.1. A fare chiarezza sulla controversa questione dell’individuazione del dies a quo della decorrenza del termine per la riassunzione del processo interrotto per la dichiarazione di fallimento di una delle parti sono recentemente intervenute le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 12154/2021): «In caso di apertura del fallimento, l’interruzione del processo è automatica ai sensi dell’art. 43, comma 3, l. fall., ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall. per le domande di credito, decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c., va notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario».

In sostanza, pur confermandosi che il comma 3 dell’art. 43 legge fall. (aggiunto dall’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006) rende automatica l’interruzione del processo pendente nel quale è costituito l’imprenditore fallito – con la conseguenza che il giudice che ne abbia notizia deve dichiarare l’interruzione anche d’ufficio, a differenza di ciò che avviene negli altri casi di evento interruttivo che riguardi una parte costituita, ove è richiesta la dichiarazione del suo difensore (art. 300 c.p.c.) –, la decorrenza del termine per la riassunzione viene ancorata alla (conoscenza della) ordinanza che dichiara formalmente l’interruzione, al fine di garantire la massima certezza e di rispettare al meglio il principio di proporzionalità nell’applicazione di disposizioni che, stabilendo una decadenza, limitano il diritto di accesso alla giustizia.

1.1.2. L’interpretazione adottata dalle Sezioni Unite, cui questo collegio presta convinto consenso, è del resto in sintonia con la disposizione ora contenuta nell’art. 143, comma 3, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (d.lgs. n. 14 del 2019), che è esplicita nel fare decorrere il termine «da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice», ovverosia solo dal momento in cui l’evento interruttivo – fatto esterno al processo che subisce l’interruzione – viene formalmente dichiarato in una ordinanza del giudice in quel processo.

1.1.3. Nel caso di specie, l’art. 43 legge fall. trova applicazione solo in via analogica, perché non si tratta di un’interruzione per dichiarazione di fallimento di una delle parti, bensì di un’interruzione per sopravvenuta carenza di capacità processuale dell’organo rappresentativo della procedura concorsuale a seguito della conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento (allo stesso modo, per l’applicazione analogica dell’art. 43 legge fall. al caso di perdita della capacità processuale del curatore per revoca del fallimento, v. Cass. 31473/2018). È chiaro, tuttavia, che anche qualora non si applicasse l’art. 43, comma 3, legge fall., alla medesima soluzione sulla decorrenza del dies a quo per l’interruzione si dovrebbe comunque (e più facilmente) arrivare con l’applicazione del combinato disposto degli artt. 300 e 305 c.p.c., dato che [Omissis] S.p.A. in amministrazione straordinaria – parte colpita dall’evento interruttivo – era costituita nel processo a mezzo di procuratore.

1.1.4. Né al principio di diritto così affermato vi è ragione di derogare avuto riguardo alla circostanza che, nel caso di specie, il processo pendente interrotto ha ad oggetto un’opposizione allo stato passivo, ovverosia un processo scaturito all’interno della medesima procedura concorsuale le cui vicende (in questo caso la conversione in fallimento dell’amministrazione straordinaria) hanno determinato l’interruzione. Infatti, una volta ammesso che il processo attivato con l’opposizione allo stato passivo è un processo contenzioso a parti contrapposte (Cass. n. 5847/2021) e che esso subisce interruzione in caso di perdita della capacità processuale dell’organo che rappresenta la procedura (Cass. n. 13337/2013),anche le norme che disciplinano la riassunzione del processo interrotto – e, in particolare, la decorrenza del termine per la riassunzione – non possono che essere le medesime che si applicano in ogni altra tipologia di processo sensibile agli eventi interruttivi.

2. Il secondo motivo di ricorso è così formulato: «ai sensi dell’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione degli artt. 20 e 52 del d.lgs. n. 270/1999». La parte si duole che il Tribunale di [Omissis] abbia ammesso in prededuzione tutti i crediti insinuati da [Omissis] S.p.A., senza distinguere né i crediti sorti durante la procedura concorsuale dai crediti sorti in precedenza, né i crediti per servizi di trattamento periodici dai crediti derivanti dal terzo contratto (ripartizione dei costi di ristrutturazione).

2.1. Il motivo è inammissibile, perché, nonostante parte ricorrente si sforzi si vestirlo come «errore evidente nella ricostruzione giuridica della fattispecie», esso è volto a chiedere a questa Corte un inammissibile riesame del merito.

2.1.1. Il tribunale ha accertato sia che tutte le prestazioni previste dai tre contratti conclusi tra le parti erano funzionali all’esercizio dell’impresa posta in amministrazione straordinaria, sia che si trattava di crediti sorti durante la procedura concorsuale. Il fallimento contesta la correttezza di tali accertamenti; anzi, a ben vedere, la contesta solo in parte, non essendo in discussione né che la procedura è subentrata nei due contratti per servizi di trattamento acque e sfiati (il che implica necessariamente il riconoscimento della funzionalità all’esercizio dell’impresa), né che almeno una parte di tali servizi, per i quali [Omissis] S.p.A. chiede il corrispettivo, è stata resa in corso di procedura.

2.1.2. Sulla funzionalità all’esercizio dell’impresa anche del terzo contratto, il Tribunale di [Omissis] ha motivato il suo giudizio valorizzando una diffida a non interrompere le prestazioni contrattuali, che ha ritenuto inviata dai commissari straordinari a [Omissis] S.p.A. «anche con riferimento all’accordo di revamping». Si tratta evidentemente di un’argomentazione in fatto, oltretutto nemmeno affrontata e criticata nel ricorso.

2.1.3. Per quanto riguarda l’epoca delle prestazioni, il giudice a quo ha valorizzato le date delle fatture per concludere che si trattava di crediti insorti durante la procedura concorsuale. Questa ulteriore argomentazione in fatto è invece oggetto di critica nel ricorso, ove si afferma – del tutto correttamente, sul piano giuridico – che la fonte del credito non è la fattura, sicché la data della fattura “non necessariamente” coincide con la data di insorgenza del credito, che è quella alla quale si deve fare riferimento per stabilire se il credito è sorto durante la procedura concorsuale o prima.

Ma si tratta, appunto, di una critica svolta nei confronti dell’accertamento del fatto, perché il Tribunale di [Omissis] non ha basato la sua decisione sull’errata opinione, in diritto, che ai fini dell’ammissione in prededuzione è sufficiente che i crediti siano fatturati durante la procedura, anche se sorti prima, ma ha, per l’appunto, accertato che i crediti in contestazione erano sorti nella stessa data di emissione delle fatture.

Del resto, parte ricorrente è esplicita nell’indirizzare la critica verso l’accertamento del fatto, addirittura declinandola nei termini estremi della denuncia di un omesso accertamento («Il Tribunale … non ha indagato e quindi accertato la data in cui sono sorti i crediti in questione»; «il Tribunale avrebbe dovuto … accertare le date di insorgenza dei crediti»). Sennonché tale critica estrema, da un lato, nulla ha a che vedere con il vizio denunciato con il motivo di ricorso (violazione di legge riferita agli artt. 20 e 52 del d.lgs. n. 270/1999); dall’altro lato risulta carente di qualsivoglia requisito di specificità, atteso che l’accertamento è stato compiuto e avrebbe dovuto essere contrastato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.5 c.p.c., mediante la precisa indicazione del fatto decisivo omesso dal quale risultava che i crediti erano sorti in data antecedente a quelle di emissione delle fatture e di apertura della procedura.

3. Respinto il ricorso, le spese di lite relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in € 17.000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi e agli accessori come per legge;

ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

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