Il consumatore-imprenditore può proporre il relativo piano se non presenta debiti legati all’attività Cass. Civ., Sez. I, 01/02/2016, n. 1869

By | 27/12/2019

CASS. CIV., SEZ. I, 01/02/2016, N. 1869

«La nozione di consumatore abilitato al relativo piano non ha riguardo in sé e per sé ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni d’impresa o professionali, invero compatibili se pregresse ovvero attuali, purché non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, potendo il soggetto anche svolgere l’attività di professionista o imprenditore.

Ed invero, l’art. 6, comma 2, lett. b), L. 3/2012 richiede unicamente una specifica qualità dell’insolvenza finale del consumatore sovraindebitato, in tale insolvenza, cioè, non potendo comparire obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero comunque esse non dovendo più risultare attuali.

É, infatti, consumatore solo il debitore che, persona fisica, risulti aver contratto obbligazioni – non soddisfatte al momento della proposta di piano – per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un’attività d’impresa o professionale propria, salvo gli eventuali debiti di cui all’art. 7, comma 1, terzo periodo (tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate) che sono da pagare in quanto tali, sulla base della verifica di effettività solutoria commessa al giudice nella sede di cui alla L. n. 3 del 2012, art. 12 bis, comma 3» (Massima non ufficiale)

IL PROCESSO

[Omissis] impugna il decreto Trib. [Omissis] 2.4.2014 (R.G. n. 6/2013) che, nel rigettare il proprio reclamo avverso il decreto (di non sospensione) emesso il 13.11.2013 dal giudice (monocratico) del sovraindebitamento del medesimo tribunale, confermava la estraneità del ricorrente alla nozione di consumatore di cui all’art. 6 co.2 l. n. 3/2012 in ragione della natura delle obbligazioni contratte (e successivamente all’esaurimento negativo di altro tentativo di composizione della crisi da sovraindebitamento).

Ritenne invero il collegio [Omissis]: a) di dover dare interpretazione restrittiva e letterale alla locuzione “esclusivamente” di cui alla citata norma definitoria (per la quale è consumatore il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta), conseguendone che la persona fisica che abbia contratto obbligazioni composite potrebbe solo accedere alla procedura di accordo di composizione della crisi o a quella di liquidazione rispettivamente di cui all’art. 10, ovvero L. n. 3 del 2012, art. 14 ter; b) di escludere che il piano del consumatore, per il richiamo dell’art. 12 bis, all’art. 7, comma 1, terzo periodo L. cit., potesse riferirsi ad oneri tributari in genere, piuttosto afferendo a quelli non derivanti da attività professionale (invece svolta dal ricorrente in regime di partita IVA); e) che l’obbligatorietà del piano per tutti i creditori, a prescindere dalla loro approvazione, impone al tribunale un controllo severo sull’assenza di colpa nella causazione del sovraindebitamento e sulla fattibilità del piano. La conseguente reiezione della domanda doveva perciò essere confermata poiché V. non era nelle condizioni soggettive di accesso al piano del consumatore (avendo poste debitorie per IVA e tributi da attività professionale), il suo piano era svantaggioso per i creditori (rispetto alla liquidazione del patrimonio, di cui non intendeva privarsi quanto all’unico bene di valore), la relativa durata era eccessiva (15 anni).

Il ricorso è affidato a due motivi ed è stato notificato all’Organismo di composizione della crisi, nella persona del professionista designato giudizialmente.

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, invocando rimpianto generale della L. n. 3 del 2012, e la sua complessiva violazione, assumeva la qualità di consumatore a pieno titolo, così contestando le qualificazioni negative rispetto alle condizioni soggettive e ai debiti tributati fatte proprie dal tribunale.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione della medesima L. n. 3 del 2012, all’art. 7, quanto alla dilazione dell’IVA, trascurata nel decreto impugnato, potendo invece il proponente, con il piano del consumatore, affrontare compositivamente anche tali debiti.

1. Il ricorso, considerati unitariamente i motivi, è inammissibile, posto che con esso – al di là della genericità delle contestazioni, ove si contrasta la contrarietà all’intera L. n. 3 del 2012, del provvedimento impugnato e a prescindere dal riscontro di una evocazione al giudizio impropria quanto ai legittimati passivi, riduttivamente circoscritti nella vicenda al solo Organismo di composizione della crisi – viene sottoposta a censura una pronuncia connotata dall’assenza di carattere decisorio e contestualmente definitivo del provvedimento di rigetto dell’ammissibilità del piano, che non pregiudica in tesi la stessa possibilità di presentare un altro e diverso piano (del consumatore), pur se con gli eventuali limiti temporali – posti dal legislatore a fronteggiare un uso ripetuto ed indiscriminato dell’istituto – di cui all’art. 7, comma 2, lett. b), peraltro dettato a carico del debitore che “vi abbia fatto ricorso”, dunque fruendo degli effetti pieni dell’istituto stesso nel quinquennio anteriore. Il provvedimento denegativo, a questa stregua, non esprime allora tratti rilevantemente diversi, riguardato sotto il profilo della ricorribilità per cassazione, dai corrispondenti provvedimenti negativi (o di rigetto allo stato degli atti) assunti nella procedura prefallimentare (Cass. 6683/2015), in quanto anch’esso esplicita una specifica inidoneità a tradursi, per via giudiziale, nella validazione del singolo progetto ristrutturativo del passivo quale proposto in un dato ricorso e dunque riflette una situazione economico-finanziaria potenzialmente mutevole, né è assimilabile, come sbrigativamente ipotizzato dalla parte, al diniego dell’esdebitazione fallimentare di cui alla L. Fall., art. 143, soggetta ad altri presupposti, delimitazioni e finalità.

2. Ritiene poi il Collegio che la questione decisa, nonostante l’esito di inammissibilità del ricorso, giustifichi, per la sua particolare importanza e sia pur con riguardo al solo punto del requisito tipologico necessario in capo al proponente, l’enunciazione ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, del principio di diritto circa la nozione di consumatore, quale rilevante al fine dell’accesso ai benefici di cui alla L. n. 3 del 2012. Proprio con tale disciplina, il nostro ordinamento ha infatti riunificato la composizione delle situazioni d’insolvenza attorno ad un criterio d’ispirazione concorsuale e, per quanto in contesti organizzativi frammentati soggettivamente e dunque in una pluralità di procedure, mediante una diversa connotazione relazionale con la giurisdizione lato sensu esecutiva. Nella versione più basica di tale allestimento procedurale dei debiti, la nozione di consumatore – tra le altre, invece e per lo più definite in negativo, per la sottrazione alla concorsualità comune – quale posta nel nuovo art. 6, comma 2, lett. b), risulta pacificamente più specifica di quella di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) del Codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206), dato che essa esige che i debiti della “persona fisica” derivino “esclusivamente” (e non più prevalentemente, come nel D.L. n. 212 del 2011, art. 1, comma 2, lett. b, per il quale rilevava il sovraindebitamento dovuto prevalentemente all’inadempimento di obbligazione contratte dal consumatore, come definito dal codice del consumo) da atti compiuti “per scopi estranei all’attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta”. Si tratta di una definizione che fa leva su elementi dinamici e in apparenza di tipo soggettivo complesso, poiché essa – pur dovendosi adattare al riferimento positivo alla persona fisica, e dunque escludendo persone giuridiche ed enti, comunque strutturati – non censisce in realtà solo l’organizzazione del debitore (secondo il quesito di chi sia o sia stato consumatore), o comunque non lo fa in modo assoluto, ma si da carico di inquadrarla in termini innanzitutto utili alla procedura in esame (e ai suoi scopi), in ragione di una peculiare scelta pratica di meritevolezza della composizione finale, nello schema del concorso, della massa passiva. Le obbligazioni assunte esclusivamente per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale, a propria volta, costituiscono un limite relativo: pur prestandosi l’impianto ad una lettura non univoca, ai fini della L. n. 3 del 2012, consumatore potrebbe infatti in astratto anche essere un imprenditore (che rientri, per ragioni di coerenza rispetto al collegamento tipologico in negativo rispetto ai requisiti del R.D. n. 267 del 1942, e di quelli speciali dedicati all’imprenditore commerciale, all’interno delle soglie dimensionali del sistema concorsuale minore in oggetto e per le regole temporali di accesso ivi previste) ovvero un professionista (non importa se ordinistico o meno), come si ricava dalla previsione di eventualità dell’esercizio di simile attività tratteggiata nel cit. art. 6. Va però stabilito se siffatta circostanza appartenga unicamente ad un profilo di più intensa, ma pregressa, soggettività economica oppure possa essere sospinta sino a ricomprendere altresì il professionista o l’imprenditore, sia pur senza più debiti originati da quell’attività e con debiti invece solo “comuni” da ristrutturare, secondo la legge speciale, dunque questa volta nella veste esclusiva di consumatore indebitato.

3. La constatazione circa l’attualità della figura del potenziale ricorrente (in base alla seconda tesi, anche consumatore-imprenditore o consumatore-professionista) già potrebbe discendere dal passaggio di testo del cit. art. 6, comma 2, lett. b), ove si fa riferimento al debitore persona fisica e sono menzionati espressamente i debiti nascenti da attività d’impresa o da professione, apparendo sufficiente che essi non sussistano più. A propria volta l’art. 7, comma 1, terzo periodo, per il quale “in ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”, è clausola specificamente richiamata dall’art. 12 bis, comma 3, ove si prevede, tra le altre condizioni, l’omologa del piano del consumatore se il giudice vi ravvisa “l’idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all’art. 7, comma 1, terzo periodo”. Tali ultimi crediti, almeno in parte, esprimono una diretta riferibilità socio-economica proprio alle attività d’impresa o professionali, venendo ad interrogare allora l’interprete o per una sollecitazione a ravvisare l’intero richiamo alla stregua di un refuso (poiché in evidente contraddizione con la portata tipologica di esclusione di debiti da impresa o professione con cui la stessa definizione di consumatore è introdotta nel predetto art. 6 cit.) o per una diversa premessa di senso che possa refluire, pur se alla stregua di circostanza speciale, in un giudizio compatibile con l’accesso al piano del consumatore anche da parte di soggetti che si trascinino siffatti debiti, contratti in una qualità – poi dismessa o almeno non produttiva di debiti così caratteristici – di imprenditori o professionisti. Una prima possibile risposta, ad avviso del Collegio, risiede nella osservazione per cui proprio l’art. 6, comma 2, lett. b), implica che anche i debiti d’impresa o relativi allo svolgimento delle professioni bene potrebbero essere stati assunti, ai fini qui considerati, ciò che rileva non essendo tanto la loro contrazione (od oggettiva insorgenza) quale fatto storico in sé, occorrendo piuttosto che essi non siano sopravvissuti al momento della prospettazione della predetta qualità personale in funzione ristrutturativa del passivo ai sensi della L. n. 3 del 2012, cioè con la proposta di piano. Ulteriori e più solidi indici normativi, tuttavia, rinviano (pur non risolvendo ogni ricaduta procedurale e di coordinamento fra i diversi modelli compositivi dell’insolvenza) ad un giudizio di compossibilità letterale della figura del consumatore con quella dell’imprenditore o professionista: a) tra i presupposti di ammissibilità, l’art. 7, comma 2, vieta l’accesso alle procedure (accordo, comma 1 o piano del consumatore, comma 1 bis) “quando il debitore, anche consumatore: a) e soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo”, implicitamente supponendo uno scrutinio possibile solo fra imprenditori commerciali sotto o sopra la soglia di cui alla L. Fall., art. 1; b) l’art. 8, comma 3 bis, ha riguardo (in una disposizione intitolata al contenuto dell’accordo o del piano del consumatore) ad una proposta di accordo o di piano che può essere “presentata da parte di chi svolge attività d’impresa”; c) l’art. 9, ancora sotto il medesimo p.1 dettato in tema di Disposizioni generali e nella Sezione prima delle Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, in tema di “deposito della proposta” si riferisce, al comma 3, al “debitore che svolge attività d’impresa”, imponendogli l’onere di depositare le scritture contabili degli ultimi tre esercizi, con copia conforme all’originale; d) l’art. 14 quinquies, comma 2 lett. c) stabilisce l’annotazione nel registro delle imprese della apertura della liquidazione, vicenda che può derivare anche da una conversione evolutiva o per eventi anomali del piano del consumatore, ex art. 14 quater; e) tra le sanzioni, ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. b), è prevista la punizione del debitore che, al fine di ottenere l’accesso alle procedure di cui alle sezioni prima e seconda (dunque anche del piano del consumatore), sottrae, occulta o distrugge, anche in parte, la “propria documentazione contabile”.

4. Ritiene questa Corte che la prescritta destinazione dei debiti a scopi estranei rispetto all’attività d’impresa o di professione, precisata in negativo (e solo “eventualmente svolta”, cioè con riguardo al passato), permetta allora di rinvenirne la compatibilità innanzitutto con il consumatore sovraindebitato che non sia o non sia mai stato né imprenditore né professionista, con chi lo sia stato e però non lo sia tuttora ovvero con chi lo sia tuttora – nell’accezione dimensionale interna ai requisiti di accesso più generali di cui alla L. n. 3 del 2012 – ma non annoveri più tra i debiti attuali quelli un tempo contratti in funzione di sostentamento ad una di quelle attività. La dizione in esame, invero, enfatizza la finalizzazione delle obbligazioni e tuttavia, nonostante la sintesi della formula, consente di istituire un ulteriore collegamento implicito ancora negativo tra il debito e lo svolgimento in proprio delle predette attività, lasciando unicamente aperta la ricognizione della figura del consumatore, dunque la sua compatibilità rispetto al soggetto, anche professionista o imprenditore, indebitato ma per attività altrui, per le quali ovviamente, secondo un apprezzamento di merito, sia escluso un qualsivoglia rimando al perseguimento di operazioni che rivelino, oltre lo schema di sostegno solidaristico a terzi, un impiego del rischio così assunto in una dimensione partecipativa, per il comune interesse d’impresa o anche all’attività professionale.

5. Quanto poi al valore del richiamo all’art. 7, comma 1, terzo periodo, la sua previsione tra i presupposti di ammissibilità dell’accordo di ristrutturazione dei debiti mediante un piano che, ai sensi della norma, contempli al più una dilazione del pagamento, esprime un dato di criticità se assunta in blocco anche ove il progetto ristrutturativo non sia del debitore comune sovraindebitato bensì del consumatore, secondo l’accezione più restrittiva ed invece rinviene una sua maggiore coerenza, laddove si postuli la figura in esame compatibile con quella di chi svolge o abbia svolto attività d’impresa o di professione: posto che la formula adottata dall’art. 12 bis, comma 3, prescrive che il giudice, in funzione omologatoria, comunque proceda “verificata la fattibilità del piano e l’idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all’art. 7, comma 1, terzo periodo”, il riferimento al predetto art. 7, potrebbe peraltro essere inteso – in un’ottica selettiva della specialità del trattamento dei debiti consumeristici – non al pagamento dei crediti pubblicistici descritti e però anche secondo le modalità ivi imposte (la dilazione), bensì come mero obbligo di pagamento proprio di quei crediti, senza altre peculiarità solutorie, pertanto conferendo valenza assoluta all’adempimento integrale, anche per i richiami ripetuti all’art. 12 ter, comma 4, (risoluzione) e art. 13, comma 3 (esecuzione). Se infatti si ammette che il consumatore, inteso come il soggetto indebitato che si proponga di ristrutturare debiti di consumo, può accedere al piano nonostante i debiti attuali quali l’IVA, le ritenute, i tributi risorse UE, la circostanza presupposta della possibile attuale e perdurante titolarità in capo al soggetto proponente altresì della veste di imprenditore o professionista, genera il dubbio della scarsa tenuta del quadro personalistico emergente dalla riforma del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 18, comma 1, lett. n), (convertito nella L. 17 dicembre 2012, n. 221), secondo una questione di coerenza della portata precettiva della definizione di consumatore introdotta all’art. 6, comma 2, lett. b).

Essa risulterebbe però conciliabile se si giustappone da un lato la preclusione ad ammettere nella figura soggetti con obbligazioni contratte per scopi non estranei all’attività d’impresa o di professione, che siano però tuttora svolte e dall’altro l’apertura eccezionale a “debiti economici” di natura pubblicistica – come quelli appena citati – da dedurre obbligatoriamente nel piano con trattamento adempitivo non temperato da alcuna dilazione. Si darebbe così l’ipotesi di un soggetto in generale senza debiti d’impresa o da professione, attualmente esercente tali attività economiche in senso lato e con debiti pubblicistici massimamente qualificati ma non dilazionabili nel progetto unilaterale nel quale consiste il piano del consumatore, ove si da un concorso virtuale tra creditori di impresa o professione (che non dovrebbero vantare pretese esigibili o comunque dedotte nel piano, ad esso perciò estranei), creditori da obbligazioni esterne all’impresa o alla professione, oggetto di risanamento e dunque destinatari del sacrificio, accanto infine ai creditori pubblici predetti, soggetti a dilazione negli altri modelli di composizione della crisi ma qui con diritto al pagamento nominale per intero. Lo scenario, va riconosciuto, poggia sulla persistenza dell’opzione, non solo ideologica, per cui la figura del consumatore, che nella legge in esame (a differenza per lo più che nelle situazioni di cui al Codice del consumo) in realtà non si attaglia al singolo rapporto di conflitto (per l’art. 3, comma 1, lett. a) Codice del consumo è consumatore o utente. la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta) bensì alla generalità delle relazioni di debito, debba coesistere anche in capo a chi sia imprenditore o professionista attuale, in una logica di generale favor verso la più adatta composizione della crisi da sovraindebitamento. Un effetto particolare è allora costituito dall’ipotesi di un piano del consumatore allestito da simile soggetto economico che però, lasciando sullo sfondo i rapporti d’impresa o pendenti con i terzi e quale professionista (che per definizione non dovrebbero essere sfociati, salva l’eccezione menzionata, in obbligazioni da adempiere), impieghi i suoi beni e i suoi redditi per ristrutturare il resto dei suoi debiti: l’obiezione per cui si determinerebbe così un mutamento sostanziale delle garanzie generiche offerte dal proprio patrimonio, in concreto utilizzato per la ridefinizione di una massa passiva che, assente da ogni ricognizione segregata o autonoma pregressa (perché in capo alla persona fisica nessuna distinzione in tal senso sarebbe configurabile, ogni bene apparendo destinato naturalmente a soddisfare debiti d’impresa o di professione alla pari dei debiti di consumo), verrebbe separata nella opportunità liquidatoria o comunque nella vocazione satisfattiva a vantaggio solo dei debiti c.d. comuni, può essere superata rinviando alle opportunità contestative, sul profilo della convenienza, rimesse a qualunque interessato (dunque anche ai creditori d’impresa o da professione, non coinvolti nel piano) e, prima ancora, ai controlli giudiziali sulle cause del sovraindebitamento e la serietà dei propositi compositivi ex art. 12 bis, rispettivamente commi 4 e 3.

6. La tesi alternativa e più restrittiva, qui non condivisa e che muove dall’opposta opzione volta ad affermare – pur sulla base di un’indubbia farraginosità della L. n. 3 del 2012, ad iniziare dalla sua vicenda d’origine ma eccessivamente costruita sull’esplicatività del refuso o ridondanza di richiamo come chiavi di lettura – una riduttiva portata accidentale del richiamo all’art. 7, comma 1, terzo periodo (da parte dell’art. 12 bis, comma 3) e un intento precettivo assoluto dell’art. 6, comma 2, lett. b) (sulla coesistenza di debiti non comuni in capo al consumatore), circoscrive la figura del consumatore a chi intenda ristrutturare debiti persistenti che non sono sorti da attività d’impresa o professione, nemmeno in parte, ne ammette la compatibilità con chi abbia svolto in passato tali attività, ma vieta il medesimo esercizio odierno, senza tuttavia una base normativa che dia conto dei plurimi richiami all’imprenditore o al professionista come sopra riportati dal testo della legge n. 3.

7. Osserva il Collegio che la legge in effetti non fa parola di una matrice omogenea assoluta dell’insolvenza, almeno nel senso che la locuzione che qui interessa non si richiama alla sua produzione, cioè alle relative cause economiche, altri essendo i requisiti scrutinabili a questo fine, come soprattutto all’art. 12 bis, comma 3, se il giudice “esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali”. Il richiamo è piuttosto alla qualità dei debiti da ristrutturare che la connotano, in sé considerati e nella loro composizione finale. Ma proprio per questo il piano del consumatore si offre come modello ulteriore di composizione della crisi della persona fisica, escludendosi che vi possano essere dedotti debiti d’impresa o contratti per la professione, salva l’eccezione pubblicistica predetta. In questa ottica l’accesso a tale procedura individua una delle facoltà riservate al sovraindebitato, ove l’accordo con i creditori è sostituito da un atto unilaterale del debitore alla stregua di proposta di ristrutturazione dei debiti e di soddisfacimento dei crediti rivolta al tribunale, al quale compete poi approvarla attraverso l’omologazione. Ciò permette di precisare, per il valore programmatico che anche in questa sede può assumere la specificazione, che non vi sono margini per non escludere dall’accesso a tale procedura (ed in generale allo statuto concorsuale che vi si richiami tipologicamente) tutti quei soggetti che abbiano assunto obbligazioni composite e che vogliano in tal modo, cioè come consumatori, ristrutturarle. Salvo il ricorso (anche) per essi alla diversa procedura di composizione della crisi ex art. 10 ovvero di liquidazione L. n. 3 del 2012, ex art. 14 ter, l’abbandono espresso del criterio della prevalenza delle obbligazioni estranee rivela, nella ricognizione del consumatore ai fini qui intesi, un intento restrittivo che giustifica e contrappesa la selezione di meritevolezza della evidente semplificazione dell’omologazione procedimentale: potendo prescindere dall’approvazione dei creditori per la via del voto o comunque della conta dei consensi, essa impone nel suo presupposto personalistico una tracciabilità altresì delle cause dell’insolvenza non risalenti ad attività economica organizzata (d’impresa o non, e pur tuttora praticabile) che ne permetta, al pari dello scenario scevro da determinazione colposa di siffatto sovraindebitamento (art. 12 bis, comma 3), un sicuro ancoramento tipologico alla figura del debitore compromesso in atti di rischio non speculativo o comunque proprio dell’intermediazione organizzativa, secondo un profilo appunto conformato ad una dimensione di non eccedenza del diverso e minore rischio contratto essenzialmente nel modello operazionale del consumo. La natura dei debiti residui, collegandosi alla fonte degli stessi, diviene pertanto nella L. n. 3 del 2012, al contempo la giustificazione dell’accesso al beneficio e il suo perimetro operativo, conseguendone che anche i creditori del consumatore sono nella condizione di non poter esprimere, salvi i controlli sopra visti, aspettative di regolazione concorsuale con un più tipizzato (e garantistico) coinvolgimento procedurale, qui non obbligatorio, com’è invece previsto negli altri rimedi a disposizione del sovraindebitato.

Ritiene conclusivamente il Collegio, esprimendo il principio di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, che, ai sensi della L. 27 gennaio 2012, n. 3, la nozione di consumatore per essa abilitato al piano, come modalità di ristrutturazione del passivo e per le altre prerogative ivi previste, non abbia riguardo in sé e per sé ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni d’impresa o professionali, invero compatibili se pregresse ovvero attuali, purché non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, potendo il soggetto anche svolgere l’attività di professionista o imprenditore, invero solo esigendo l’art. 6, comma 2, lett. b), una specifica qualità della sua insolvenza finale, in essa cioè non potendo comparire obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero comunque esse non dovendo più risultare attuali, essendo consumatore solo il debitore che, persona fisica, risulti aver contratto obbligazioni – non soddisfatte al momento della proposta di piano – per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un’attività d’impresa o professionale propria, salvo gli eventuali debiti di cui all’art. 7, comma 1, terzo periodo (tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate) che sono da pagare in quanto tali, sulla base della verifica di effettività solutoria commessa al giudice nella sede di cui alla L. n. 3 del 2012, art. 12 bis, comma 3.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso ed enuncia il principio di diritto come da parte motiva ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

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