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CASS. CIV., SEZ. III, 17/10/2022, N. 30380
«Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto una patologia medica per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita, o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (tale principio viene ribadito anche rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio, in cui si assume che la lamentata sordità bilaterale abbia avuto origine neonatale, per ipossia fetale, causa che l’attore ha dedotto di aver potuto conoscere soltanto nel 2006, a seguito di risonanza magnetica, quale esame diagnostico ritenuto solo “di recente acquisizione”)» (Massima non ufficiale)
FATTI DI CAUSA
1. – Con atto di citazione notificato il 26 febbraio 2010, [Omissis] convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di [Omissis], la Gestione liquidatoria della ex USL ([Omissis]), per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 363.007,50, a titolo di risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza della ipoacusia neurosensoriale di cui era affetto a causa di un trauma da parto, che aveva comportato ipossia fetale al momento della nascita in data ([Omissis]), e del quale assumeva essere responsabile la struttura sanitaria convenuta.
1.1. – Il Tribunale adito, con sentenza del gennaio 2014, rigettò la domanda attorea e condannò il [Omissis] al pagamento delle spese del grado, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi, oltre agli accessori di legge.
2. – Avverso tale sentenza il [Omissis] interponeva gravame, che la Corte di appello di [Omissis], sezione distaccata di [Omissis], decideva con sentenza n. [Omissis], resa pubblica il [Omissis]; la Corte territoriale, in riforma della pronuncia del Tribunale, dichiarava estinto per prescrizione il diritto di [Omissis] al risarcimento dei danni e, in parziale accoglimento dell’appello, liquidava le spese di lite di primo grado in Euro 4.000,00 per compensi, oltre agli accessori di legge.
2.1. – Il giudice di secondo grado, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), riteneva fondata l’eccezione di prescrizione, non esaminata dal primo giudice e riproposta in appello dalla Gestione liquidatoria della USL ([Omissis]), in quanto: a) “in punto di fatto”, l’accertamento della sordità bilaterale del [Omissis] risaliva “al tempo in cui lo stesso, nato nel ([Omissis]), ha compiuto sei anni”; b) non erano “riportati ulteriori successivi accertamenti oltre tale epoca”, nemmeno dopo le dimissioni dalla struttura ospedaliera in cui era nato, dove, in data ([Omissis]) (quattro giorni dopo la nascita), era posta diagnosi di “petecchie agli arti inferiori specie a sinistra, petecchie anche al soma”, con annotazione “i familiari sono avvisati dell’infermità del proprio figlio” e dalla cartella clinica emergevano “segni inequivocabili di un parto non fisiologico e della sofferenza fetale, subita dal neonato in fase di disimpegno podalico”; c) “(o)rdinaria e normale prudenza avrebbe dovuto indurre i genitori, per di più in ragione della loro qualifica professionale” (la madre farmacista e il padre medico) “a ripetere gli esami a breve e, quanto meno, nel decorso degli anni successivi fino al raggiungimento della maggiore età dell’appellante in ragione dei progressi della scienza e degli ulteriori mezzi di indagine dalla stessa apprestati” e ciò a fronte di una dedotta “scarsa diligenza e competenza” emergente non solo dalla cartella clinica (“la cui omessa consegna non è stata mai dedotta”), ma anche dall’esperienza diretta della partoriente, “lasciata in piedi per lungo tempo, nonostante la rottura del sacco del liquido amniotico, fino all’inizio precipitoso del parto”; d) l’appellante aveva allegato che soltanto nel 2006, in occasione dell’effettuazione di una risonanza magnetica, veniva accertato che “la sordità trovava la sua causa nell’ipossia intrauterina del feto” e che tale risonanza, “di recente acquisizione, invasiva e potenzialmente pericolosa, non rientra(va) nella prassi ordinaria di tutti gli audiolesi” e che egli vi si era “sottoposto da adulto nella prospettiva di migliorare la propria funzione uditiva con impianto cocleare”; d,1) l’argomentazione non era, però, condivisibile poiché, come risultava in atti, nel 2006 veniva effettuata prima una TAC e “che la risonanza magnetica dell’encefalo (era) stata eseguita per verificare quanto già accertato ovvero che “dal lato cerebrale si rileva minimo esito come da sofferenza fetale” (…) e che l’indagine, compiuta dopo circa quarant’anni dal [Omissis], avrebbe potuto essere effettuata” in precedenza dai suoi genitori prima della maggiore età e, poi, dallo stesso appellante, “del tutto nelle sue piene capacita di intendere e volere”, essendo cessato il ritardo psicomotorio a sei anni; e) inoltre, sin dal giugno 1988 veniva riconosciuta al [Omissis] una invalidità al 52% per ipoacusia neurosensoriale bilaterale “e che, quanto meno successivamente a tale data, in considerazione di quanto emergente dalla cartella clinica e conosciuto dai suoi genitori, con i quali è risultato convivente a tutt’oggi, avrebbe potuto effettuare le indagini, intervenute solo nel 2006”; f) doveva, pertanto, reputarsi compiuto il termine di prescrizione, “quand’anche lo stesso venga ritenuto decennale”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso [Omissis], affidando le sorti dell’impugnazione a due motivi.
Ha resistito con controricorso la Gestione Liquidatoria ex USL ([Omissis]).
Il ricorrente ha, quindi, depositato istanza di trattazione congiunta del presente ricorso con altro, da esso stesso [Omissis] proposto contro la Gestione Liquidatoria ex USL ([Omissis]) e avverso la sentenza n. [Omissis] della Corte di appello di [Omissis] – sezione distaccata di [Omissis], concernente la domanda di revocazione della sentenza impugnata in questa sede.
In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio del 21 settembre 2020 entrambe le parti hanno depositato memoria.
Questa Corte, Terza Sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 23650 del 27 ottobre 2020, previa riunione del presente ricorso (distinto dal R.G.N. 16982/2018) a quello (distinto dal R.G.N. 1112/2020) avverso la sentenza di appello che ha rigettato l’istanza di revocazione della sentenza impugnata in questa sede, ha disposto il rinvio a nuovo ruolo della causa.
4. – [Omissis], infatti, ha impugnato, con ricorso affidato a tre motivi, anche la sentenza della Corte di appello di [Omissis] sezione distaccata di [Omissis] n. [Omissis], resa pubblica il [Omissis], che, nel contraddittorio con la Gestione Liquidatoria della ex
– USL ([Omissis]), ne ha rigettato la domanda di revocazione, ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c., della anzidetta sentenza n. [Omissis] della medesima Corte territoriale, fatta oggetto di gravame in questa sede.
4.1. – La Corte di appello, a fondamento della decisione in sede di revocazione, osservava che: a) gli errori addebitati al c.t.u. e di conseguenza al giudice – nel ritenere che “l’accertamento eziologico della sordità bilaterale neurosensoriale, in particolare della sua riconducibilità a patologia neonatale, fosse comunque eseguibile con la comune diligenza molto prima del 2006, oltre ad essere comunque verosimile in relazione al ritardo psicomotorio da cui l’attore era stato affetto nei primi anni di vita” – non costituivano errori revocatori, bensì “valutazioni espresse dall’ausiliario nonché dal giudice nella individuazione del tempo di decorrenza del termine prescrizionale”; b) né era configurabile come errore la denunciata “omessa ponderazione dell’accertamento della Commissione di Invalidità Civile e del suo successivo verbale, in quanto da un lato esiste relativa citazione nella motivazione della sentenza, dall’altro lato trattasi di argomento da cui si desume conferma di conoscibilità da lunga data della causa neonatale dell’infermità”.
4.2. – Ha resistito con controricorso la Gestione Liquidatoria della ex USL ([Omissis]), che, successivamente, si è costituita (anche in riferimento al giudizio iscritto al R.G.N. 16982/2018) con un nuovo difensore, “in virtù di mandato separato”, chiedendo la discussione orale della causa ex D.L. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8-bis.
5. – In prossimità dell’udienza nuovamente fissata per la trattazione di entrambi i ricorsi, sia il [Omissis], che la Gestione liquidatoria hanno depositato memoria.
Il pubblico ministero ha depositato in entrambi i ricorsi le proprie conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso iscritto al R.G.N. 16982/2018 e, previa riunione ad esso del ricorso iscritto al R.G.N. 11112/2020, che siano “accolte le conclusioni formulate in quella sede” e dichiarata “assorbita ogni ulteriore istanza”.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Preliminarmente, occorre ribadire la riunione – già disposta dall’ordinanza interlocutoria n. 23650/2020 dei ricorsi per cassazione proposti, rispettivamente, contro la sentenza d’appello n. [Omissis] e contro la sentenza n. [Omissis] che ha deciso l’impugnazione per revocazione avverso la prima e ciò in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) dell’art. 335 c.p.c., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza, dovendosi ritenere che la riunione di detti ricorsi, pur non espressamente prevista dalla norma del codice di rito, discenda dalla connessione esistente tra le due pronunce poiché sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza revocanda può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione (tra le altre, Cass., 29 novembre 2006, n. 25376; Cass., 4 novembre 2014, n. 23445; Cass., 22 maggio 2015, n. 10534).
2. – Sempre in via preliminare, è da reputarsi valida la procura rilasciata al nuovo difensore della controricorrente Gestione liquidatoria della ex USL ([Omissis]) con memoria ai sensi dell’art. 83, comma 2, c.p.c., come novellato dall’art. 45, comma 9, lett. a), della L. n. 69 del 2009, poiché il giudizio di primo grado è stato introdotto con citazione notificata nel febbraio 2010 e la norma modificata trova applicazione per i giudizi introdotti dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della citta L. n. 69 del 2009.
3. – Logicamente preliminare è, a questo punto, l’esame del secondo ricorso, quello sulla sentenza di revocazione n. [Omissis], iscritto al R.G.N. 11112/2020.
3.1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 323,395, comma 1, n. 4, e 158 c.p.c., nonché dell’art. 6, par. 1, CEDU, per difetto di imparzialità del collegio che ha pronunciato la sentenza n. [Omissis], sulla domanda di revocazione, in quanto composto da due dei giudici che componevano il collegio che ha pronunciato la sentenza, revocanda, n. [Omissis].
3.1.1. – Il ricorrente, tuttavia, con l’ultima memoria ex art. 378 c.p.c. (cfr. p.8), ha rinunciato all’anzidetto motivo di ricorso.
Tale rinuncia rende superflua la decisione in ordine alla fondatezza delle censure svolte con il motivo rinunciato e la rinuncia stessa è da ritenersi efficace anche in mancanza della sottoscrizione della parte o del rilascio di uno specifico mandato al difensore, in quanto, implicando una valutazione tecnica in ordine alle più opportune modalità di esercizio della facoltà d’impugnazione e non comportando la disposizione del diritto in contesa, è rimessa alla discrezionalità del difensore stesso, e resta, quindi, sottratta alla disciplina di cui all’art. 390 c.p.c. (Cass., 13 gennaio 2021, n. 414).
3.2. – Con il secondo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame del fatto “che l’errore di fatto denunciato con l’istanza di revocazione era ed è costituito dall’avere fondato la decisione di prescrizione della sentenza n. [Omissis] sulla supposizione di un fatto (non aver mai eseguito esami diagnostici dalla nascita del ricorrente) la cui verità e incontrastabilmente esclusa dal doc. n. 11 in ns. produzione di primo grado – Referto di visita ASL ([Omissis]) in data 22.9.2003 (oltre che da quanto si legge nella relazione del CTU e nel doc. 9 in ns. produzione di primo grado – Verbale della Commissione per l’invalidità civile di [Omissis] in data 1.3.2004…)”, rilevando, altresì, come ulteriore errore di fatto revocatorio quello di aver ritenuto che “l’indagine RM avrebbe potuto essere effettuata molto prima… allo scopo di accertare la causa di sordità”, là dove invece, come risulta dalla cartella clinica dell’Ospedale di [Omissis], la effettuazione della RM non fu “per scopi di accertamento, ma perché prodromica all’intervento chirurgico di impianto cocleare”.
3.3. – Con il terzo mezzo è prospettato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame del fatto “che anche il verbale della Commissione Invalidità Civile dimostra la sussistenza dell’errore revocatorio”, avendo la Corte territoriale adottato una motivazione affatto confusa e contraddittoria, e come tale “inesistente”, in ordine al motivo di gravame sulla omessa ponderazione dell’accertamento di detta Commissione e del suo successivo verbale, non essendovi in tale verbale “nessun punto… dal quale sia possibile ricavare la convinzione di “conoscibilità da lunga durata della causa neonatale dell’infermità”, né la sentenza specifica in nessun modo da quale punto del detto verbale abbiamo desunto il suo convincimento”.
3.4. – Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili.
Il giudice di appello ha ritenuto – con motivazione del tutto intelligibile e non affatto intrinsecamente contraddittoria (cfr. sintesi al p. 4.1. dei “Fatti di causa”) e, dunque, rispettosa del c.d. minimo costituzionale (cfr. Cass., S.U., n. 8053/2014) – che la sentenza impugnata per revocazione non fosse affetta dai denunciati errori di fatto ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. in quanto le critiche dell’istante si appuntavano, per un verso, su valutazioni del giudice di merito in ordine ai fatti inerenti all’accertamento dell’epoca di decorrenza della prescrizione e, per altro verso, su documenti di cui lo stesso giudice aveva espressamente considerato e dato conto in motivazione (accertamento della Commissione invalidità del 1998 e successivo verbale del 2004).
Ciò, dunque, in armonia con il principio, consolidato, secondo cui l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuali (tra le tante, Cass., 26 gennaio 2022, n. 2236).
In questa sede parte ricorrente non solo ripropone, nella sostanza (a prescindere dalla rubrica dei motivi), le medesime censure veicolate nei confronti della sentenza impugnata per revocazione (anche in violazione, quindi, dell’art. 403 c.p.c., che tanto non consente), aggredendo la valutazione della quaestio facti apprezzata dalla Corte territoriale e assumendo, altresì, la decisività del referto di visita ASL TA 1 del 22.9.2003, di cui però non si dà alcuna contezza contenutistica specifica, deducendo soltanto che si trarrebbe da esso l’insussistenza del nesso eziologico tra sordità e inadeguata assistenza al parto e, dunque, riproponendo una valutazione di merito.
Referto che, ad avviso del ricorrente, non sarebbe stato esaminato sia dal giudice della sentenza n. [Omissis], sia da quello della sentenza n. [Omissis], così da prospettare, in assenza di deduzioni circa il fatto che sul documento si sia effettivamente controverso, un errore revocatorio non denunciabile in questa sede, ai sensi dell’art. 403 c.p.c.
É difatti principio consolidato che nel ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza emessa nel giudizio di revocazione non sono deducibili censure diverse da quelle previste dall’art. 360 c.p.c. e, in particolare, non sono denunciabili ipotesi di revocazione ex art. 395 c.p.c., non rilevando, in contrario, la circostanza che la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione non possa essere a sua volta impugnata per revocazione (tra le altre, Cass., 15 dicembre 2020, n. 28452).
4. – Il ricorso iscritto al R.G.N. 11112/2020 va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
5. – Può, dunque, essere ora esaminato il ricorso iscritto al R.G.N. 16982/2018.
5.1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2947 e 2935 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente applicato il consolidato principio di diritto, espresso dalla norme anzidette, per cui, in ipotesi di “fatto dannoso lungolatente” – e, dunque, nel caso di una malattia cagionata da fatto doloso o colposo di un terzo -, il termine di prescrizione decorre non dal momento in cui la malattia si è manifestata all’esterno, ma dal momento in cui la stessa è stata percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso colposo di un terzo, usando l’ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche.
Il ricorrente sostiene che il giudice di appello avrebbe reputato non condivisibili le argomentazioni difensive attoree (per cui solo nel 2006, in occasione di effettuazione di una risonanza magnetica, era stato possibile accertare la causa della sordità nella ipossia fetale) pur mancando di omettere qualsiasi accertamento sullo “stato delle conoscenze scientifiche dell’epoca”, quale parametro di valutazione che era stato oggetto di quesito al c.t.u. in primo grado e che non aveva trovato risposta nella consulenza tecnica.
5.2. – Con il secondo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo della controversia, discusso in giudizio, “costituito dal mancato accertamento” – oggetto di quesito al c.t.u. che non ha avuto risposta – “che, dall’epoca della nascita ([Omissis]), la risonanza non era utilizzata, secondo il livello di conoscenze scientifiche, al fine di diagnosticare la causa neonatale della sordità, e che tale utilizzo è avvenuto solo a partire dagli anni 2000”.
5.3. – I due motivi, da scrutinarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.
5.3.1. – Come ricordato anche dal ricorrente, è principio consolidato quello per cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere non dal momento in cui il fatto si verifica nella sua materialità e realtà fenomenica, ma da quando esso si manifesta all’esterno con tutti i connotati che ne determinano l’illiceità (tra le altre, Cass., 5 luglio 2019, n. 18176).
In particolare, questa Corte, in tema di responsabilità per danni alla salute conseguenti ad emotrasfusioni di sangue infetto da virus HBV, HIV e HCV, ha affermato che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita, o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576; in senso conforme, tra le tante: Cass., 19 dicembre 2013, n. 28464; Cass., 18 giugno 2019, n. 16217; Cass., 26 maggio 2021, n. 14470; Cass., 30 marzo 2022, n. 10190).
Sicché, l’exordium praescriptionis, che la parte eccipiente ha l’onere di allegare e provare ai sensi dell’art. 2697, comma 2, c.c., coincide con il momento in cui viene ad emersione il completamento della fattispecie costitutiva del diritto, da accertarsi, rispetto al soggetto danneggiato, secondo un criterio oggettivo di conoscibilità della etiopatogenesi e un tale principio è da ribadirsi anche rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio, in cui si assume che la sordità bilaterale della quale è affetto il [Omissis] abbia avuto origine neonatale, per ipossia fetale, quale causa che l’attore ha dedotto di aver potuto conoscere soltanto nel 2006, a seguito di risonanza magnetica, quale esame diagnostico ritenuto solo “di recente acquisizione”.
5.3.2. – Tale oggettiva conoscibilità della causa della malattia a carico dell’attore, da valutarsi in correlazione alla diffusione delle conoscenze scientifiche, non risulta affatto dalla sentenza impugnata (cfr. sintesi della relativa motivazione al p. 2.1. dei “fatti di causa”, cui si rinvia), nella quale ci si sofferma sul profilo della carente diligenza della parte istante nell’accertamento della etiopatogenesi della malattia in ragione di elementi che, tuttavia, non forniscono il dato oggettivo su cui avrebbe dovuto fare leva la condotta diligente, ossia lo stato delle acquisizioni della scienza medica che avrebbero potuto consentire di conoscere, già in epoca precedente al 2006, l’esistenza del nesso eziologico tra sordità bilaterale e ipossia fetale.
Il giudice di appello ha, dunque, ricondotto nella fattispecie legale di cui all’art. 2935 c.c., deputata a dettare la disciplina della decorrenza della prescrizione alla luce della relativa interpretazione innanzi rammentata (che costituisce diritto vivente) e che la stessa Corte territoriale ha mostrato di condividere, un fatto materiale privo dei connotati idonei a consentire di trarre dalla norma stessa le proprie conseguenze giuridiche, contraddicendone, pertanto, la pur corretta ermeneusi.
La Corte di appello, pertanto, è incorsa in un vizio di sussunzione e ciò proprio in ragione del mancato accertamento del fatto sopra evidenziato, ossia il dato oggettivo della diffusione delle conoscenze scientifiche in relazione all’esistenza del nesso causale tra la sordità bilaterale di cui è affetto il [Omissis] e la ipossia fetale che si assume patita dallo stesso in occasione della nascita.
6. – Va, dunque, accolto il ricorso e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte di appello di [Omissis] – sezione distaccata di [Omissis], in diversa composizione, che deliberà nuovamente il gravame alla luce dei principi e dei rilievi innanzi evidenziati nel delibare e provvederà, altresì, a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso iscritto al R.G.N. 11112/2020 e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.650,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in riferimento al predetto ricorso iscritto al R.G.N. 11112/2020, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto,
accoglie il ricorso iscritto al R.G.N. 16982/2018, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di [Omissis] sezione distaccata di [Omissis], in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.