Limiti della responsabilità del liquidatore per le obbligazioni tributarie: la questione alle SS.UU. Cass. Civ., Sez. Trib., ordinanza 06/12/2022, n. 35805

By | 08/12/2022

CASS. CIV., SEZ. TRIB., ORDINANZA 06/12/2022, N. 35805

«Sussistono rilevanti questioni interpretative al fine di stabilire se l’azione dell’Amministrazione finanziaria nei confronti del liquidatore di una società presupponga o meno l’accertamento del debito tributario e la sua iscrizione a ruolo, con particolare riferimento al caso in cui sia intervenuta la cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014, attesa l’irretroattività dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, che ha previsto la sospensione per un quinquennio, ai soli fini fiscali, dell’efficacia dell’estinzione della società, e la problematicità dell’accertamento del debito tributario nei confronti di una società estinta. La questione va dunque rimessa al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite»

RILEVATO CHE

Con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale della [Omissis] ha rigettato l’appello proposto da [Omissis], già liquidatore della società [Omissis] srl cancellata dal registro delle imprese in data 20.10.2006, contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di [Omissis] che aveva respinto il suo ricorso avverso l’avviso di accertamento ex art. 36 comma 5 d.P.R. n. 602/1973.

L’Agenzia delle Entrate aveva accertato che, in sede di riparto finale dell’attivo, il liquidatore aveva soddisfatto soltanto i creditori chirografari senza alcuna considerazione dei crediti dell’Erario, costituiti da imposte risultanti dalla dichiarazione dei redditi del 2004 che non erano state versate.

La sentenza impugnata ha respinto l’appello, fondato, tra l’altro, sull’assenza di un valido titolo per poter procedere al recupero delle imposte nei confronti del liquidatore, osservando che comunque l’Ufficio aveva dato puntuali indicazioni circa la pretesa erariale, emergente dalla dichiarazione presentata.

Il ricorso è stato affidato ad un unico motivo.

Ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Con ordinanza interlocutoria, depositata il 29.3.2021, questa Corte ha richiesto una relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo sulla ricostruzione del quadro normativo di riferimento e sulle modalità di accertamento della responsabilità del liquidatore, ad esito della quale il giudizio è stato portato ad udienza pubblica.

CONSIDERATO CHE

1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., lamentando l’erroneità della sentenza impugnata, che aveva ritenuto sufficiente, ai fini della certezza dell’obbligazione tributaria della società, il mero controllo della dichiarazione, senza una iscrizione a ruolo delle relative somme.

Secondo il ricorrente, trovando fonte in una autonoma obbligazione legale con funzione sussidiaria, difetterebbe una delle condizioni necessarie ai fini della esercitabilità dell’azione di responsabilità ex art. 36 cit., dovendo l’Amministrazione provare di aver iscritto, quantomeno in ruoli provvisori, i crediti di cui pretende il pagamento da parte del liquidatore.

2. È bene premettere che l’art. 36 del d.P.R. 602/1973, nella versione applicabile ratione temporis, prevede quanto segue: “I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti” (comma 1, modificato dall’art. 28, comma 5, lett. a) del d.lgs. 21 novembre 2014 n. 175: “I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”).

“La disposizione contenuta nel precedente comma si applica agli amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o dell’ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori” (comma 2).

“I soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile” (comma 3, alla fine del quale l’art. 28, comma 5, lett. b), d.lgs. 21.11.2014 n. 175 ha inserito il seguente periodo: “Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria”).

“Le responsabilità previste dai commi precedenti sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili” (comma 4).

“La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600” (comma 5).

“Avverso l’atto di accertamento è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636. Si applica il primo comma dell’articolo 39” (comma 6).

Va segnalato, inoltre, che il comma 7 dell’art. 28 del d.lgs. n. 175/2014 ha eliminato, dall’art. 19, comma 1, del d. lgs. n. 46 del 1999, ogni riferimento all’art 36, con la conseguenza che oggi la responsabilità del liquidatore non è più limitata alle sole imposte sui redditi, ma si estende a tutte le imposte dovute dalla società.

3. La questione sollevata si incentra, in sostanza, sul significato da attribuire all’espressione “imposte dovute” e presenta, ad avviso di questa Corte, un indubbio rilievo nomofilattico in quanto, sebbene nella giurisprudenza di legittimità si rinvenga un orientamento consolidato, non mancano profili di incertezza concettuale e di incoerenza sistematica.

Il caso in esame, come si dirà infra, costituisce un esempio assai significativo di questi aspetti problematici, divenuti particolarmente evidenti dopo la riforma del diritto societario introdotta con il d.lgs. n. 6 del 2003 e la modifica della disciplina della liquidazione ed estinzione delle società.

4. È noto che sulla specifica questione la dottrina ha offerto soluzioni contrastanti, che fanno capo a due modi opposti di intendere il rapporto tra la responsabilità del liquidatore e l’obbligazione tributaria che grava sulla società: coloro che ravvisano una relazione di “dipendenza” della prima rispetto alla seconda, richiedono che il debito fiscale sia reso certo, tanto nella sua esistenza quanto nella sua misura, prima che abbia luogo l’accertamento della responsabilità del liquidatore; al contrario, chi afferma la natura “autonoma” della responsabilità del liquidatore prescinde dal preventivo accertamento del debito di imposta e ammette l’esercizio dell’azione di responsabilità mediante emissione dell’atto motivato di cui al comma 5, la cui impugnazione da parte del liquidatore apre un ordinario giudizio tributario (previsto al comma 6) che potrà riguardare anche il debito tributario della società, la cui sussistenza costituisce un presupposto della responsabilità del liquidatore.

5. La giurisprudenza di questa Corte si colloca in una posizione che si può definire intermedia, perché, pur riconoscendosi l’autonomia della responsabilità del liquidatore rispetto all’obbligazione tributaria della società, si richiede il preventivo accertamento del credito erariale verso la società: la responsabilità del liquidatore «ha natura civilistica e trova titolo autonomo, riconducibile agli artt. 1176 e 1218 c.c., rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa, ancorché da accertarsi con atto motivato – e ricorribile – da notificare ai sensi dell’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973; ne consegue che l’Ufficio, per poter pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore, deve provare di aver iscritto i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori» (recentemente, Cass. 15377 del 2020; ma vedi anche Cass., sez. un., n. 2820 del 1985; Cass., n. 2768 del 1989; Cass., n. 9688 del 1995; Cass., n. 8685 del 2002; Cass. n. 11968 del 2012; Cass. n. 7327 del 2012; Cass. n. 16446 del 2016; Cass. n. 1720 del 2019).

5.1. Si tratta, quindi, di una obbligazione civile ex lege (Cass. n. 11968 del 2012; Cass. n. 7327 del 2012), per fatto proprio del liquidatore (Cass. n. 4765 del 1989; Cass. n. 13098 del 2005), autonoma (Cass. sez. un. n. 2822 del 1985; Cass. n. 2767 del 1989; Cass. n. 12561 del 2001; Cass. n. 12149 del 2010), che, però, «è esercitabile a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo e che sia certo che non sono stati soddisfatti con le attività di liquidazione» (Cass. n. 10508 del 2008; Cass. n. 685 del 2002; Cass. n. 12546 del 2001; Cass. n. 9688 del 1995).

5.2. Se si scende nel dettaglio, risulta che quella condizione è declinata in maniera non univoca: alcune sentenze richiedono “certezza” e “definitività” della pretesa erariale (Cass. sez. un. n. 2766 del 1978; Cass. n. 549 del 1981; Cass. n. 13098 del 2005; Cass. n. 12546 del 2001; Cass. n. 179 del 2014), altre si riferiscono all’iscrizione in ruoli anche provvisori (Cass. n. 10508 del 2008; Cass. n. 7327 del 2012; Cass. n. 15377 del 2020), precisando che si deve trattare di ruoli che possono essere posti in riscossione (Cass. n. 12546 del 2001; Cass. n. 8685 del 2002; Cass. n. 11968 del 2012; Cass. n. 29969 del 2019; Cass. n. 14570 del 2021).

6. Quale forma di responsabilità per fatto proprio, l’inadempimento dell’obbligo di pagare le “imposte dovute” si accompagna alla violazione dei doveri che gravano sul liquidatore, in particolare quelli sulla par condicio, cosicché tale responsabilità è commisurata proprio all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. I liquidatori, infatti, «sono tenuti al precipuo obbligo di liquidare al meglio -in modo utile- l’attivo patrimoniale, per ripartirlo equamente tra i soci solo una volta effettuato il pagamento dei debiti sociali, secondo l’ordine legale di priorità dei corrispondenti crediti sancito nel piano di liquidazione. Tale orientamento, teso a garantire massima tutela ai creditori, dopo la novella del 2003, è rinvenibile nelle norme che disciplinano i criteri di svolgimento della liquidazione, e più precisamente negli artt. 2487, 2489 e 2491, comma 2, cod. civ., ove in quest’ultima disposizione si prevede espressamente che “i liquidatori non possono ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione, salvo che dai bilanci risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilità di somme idonee alla integrale soddisfazione del creditori sociali”» (Cass. n. 11304 del 2020 non massimata).

A tal proposito si possono distinguere diverse situazioni: a) il liquidatore, consapevole delle imposte dovute, omette dolosamente di accantonare la somma necessaria per soddisfare il credito tributario (dolo in sede di liquidazione); b) il liquidatore, colposamente, non considera il credito tributario in sede di liquidazione (pretermissione in sede di liquidazione); c) il liquidatore, pur considerando il credito tributario nella fase di liquidazione, ne viola il privilegio, preferendogli un credito di ordine inferiore o accantonando una somma inferiore a quella dovuta (violazione del privilegio in sede di liquidazione).

La responsabilità ex art. 36 cit., quindi, richiede il verificarsi dei presupposti di imposta e l’inosservanza dei doveri del liquidatore con riguardo ai debiti tributari della società, ma non anche la nascita in senso formale dell’obbligazione tributaria in capo alla società: la giurisprudenza di questa Corte precisa che la responsabilità del liquidatore, dell’amministratore o del socio, regolata dall’art. 36 cit., «consegue all’esistenza di una o più obbligazioni sociali tributarie rimaste inadempiute sul piano fisiologico» (Cass. n. 31904 del 2021 in motivazione par. 2.5) ovvero osserva che è sufficiente che «i presupposti impositivi si siano verificati durante la liquidazione, ancorché siano stati accertati successivamente» (Cass. n. 15250 del 2018; Cass. n. 8685 del 2002; v. anche Cass. n. 179 del 2014).

7. In questo contesto pare contraddittoria la richiesta della “certezza legale” del debito tributario al momento dell’esercizio dell’azione di responsabilità (Cass. n. 179 del 2014).

Il debito tributario, pur considerato mero presupposto della responsabilità del liquidatore, è trattato alla stregua degli elementi costitutivi della fattispecie ma con un ulteriore, significativo aggravio dell’onere a carico dell’Erario: non è sufficiente la prova dei presupposti dell’obbligazione tributaria della società, ma si richiede la preventiva formazione di un titolo e l’iscrizione a ruolo del tributo, a scapito dell’interesse di rango costituzionale alla pronta realizzazione del credito fiscale, posto a presidio e garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (sul tema, v. Corte cost. n. 281 del 2011; n. 90 del 2018; n. 104 del 2019; n. 142 del 2020).

8. Le ragioni di questa interpretazione non sono chiaramente ed esaustivamente esplicitate.

Soltanto in alcune pronunce si accenna, come ragione del preventivo accertamento del debito tributario, alla funzione sussidiaria che la responsabilità del liquidatore svolge nell’ambito della riscossione dei crediti erariali (v., per esempio, Cass. n. 10508 del 2008; Cass. n. 15377 del 2020) Giova precisare, però, che questa ipotesi di sussidiarietà è ben diversa da quella, in qualche modo paradigmatica, che caratterizza la responsabilità illimitata del socio delle società di persone.

La responsabilità del liquidatore non implica coobbligazione con i debiti tributari della società né una forma di responsabilità per successione a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese ex art. 2495 c.c. (Cass., n. 15377 del 2020; Cass., n. 7327 del 2012; Cass., n.29969 del 2019; Cass. n. 17020 del 2019; Cass., sez. un., n. 2079 del 1989), mentre i soci illimitatamente responsabili, così come il cessionario o conferitario d’azienda, in base all’art. 14 del d.lgs. n. 472/97, sono obbligati, in via sussidiaria, ma al pari della società o del cedente: in questi casi non vi è un’obbligazione da fatto proprio, ma una responsabilità propria, che scaturisce direttamente dalla legge in ragione della «posizione» del soggetto – la prima per la qualità di socio, la seconda per il subentro al cedente – e in cui l’esistenza dell’obbligo della società o del cedente è costitutiva dell’obbligo del socio illimitatamente responsabile o di quello del cessionario/conferitario. L’obbligo del socio o del cessionario e quello della società o del cedente hanno il medesimo oggetto, cioè il debito tributario (per tutte, Cass. sez. un. n. 28709 del 2020).

Nella fattispecie ex art. 36 cit., invece, l’obbligo tributario della società è «mero presupposto» della responsabilità del liquidatore (Cass. n. 2767 del 1989; Cass. n. 15377 del 2020), che costituisce autonoma obbligazione legale e «insorge quando ricorrono gli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società in liquidazione e della distrazione di tali attività a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute» (Cass. n. 12149 del 2010).

In questo caso la sussidiarietà si pone tra obbligazioni distinte e aventi differenti elementi costitutivi: il liquidatore è obbligato (per fatto proprio) nei confronti dell’Erario se il credito di questo verso la società è rimasto insoddisfatto.

Nelle società di persone, invece, la sussidiarietà opera, attraverso il beneficium excussionis, sul piano della responsabilità patrimoniale tra coobbligati per lo stesso debito: il socio risponde del debito della società se l’escussione del patrimonio sociale ha lasciato il creditore insoddisfatto, il che presuppone necessariamente, in questo caso, l’esistenza di un titolo esecutivo che accerti il debito societario.

9. D’altro canto, la richiesta del preventivo accertamento del debito tributario non sembra rivolta ad offrire maggiore tutela al liquidatore.

I precedenti di questa Corte, non sempre in maniera perspicua, affermano l’opponibilità al liquidatore del titolo formatosi nei confronti della società e pongono limiti alla possibilità di contestare la sussistenza del debito tributario della società.

In alcune decisioni si osserva che, mentre incombe sull’Ufficio l’onere di prova della condizione della certezza legale del credito tributario, incombe sul liquidatore, per contrastare la pretesa fiscale, l’onere «di provare l’insussistenza dei presupposti del debito (quali la mancanza di attività nel patrimonio sociale) ovvero l’incertezza del debito stesso» (Cass. n. 179 del 2014 e, precedentemente, Cass. n. 10508 del 2008, che ha accolto il ricorso dell’Amministrazione contro il liquidatore in un caso in cui i tributi erano stati iscritti in ruoli provvisori, in pendenza di giudizi proposti dalla società in liquidazione avverso gli accertamenti, senza attendere, quindi, l’esito di questi).

Altre pronunce precisano che, essendo il liquidatore del tutto estraneo al procedimento diretto all’accertamento del debito tributario della società, eventuali ragioni d’invalidità di tale procedimento non possono essere opposte dal liquidatore od amministratore-liquidatore di fatto e rilevate dal giudice (Cass. n. 12546 del 2001) e, ancora, che il liquidatore ha l’onere di provare l’insussistenza dei presupposti – diversi dal debito d’imposta della società – di tale responsabilità (Cass. n. 9688 del 1995).

Sotto altro profilo, si è affermato esplicitamente che l’accertamento giudiziale del credito verso la società di capitali, anche con forza di giudicato, è opponibile ai soci ed ai liquidatori, pur non consentendo al creditore di far valere il titolo esecutivo ottenuto direttamente nei loro confronti, in quanto è necessario agire in giudizio contro gli uni e, gradatamente, contro gli altri per l’accertamento dei rispettivi presupposti (Cass., n. 4699 del 2014; v. anche Cass. n. 27488 del 2016; Cass. n. 14570 del 2021, non massimata).

Queste soluzioni sembrano contraddire l’asserita “autonomia” della responsabilità del liquidatore, che non è successore né avente causa in relazione al debito tributario della società – v. artt. 477 c.p.c. e 2909 c.c. – e può esser rimasto estraneo alla formazione del titolo relativo al debito tributario della società: sarebbe più coerente considerare res inter alios acta, nei confronti del liquidatore, l’accertamento del debito societario.

Sotto altro profilo, ragioni di rilievo costituzionale (v. artt. 24 e 111 Cost.) impongono di garantire pienezza ed effettività dell’esercizio del diritto di difesa nel rispetto del principio del contraddittorio (già Corte cost. n. 55 del 1971, Corte cost. n. 99 del 1973, Corte cost. n. 165 del 1975); in questa prospettiva si registra anche il ridimensionamento della dottrina del giudicato riflesso nei confronti del terzo titolare del rapporto dipendente, affermandosi, per esempio, che la pronuncia assunta nel giudizio tra danneggiato/assicurato e danneggiante vale solo quale prova documentale nel giudizio tra danneggiante e assicuratore (Cass. n. 18325 del 2019; Cass. n. 31969 del 2019; Cass. n. 37035 del 2021).

Di là dagli aspetti teorici, emerge un problema di bilanciamento di contrapposti interessi di rango costituzionale, dovendosi contemperare l’esigenza di effettività e pienezza del diritto di difesa del liquidatore con l’esigenza di rapida realizzazione del credito tributario; pare evidente che il riconoscimento di più ampi poteri difensivi in capo al liquidatore, in ossequio ai sopra citati principi costituzionali, alimenta i dubbi sulla necessità del preventivo accertamento del debito tributario della società che può ritardare la realizzazione dell’interesse pubblico.

10. Nel caso in esame, in cui il credito tributario risulta dalla stessa dichiarazione presentata dalla società, il punto di equilibrio tra interessi contrapposti non sembra coincidere con la soluzione tradizionale.

Secondo l’orientamento consolidato, l’Ufficio avrebbe dovuto avviare il procedimento di liquidazione e controllo formale della dichiarazione, a norma degli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/73, sino all’iscrizione a ruolo «a titolo definitivo» (v. art. 2 comma 1 d.lgs. n. 462 del 1997), che non richiede né avviso di accertamento né comunicazione di irregolarità, trattandosi di verifica meramente cartolare fondata sul solo controllo obiettivo dei dati formali contenuti nella dichiarazione dei redditi (Cass. n. 18405 del 2021; Cass. n. 24747 del 2020; Cass. n. 17972 del 2019).

Peraltro, sempre secondo giurisprudenza di questa Corte, la dichiarazione presentata dal contribuente esaurisce da sola la fattispecie dell’accertamento dell’obbligazione tributaria e, in caso d’inadempimento del contribuente, costituisce di per sé titolo per la riscossione dell’imposta liquidata sulla scorta dei dati da essa desunti dalla dichiarazione stessa (Cass. 24 febbraio 2016, n. 3609); infatti, l’obbligazione tributaria sorge col verificarsi del presupposto di fatto al quale è ricollegata l’emersione del tributo, mentre la successiva attività accertativa dell’amministrazione finanziaria attiene all’esercizio del diritto di credito e ha funzione ad essa strumentale: proprio per questo, l’amministrazione finanziaria può limitarsi al controllo della regolarità formale e della completezza della dichiarazione del contribuente, senza dover procedere con un atto di accertamento (Cass. n. 6846 del 2021).

L’iscrizione a ruolo, quindi, rappresenterebbe una formalità che poco o nulla aggiunge alla situazione già esistente, in cui i presupposti del debito tributario risultano dalla dichiarazione e non ricorre alcun deficit di tutela per il liquidatore, al quale deve riconoscersi la possibilità, anche in assenza dell’iscrizione a ruolo, di sollevare eccezioni analoghe a quelle spettanti alla società nel giudizio di impugnazione della cartella a seguito di iscrizione dopo il controllo automatizzato, al fine di dimostrare l’insussistenza del debito risultante dalla dichiarazione (Cass. n. 18998 del 2021).

11. Uno sguardo alla più risalente giurisprudenza rivela che l’orientamento tradizionale si è formato in un differente contesto normativo e cioè durante la vigenza dell’art. 265 del d.P.R. n. 645 del 1958 (che costituisce l’antecedente storico dell’art. 36 del d.P.R. 602/1973), collocato nel Capo II rubricato “Sanzioni in sede di riscossione”. Tale disposizione, oggi abrogata, aveva delle modalità di applicazione diverse dall’odierno art. 36, perché dopo la liquidazione della società il fisco provvedeva, sulla base del bilancio di liquidazione, ad accertare i debiti fiscali della società. Iscritta a ruolo l’imposta così accertata, l’esattore procedeva esecutivamente: se la riscossione coattiva era infruttuosa, lo stesso ruolo era considerato esecutivo a carico del liquidatore in proprio, ove questi avesse violato il dovere di soddisfare i crediti fiscali secondo l’ordine di graduazione, o avesse assegnato beni ai soci senza pagare le imposte dirette facenti capo alla società.

Quel meccanismo presupponeva, per poter far valere la responsabilità del liquidatore, il previo accertamento del debito societario e, quindi, il collegamento tra l’obbligazione del liquidatore con l’obbligazione della società, rimasta insoddisfatta: «presupposto imprescindibile di tale responsabilità [è] un comportamento doloso o colposo, legato da nesso di causalità all’omesso pagamento delle imposte accertate nei confronti della società» (così, Cass. n. 328 del 1981, v. anche Cass. sez. un. n. 3021 del 1971). Coerentemente, si affermava anche la necessità dell’esistenza e definitività del debito tributario (Cass. sez. un. n. 2925 del 1978; Cass. sez. un. 2766 del 1978; Cass. n. 549 del 1981).

Questa soluzione poteva trovare ancora un contesto compatibile dopo la riforma del 1973 e prima della riforma del diritto societario del 2003, quando, secondo l’opinione prevalente, la cancellazione dal registro delle imprese non determinava l’estinzione della società fino a che permanevano debiti sociali (per tutte, Cass. n. 19732 del 2005), ma essa non appare adeguata all’attuale assetto normativo.

12. A seguito della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, il tema della responsabilità del liquidatore per i debiti tributari della società rimasti insoddisfatti dalla liquidazione si porrà, il più delle volte, quando la società è stata cancellata dal registro delle imprese – adempimento che il liquidatore deve richiedere dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione – ed è, quindi, estinta (v. art. 2495 c.c.).

Verificatasi l’estinzione, non si realizza alcuna successione del liquidatore nei debiti tributari della società contribuente, venendo meno il suo potere di rappresentanza dell’ente estinto – che non può essere più parte di alcun rapporto tributario (Cass. n. 30736 del 2021) – e, dunque, la sua legittimazione passiva in ordine all’atto impositivo, ma residua una responsabilità derivante dalla carica rivestita, di natura civilistica, ai sensi degli artt. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 e 2495 c.c. (Cass. n. 14570 del 2021).

Viene in evidenza il principio di creazione giurisprudenziale secondo cui i soci succedono nei debiti della società e ne rispondono, in caso di società di capitali, nei limiti di quanto conseguito da ciascuno di essi nella distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio di liquidazione (Cass. sez. un. nn. 6070 e 6072 del 2013; Cass. sez. un. n. 619 del 2021), cui si aggiunge la precisazione che «il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo» (Cass. sez. un. n. 6070 del 2013).

Anche nei processi in corso, i soci, peculiari successori della società, subentrano ex art. 110 c.p.c. nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovvero a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, dovendo invece escludersi la legittimazione ad causam del liquidatore della società estinta, il quale può essere destinatario di un’autonoma azione risarcitoria ma non della pretesa attinente al debito sociale (Cass. n. 13362 del 2020).

12.1. Anche se i soci subentrano negli stessi debiti che facevano capo alla società, si assiste ad una vicenda nuova e diversa da quella societaria, rispetto alla quale l’art. 2495 comma 2 c.c. (ora comma 3 a seguito dell’art. 40, comma 12-ter, lett. b), del d.l. n. 76 del 2020, conv. in legge n. 120 del 2020), per la generalità dei creditori sociali, e la disposizione speciale di cui all’art. 36 cit., per l’Erario, costituiscono norme di chiusura quanto alla responsabilità dei soci nonché dei liquidatori in ordine all’attività svolta.

Ragioni sistematiche dovrebbero indurre a concludere che, come qualunque creditore sociale insoddisfatto, l’Erario possa agire direttamente nei confronti dei soggetti sussidiariamente responsabili per quei debiti, tra i quali il liquidatore ex art. 36 cit., anche nel caso in cui non disponga di un titolo che formalizza l’obbligazione tributaria nei confronti della società ormai estinta (con riferimento all’azione ex art. 2495 c.c. nei confronti del liquidatore, si afferma che «ex latere creditoris, il creditore rimasto insoddisfatto dall’attività liquidatoria, per far valere la responsabilità del liquidatore, dovrà dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazione e il conseguente danno determinato dall’ inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni…», Cass. n. 521 del 2020, non massimata, par. 13).

12.2. La successiva previsione, con l’art. 28 comma 4 del d.lgs. n. 175/2014, della sospensione per un quinquennio, ai soli fini fiscali, dell’efficacia dell’estinzione della società, non consente di superare queste perplessità di ordine sistematico.

In questo speciale contesto riservato all’Erario, volendo dare continuità al tradizionale orientamento, si impone una duplice iniziativa dell’Amministrazione nei confronti, il più delle volte, del medesimo soggetto (il liquidatore), prima quale legale rappresentante della società, sia pure estinta, al fine di conseguire un titolo verso la società, e poi in proprio quale responsabile ex art. 36 cit. comma 5; il che pare in contrasto con il principio di economia dei mezzi giuridici e un’inutile sacrificio dell’interesse pubblico alla pronta realizzazione del credito tributario.

12.3. Va considerato, inoltre, che quella novella non ha efficacia retroattiva e si applica esclusivamente nei casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese sia presentata nella vigenza del d.lgs. n. 175/2014, ossia il 13 dicembre 2014 o successivamente (Cass. n. 6743 del 2015; Cass. n. 5736 del 2016).

Per tutte le società cancellate anteriormente a quella data (come [Omissis] srl), l’azione dell’Erario dovrà essere indirizzata verso i soci, successori ex lege per i debiti della società estinta.

Il Procuratore Generale ha rilevato come sia “impossibile” per l’ente impositore procedere all’iscrizione a ruolo a carico di un soggetto giuridicamente inesistente ma va considerato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è impedito, per esempio in caso di controllo automatizzato ex art. 36 bis cit., «procedere all’iscrizione a ruolo, a nome della società estinta, di tributi da essa non versati, ai sensi dell’art. 12, comma 3, d.P.R. n. 602 del 1973, e di azionare il credito tributario nei confronti dei soci, sia perché coobbligati solidali, sia perché, comunque, successori “ex lege” della società medesima» (principio affermato con riferimento ad una società di persone ma avente valenza generale, v. Cass.

Anche nei casi di iscrivibilità a ruolo del debito nei confronti della società estinta, però, può dubitarsi che il debito sia idoneo alla riscossione (v. par. 5.2), quando i soci della società di capitali non abbiano conseguito attivo dalla liquidazione, perché la cartella di pagamento eventualmente emessa sarà annullata ad esito dell’impugnazione e della dimostrazione della insussistenza del presupposto della responsabilità del socio (Cass. n. 31904 del 2021, par. 2.10).

Infatti, pur non incidendo il limite di responsabilità di cui all’art. 2495 c.c. sulla legittimazione processuale dei soci rispetto all’atto tributario emesso nei loro confronti, ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, «interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci» (. Cass. n. 15035 del 2017; v. anche Cass. n. 5988 del 2017; Cass. n. 9094 del 2017; Cass. n. 1713 del 2017; Cass. n. 9672 del 2018; Cass. n. 14446 del 2018; Cass. n. 897 del 2019; Cass. n. 33582 del 2019; Cass. n. 12758 del 2020; Cass. n. 22014 del 2020; Cass. n. 26402 del 2020), in caso di impugnazione dovrà comunque affermarsi l’infondatezza della pretesa fiscale azionata nei confronti del socio che non ha ricevuto alcunché in sede di liquidazione della società di capitali (Cass. sez. un. n. 619 del 2021) perché «le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione» (Cass. sez. un. n. 6070 del 2013).

Risulta, così, che la richiesta dell’iscrizione a ruolo del debito societario, quale presupposto dell’azione ex art. 36 cit. verso il liquidatore, costringe l’Amministrazione a promuovere l’azione impositiva contro i soci successori anche quando non ricorre un interesse ad agire nei loro confronti.

In queste ipotesi l’atto tributario ad essi indirizzato vedrebbe in qualche modo distorta la sua funzione, tendendo essenzialmente al mero accertamento del credito erariale, da far valere nella successiva iniziativa verso il liquidatore; oltretutto, quell’atto dovrebbe essere annullato in caso di esito vittorioso dell’impugnazione eventualmente proposta dal socio, una volta accertato che costui non aveva percepito utili dalla liquidazione.

13. In conclusione, gli argomenti sopra esposti giustificano le perplessità intorno alla soluzione sinora seguita da questa Corte.

La questione di massima (se l’azione dell’Amministrazione finanziaria nei confronti del liquidatore di una società ex art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 presupponga l’accertamento del debito tributario della società e la sua iscrizione a ruolo) è di particolare importanza in termini generali ma riveste peculiare rilievo nel caso in cui sia intervenuta la cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014, attesa l’irretroattività dell’art. 28 comma 4 del d.lgs. n. 175/2014 che ha previsto la sospensione per un quinquennio, ai soli fini fiscali, dell’efficacia dell’estinzione della società: in questa ipotesi, come sopra osservato, l’accertamento del debito tributario della società può risultare assai problematico.

Pertanto, questo Collegio ritiene di dover rimettere la causa al Primo Presidente affinché valuti la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 comma 2 c.p.c.

P.Q.M.

La Corte, visti gli artt. 374 comma 2 e 376 c.p.c., ordina la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili in ordine alla questione di massima di particolare importanza di cui in motivazione.

Documenti & materiali

Scarica Cass. Civ., Sez. Trib., ordinanza 06/12/2022, n. 35805

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