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Tutti gli addetti al lavoro sanno che il nostro legislatore è prolisso, incompetente, atecnico, ripetitivo ed ha, negli anni, creato un sistema normativo elefantiaco, farraginoso, contraddittorio, incomprensibile ai più.
Un sistema, in altre parole, essenzialmente ingiusto. Forte con i deboli, debole con i forti, impossibile da utilizzare per fare previsioni anche di breve periodo, con le conseguenze che tutti conosciamo, sia sul funzionamento del sistema Paese, che sulla percezione di quest’ultimo ha chi lo vive e chi lo vede dall’estero.
Si sperava, però, che, almeno nell’emergenza epocale che tutti stiamo sperimentando, le cose cambiassero verso.
Che si potesse, per una volta, assistere ad un approccio responsabile ed organizzato ad un tema che interessa l’esistenza di tutti, come è ovvio: poche norme, chiare, stabili ed incisive, adottate con la saldezza di nervi e la tempestività necessarie, idonee ad orientare con sufficiente stabilità, sia pure nelle condizioni date, la vita quotidiana dei cittadini, il lavoro degli operatori sanitari, l’azione delle Forze dell’Ordine, l’attività di impresa, specie se attinente a settori strategici.
Dal diluvio normativo al caos
E invece niente.
In quest’ultimo mese, provvedimenti governativi di rango primario (decreti legge), si sono alternati in un incontenibile crescendo, a deliberati di rango secondario (d.p.c.m. decreti ministeriali), oltre che ad ordinanze contingibili regionali di segno spesso diverso, quando non contrario, ai primi e ad iniziative comunali assunte in totale autonomia.
Il tutto intervenendo nelle più disparate materie: dalla sanità, alla compressione dei diritti costituzionali dei cittadini; dal rapporto tra questi ultimi e il fisco, alle relazioni tra imprenditori e banche; dalla chiusura di moltissime attività (la cui lista, uscita lo scorso 22 marzo, è stata modificata dopo appena tre giorni – ! – dopo la sua pubblicazione e chissà quante volte lo sarà ancora), alla struttura sanzionatoria, sino a ieri penale, oggi amministrativa (con correlativa serie di modulini di autodichiarazione, aggiornati con un frequenza tale che non si riesce neppure più a stamparli in tempo utile. L’ultimo in ordine di tempo è stato pubblicato pochi minuti fa).
Risultato: ad oggi sono chiare solo tre cose. Che esiste un’epidemia in atto; che siamo in stato di emergenza; che occorre stare a casa e lavarsi spesso le mani.
Per il resto si naviga a totale vista, in un caos oscuro dove imperano le più disparate “FAQ”, ovvero una serie di risposte a quesiti-tipo, quali: posso andare a fare la spesa? posso fare jogging? posso portare a spasso il cane? ? etc., predisposte da alcuni coraggiosi, i quali, tuttavia, dovrebbero avere l’accortezza di aggiornarle nottetempo, visto che le risposte cambiano continuamente a seconda del diluvio normativo che sta sommergendo, prima dei cittadini e degli operatori, il buon senso.
Non ci credete? Qualche esempio
Non ci credete? Bastano tre esempi semplici semplici per dimostrare che è così.
I termini processuali
Il primo esempio riguarda da vicino la professione forense e ha a che vedere con l’incredibile gestione della vicenda della sospensione dei termini processuali di cui al D.L. 11/2020 (successivamente, grazie al cielo – ed all’intervento di un pugno di colleghi che hanno lavorato molto sul tema- modificata con D.L. 18/2020).
Una vicenda penosamente concepita e condotta, come tutti quelli del mestiere sanno bene, in relazione alla quale ci permettiamo di rinviare, per brevità, ad un precedente intervento del 14 marzo scorso (rilevando, comunque, che restano aperti, dal punto di vista processuale, diversi fronti “caldi”, sui quali non possiamo qui intrattenerci).
Si può tornare alla propria abitazione?
Il secondo riguarda un tema che certamente preme a molti cittadini e concerne la possibilità per l’appartenente ad un certo nucleo familiare che si trovi, per avventura, ad essere in un Comune diverso da quello dell’abitazione della famiglia, di tornarsene a casa propria.
La domanda è semplice: chi abbia, al momento, un proprio caro per puro caso, fuori casa ed in altro Comune, Provincia o Regione (cosa frequentissima, basti pensare al caso di Comuni, Province Regioni limitrofi, ove gli spostamenti intraterritoriali sono normali, oppure agli studenti fuori sede e a tantissime altre ipotesi), potrebbe dirgli, con la necessaria certezza e serenità, che può legittimamente tornare all’abitazione familiare?
Vediamo.
Secondo il disposto del d.p.c.m. 08/03/2020, art. 1, lett. a (valevole inizialmente, solo per alcune province italiane, ed indi esteso all’intero territorio nazionale mediante il d.p.c.m. del giorno successivo, 09/03/2020) si sarebbe detto di sì, giacché in tale disposizione, ancorché fossero previste limitazioni alla circolazione intraterritoriale, veniva però espressamente rilevato l’essere «consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza».
Tuttavia, il successivo d.p.c.m. 22/03/2020, all’art. 1, 1° co., lett. b) ha indi stabilito, inasprendo la previsione di cui sopra, che:
«è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; conseguentemente all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 le parole “. É consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza” sono soppresse».
Alla luce di ciò, dunque, si dirà: quel familiare, coniuge, figlio o convivente d’altro genere che sia, in base a tale disposizione se ne deve purtroppo rimanere dove sta, salvo esigenze lavorative, di assoluta urgenza o motivi salute.
Giusto?
Ni. Perché, a parte i rilievi di costituzionalità relativi al rango normativo posseduto dalla fonte secondaria (d.p.c.m.) che impone la gravissima limitazione in questione ed a parte l’interpretazione alquanto lata che può darsi della nozione di «assoluta urgenza» (tra cui pare logico fare tendenzialmente rientrare anche i ricongiungimenti familiari), va rilevato che nella G.U. del 25/03/2020 è stato giusto giusto pubblicato il D.L. 25/03/2020, n. 19, che complica ulteriormente il quadro.
Lo complica in quanto tale provvedimento, anche se intervenuto dopo i d.p.c.m. sopra citati, è dotato di rango normativo superiore – e, dunque, prevalente – rispetto ad essi. Considerazione, quest’ultima, di non scarsa importanza se si pensa che il D.L. in questione, non prevede, come invece facevano i predetti d.p.c.m., divieti immediati, ma unicamente il riferimento a possibili ambiti di intervento demandati all’adozione di futuri provvedimenti inibitori/limitativi da parte della Presidenza del Consiglio (art. 2), ovvero, entro certi limiti, da parte degli Enti Locali (art. 3).
Premesso ciò, per quanto riguarda il problema qui direttamente in esame si deve allora ulteriormente osservare che il riferimento diretto alla possibilità di comprimere il diritto alla propria abitazione non sembra esistere nella norma attuale, che, all’art. 1, lett. c), D.L. 19/2020 in esame, fa riferimento solo alla generale possibilità di prevedere «limitazioni o divieto di allontanamento e di ingresso in territori comunali, provinciali o regionali, nonché rispetto al territorio nazionale», senza trattare, per contro, dell’eventuale restrizione dell’autonomo diritto al rientro al domicilio, costituzionalmente tutelato siccome inviolabile dall’art. 14 Cost.
Il tutto, dunque, sembrerebbe deporre per un’interpretazione favorevole alla possibilità di “tornarsene a casa”, dovendosi ulteriormente aggiungere, per completezza, che neppure decisiva in senso contrario pare essere la salvezza interinale delle disposizioni di cui ai precitati d.p.c.m., pure contenuta nell’art. 2, 3° co., D.L. 19/2020 cit., che recita:
«continuano ad applicarsi nei termini originariamente previsti le misure già adottate con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati in data 8 marzo 2020, 9 marzo 2020, 11 marzo 2020 e 22 marzo 2020 per come ancora vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto».
Ciò in quanto, a tacere sulle modalità di formulazione della norma, si fa obiettivamente fatica a considerare «ancora vigente» una compressione di un diritto tanto fondamentale quale quello del rientro all’abitazione, allorché la norma primaria non contenga l’espressa autorizzazione a provvedervi ad opera di una fonte secondaria, quali i d.p.c.m. di specie sono.
In altre parole, dunque, una risposta che dovrebbe essere semplice e diretta ad un dubbio legittimo ed altrettanto semplice e diretto, si trasforma in un ginepraio, creato dall’affastellarsi assurdo di provvedimenti amministrativi e normativi di cui non si sentiva certo il bisogno (peraltro a propria volta provvisori, posto che il D.L. 19/2020 dovrà essere convertito in legge, con quel che ne segue in termini di stabilità della situazione).
Le sanzioni
Un cenno a parte merita, infine, il tema delle sanzioni per l’inosservanza dei comportamenti prescritti.
Partita con la grancassa mediatica del “tutti in galera” – da chi portava a spasso il cane, a chi passeggiava da solo in aperta campagna – la materia delle sanzioni per le violazioni comportamentali in questione si è ridotta, inizialmente, al ben poco deterrente rinvio all’art. 650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti dell’autorità) contenuto nell’art. 4, 2° co., d.p.c.m. 08/03/2020, per rientrare successivamente, ex D.L. 19/2020 più volte richiamato, nell’alveo della sanzione amministrativa (art. 4 D.L. cit.).
Anche nel commentare quest’ultima norma, peraltro, la predetta grancassa mediatica (sul ruolo svolto dalla quale in questa situazione occorrerebbe aprire un apposito capitolo) ha divulgato con toni draconiani la previsione di una sanzione pari a tremila euro, inizialmente data per appaiata, altresì, alla «confisca provvisoria» (sic!) dell’autoveicolo eventualmente utilizzato (poi, fortunatamente, scomparsa dalla scena).
In realtà, il citato art. 4 D.L. 19/2020 prevede, per quanto attiene alle ipotesi base, una sanzione che varia da un minimo di € 400,00 ad un massimo di € 3.000,00, definibile in misura ridotta ai sensi dell’art. 202 C.d.S., cioè a dire con il pagamento di un importo pari al minimo, se il pagamento interviene nei sessanta giorni dalla contestazione/notificazione, ovvero pari al minimo ridotto del 30% se il pagamento interviene entro 5 giorni: non c’è bisogno di essere matematici provetti per riscontrare che si tratta di somme che sono, in concreto, molto diverse da quelle propagandate.
Tema ulteriore è quello della fine che viene riservata ai procedimenti penali ex art. 650 c.p. nel frattempo incardinati in seguito a denunce presentate prima dell’entrata in vigore del D.L. in questione.
In materia, la disposizione di cui all’art. 4, 8° comma, D.L. 19/2020 cit., prevede che
«le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà».
Ora cosa siano le disposizioni che «sostituiscono le sanzioni penali con sanzioni amministrative» resta per il sottoscritto un mistero, al pari dei tanti che quest’assurda normazione ossessivo compulsiva, quantomeno per chi scrive, lascia e lascerà sul campo (si dirà che si tratta di una depenalizzazione ed è possibile. Ma la lettura complessiva della norma – che si lascia agli esperti del tema – a parere di chi scrive non è poi così evidente in tal senso).
Conclusioni
Premesso quanto sopra e premesso, altresì, che tutti noi siamo consapevoli della difficoltà della situazione anche per i governanti, oltre che per i governati, va però detto che nulla, ma proprio nulla, legittima il legiferare scomposto, scoordinato, completamente svincolato da principi giuridici basilari e alluvionale come quello cui si è assistito in questo ultimo mese.
Per rendersene (ulteriormente) conto si scorra la seguente tabella:
Un diluvio di 225 articoli sparsi in 15 provvedimenti, succedutisi nell’arco di un mese (uno ogni due giorni), tra loro variamente sovrapposti, in rapporto di reciproca esclusione, integrazione, contraddizione, tutti da interpretare, elaborare ed applicare con effetti devastanti non solo sull’attività degli operatori, ma anche sulla salute dei cittadini (e, in questo senso, bruciano i 23 giorni trascorsi tra la dichiarazione dello stato di emergenza del 31/01/2020 e i primi provvedimenti assunti il successivo 23/02/2020. Ma lasciamo perdere).
E nel conteggio di cui sopra, si badi, si è tenuto conto dei soli provvedimenti governativi. Non sono, cioè, considerati i decreti ministeriali, le ordinanze contingibili adottate in sede regionale e comunale, i provvedimenti prefettizi e solo il cielo sa cos’altro.
Così non va bene. É un rimedio peggiore del male. Che aggiunge confusione a confusione, smarrimento a smarrimento, incertezza ad incertezza, paura del futuro a paura del futuro. Che moltiplica i problemi e non li risolve.
Di qui questo mio personale appello. Da avvocato, ma prima ancora da cittadino.
Un cittadino, ovviamente, non conta granché, ma ha comunque diritto di sentirsi guidato in un frangente come questo con razionalità, lucidità e controllo della situazione da chi ne ha la responsabilità.
Basta. Fermate la decretazione d’urgenza.
Affrontate la situazione con la lungimiranza politica e la tecnicalità necessarie, ma soprattutto con la razionalità, la saldezza di nervi e la precisa visione del futuro, anche economico, del nostro Paese in cui incasellare le mosse da adottare, una dopo l’altra, per uscire da questa situazione.
Fatelo prima che la situazione sfugga di mano, oltre che sotto un profilo sanitario, anche sotto quello normativo ed indi, inevitabilmente, politico. Sarebbe un ulteriore passaggio drammatico che non ci si può davvero permettere.
Non ci meritiamo un altro otto settembre. Nella storia di un Paese, ne basta uno.
La critica della normativa involuta e ridondante non è censura da primo della classe, ma un contributo per avere adesione convinta a provvedimenti severi e doverosi.
Grazie per il contributo e per il tempo dedicato alla analisi dei vari testi normativi!