Fideiussioni non omnibus: la nullità delle clausole oggetto del provvedimento Banca d’Italia 55/2005 può essere parziale Trib. Milano, Sez. Spec. Impr A, 22/12/2021, n. 10643

By | 09/12/2022

TRIB. MILANO, SEZ. SPEC. IMPR A, 22/12/2021, N. 10643

«L’estensione alle fideiussioni non omnibus della nullità delle clausole oggetto del provvedimento n.55/2005 della Banca d’Italia relativo a quelle omnibus può comportare anche la sola nullità parziale della fideiussione e non, invece, la nullità totale della medesima in tutte le ipotesi in cui, a mente di quanto disposto dall’art. 1419, 1° co., c.c., l’assetto degli interessi negoziali non venga pregiudicato dall’eliminazione di singole clausole nulle al punto che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità.» (Massima non ufficiale)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione -in opposizione a decreto ingiuntivo n. [Omissis] , notificato all’ingiunto opponente in data 07.11.2018 -regolarmente notificato alla controparte qui opposta in data 17.12.2018 e tempestivamente iscritto a ruolo in data 24.12.2018 – [Omissis] ha adito questo Tribunale, nella veste di garante, avendo rilasciato a favore di [Omissis] S.P.A., fideiussione, in data 29.01.2010, a garanzia delle obbligazioni assunte da [Omissis] s.r.l. nei confronti di [Omissis] s.p.a. -ora [Omissis] s.p.a. -in relazione al contratto di locazione finanziaria n.00939284 001, stipulato lo stesso z

A sostegno delle proprie domande, parte attrice ha lamentato:

• la violazione della normativa Antitrust -attraverso un’intesa anticoncorrenziale tra gli istituti di credito nazionali, accertata dalla Banca D’Italia nel mese di maggio del 2005 – ed avente ad oggetto la predisposizione di clausole uniformi, da inserire nei contratti di fideiussione c.d. omnibus da sottoporre al mercato, lesive della libera concorrenza sul mercato, con conseguente nullità dei contratti a valle, frutto dell’intesa;

• la vessatorietà, rispetto ai parametri previsti nel codice civile (articoli 1341, 1342 cc) e nella disciplina consumeristica (art.33 e seguenti del codice del consumo), della clausola con cui il fideiussore resta obbligato al rimborso, in favore della banca, di quanto la stessa abbia a restituire al debitore principale per effetto di revocatoria, quale clausola limitativa della facoltà di opporre eccezioni (cd “clausola di reviviscenza”); e, altresì, della clausola che prevede tacita proroga o rinnovazione del contratto.

Tutto ciò premesso, sul rilievo per cui il predetto provvedimento della Banca d’Italia, quale prova privilegiata, ha “un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale”, quale causa di danno, sia alla generalità dei consumatori che ai singoli, l’opponente ha concluso nel senso della nullità dell’intero contratto fideiussorio, “anche nel caso di contratti di garanzia sottoscritti dal fideiussore e riproducenti soltanto alcune delle clausole dello schema ABI”, dato che “è il contratto, e non le singole clausole, ad essere espressione di intese che violano la concorrenza”, l’opponente agisce in questa sede per la declaratoria di nullità dell’intero contratto di fideiussione. In particolare, l’opponente rileva che la lettera c) -“il fideiussore è tenuto a rimborsarvi le somme da voi incassate in pagamento di obbligazioni garantite dalla presente fideiussione e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo” -riproduce la clausola di reviviscenza, contenuta nell’art.2 dello schema ABI; che la lettera f) delle condizioni generali della fideiussione -“il fideiussore vi dispensa dall’onere di agire nei confronti dell’utilizzatore nei termini previsti dall’art.1957 cc rimanendo obbligato.in deroga a tale norma -anche se non abbiate proposte le relative istanze contro l’utilizzatore, coobbligati od aventi causa o non le abbiate continuate” -riproduce la clausola in deroga, contenuta nell’art.6 dello schema ABI; che la lettera h) -“nell’ipotesi in cui il contratto di locazione finanziaria sia dichiarato invalido, la fideiussione si intende fin d’ora estesa a garantire il risarcimento dovutovi per l’indebito uso del bene da parte dell’utilizzatore e per la perdita di valore commerciale del medesimo…” -riproduce la clausola contenuta nell’art.8 dello schema ABI, illegittima nella misura in cui può indurre la banca, in sede di erogazione del credito, a dedicare minore attenzione alla validità ed all’efficacia del rapporto col debitore principale.

Infine, l’opponente ha eccepito l’inidoneità probatoria del solo estratto conto, prodotto ex adverso, a fondare la pretesa creditoria di controparte.

Si è costituito [Omissis] S.P.A., sulla scorta delle seguenti deduzioni.

• Il provvedimento n.55/2005 della Banca d’Italia non vale ad affermare che le clausole di sopravvivenza, reviviscenza e rinuncia ai termini ex art. 1957 ce, di cui agli articoli 2, 6, 8 dello schema ABI, sia nulle, per così dire, in re ipsa, bensì solo nella misura in cui, applicate in modo uniforme, comportano intesa in violazione della normativa antitrust, occorrendo pur sempre verificare che la stipula di contratti cd “a valle” dell’intesa medesima sia anch’essa espressione di applicazione della stessa intesa illecita.

• La fideiussione in questione, inoltre, non è omnibus, bensì specificamente correlata soltanto alle obbligazioni derivanti da uno specifico contratto di leasing.

• L’opponente non dà prova alcuna che la fideiussione in questione sia manifestazione di intesa illecita e, comunque, non ne potrebbe derivare la nullità totale dell’intero negozio, bensì, al più, solo delle clausole in parola.

• Quanto, infine, all’estratto conto, i versamenti dell’utilizzatore, debitore principale, sono avvenuti con addebito in conto corrente, che l’opposto ha corroborato producendo le g singole fatture cui si riferiscono le relative poste dell’estratto conto medesimo.

Ha quindi concluso per il rigetto dell’avversa opposizione.

Si è, altresì, costituito, con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 31.8.2021, il terzo interveniente volontario, ex art. 111 cpc, [Omissis] S.P.A., incorporante [Omissis] S.P.A., che, dando atto che, in pendenza di lite, a far data dall’11.11.2019, è divenuta efficace la fusione per incorporazione di [Omissis] S.p.A. in [Omissis] S.p.A., ha fatto proprie tutte le domande ed eccezioni già sollevate da [Omissis] S.p.A. nei precedenti atti di causa, e tutte le difese svolte sia negli atti introduttivi che nelle memorie autorizzate successive.

Svolta la fase preliminare di trattazione, ed assegnati i termini ex art. 183, comma VI, c.p.c., le parti sono state invitate a precisare senz’altro le conclusioni innanzi al Giudice Istruttore e, previa assegnazione di termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Reputa il Tribunale che l’opposizione sia infondata e debba, perciò, essere respinta.

Occorre subito osservare che, nel caso qui in esame, l’oggetto della lite è costituito da una fideiussione sottoscritta da parte attrice a garanzia di un contratto di leasing, non da fideiussione omnibus. In particolare, in data 29.01.2010 parte attrice opponente ha sottoscritto una fideiussione a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni gravanti sul debitore principale [Omissis] s.r.l., corrente in [Omissis], in forza della locazione finanziaria stipulata in pari data (doc.4, allegato al ricorso in monitorio).

Assume, peraltro, la stessa parte attrice che le clausole sopra indicate, contenute in tale negozio fideiussorio, costituirebbero, comunque, la letterale trasposizione delle condizioni di fideiussione omnibus sanzionate con il citato provvedimento n.55/2005.

In virtù della deduzione della nullità della fideiussione per violazione della disciplina in tema di intese anticoncorrenziali, il presente giudizio si colloca, perciò, nell’ambito di un ampio contenzioso nazionale, avente ad oggetto la ritenuta invalidità dei contratti di fideiussione c.d. omnibus predisposti dagli istituti bancari nazionali e sottoscritti con la clientela, contenenti alcune clausole- derogatorie della disciplina codicistica di cui gli artt.1939, 1945 e 1957 c.c. – ritenute dall’Autorità Antistrust frutto di un’intesa a monte illecita, lesiva della concorrenza sul mercato. In particolare, la Banca D’Italia -all’epoca con funzioni di Autorità Antitrust nel settore bancario- con provvedimento definitivo n.55 reso in data 2 maggio 2005 -ha giudicato anticoncorrenziali alcune condizioni di fideiussione omnibus predisposte da ABI con la circolare, serie tecnica n.20, del 17 giugno 1987. Tale modello è stato valutato integrante un’intesa restrittiva della concorrenza -e, pertanto, vietata ex art.2 della L.n.287/1990 -sia dalla Banca d’Italia, col predetto provvedimento n.55/2005, sia dalla AGCM, con parere tecnico n. 14251, del 20 aprile 2005.

Le clausole dello schema ABI ritenute sbocco dell’intesa illecita sono le seguenti: la n.2 (c.d. clausola di sopravvivenza); la n 6 (clausola di rinuncia al termine di decadenza) e la n. 8 (c.d. clausola di insensibilità della garanzia ai vizi del titolo). Attraverso tale disciplina, ABI prevedeva una disciplina “significativamente non equilibrata degli interessi delle parti contraenti”, creando uno squilibrio di “sicuro e specifico rilievo anticoncorrenziale”.

In particolare, il provvedimento n.55/2005 dispone che gli articoli 2, 6, 8 dello schema contrattuale A.B.I. per le fideiussioni omnibus “contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’art.2, secondo comma, lettera a), della legge n.287/1990”. Tali articoli, infatti, prevedono schemi di clausole che non sono funzionali a garantire l’accesso al credito bancario, mentre hanno “lo scopo precipuo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa” (così in motivazione, par. IX), punto n.96, pag.17).

Ciò premesso, nel contenzioso giudiziale che ne è seguito, tra fideiussori da un lato e istituti bancari dall’altro, la lesione del mercato -accertata a monte- cagionerebbe la nullità -derivata- a valle dei contratti conclusi dagli Istituti bancari con i propri clienti, sbocco dell’intesa vietata, in quanto contenenti tali clausole, restrittive, appunto, della concorrenza sul mercato. Tale conseguenza invalidante, oggetto di discussione in sede interpretativa giacché aggiuntiva al rimedio risarcitorio espressamente previsto dal legislatore contro l’illecito Antitrust, è ormai recepita non solo in sede di merito (cfr. tra le altre, Tribunale di Milano, n.610/2020 e Corte D’Appello di Milano n. 192/2020), ma anche dai giudici di legittimità (cfr. Cass. 24044/2019).

Ciò premesso, parte attrice ha prospettato la nullità totale del negozio anzidetto, ex art. 1418 c.c., per contrarietà a norme imperative, ed in particolare per contrarietà all’art. 101 TFUE, che sanziona di nullità le intese antitrust.

Si tratterebbe qui di una c.d. “nullità derivata” dei contratti stipulati a valle dell’intesa illecita.

Nonostante le deduzioni di parte attrice -che ha chiesto dichiararsi la nullità totale dei rapporti negoziali oggetto di lite -ritiene in primo luogo questo Tribunale che si possa astrattamente parlare, al più, di nullità meramente parziale, ex art. 1419 c.c.

Nulla quaestio in ordine alla nullità di tali clausole in ordine alla quale questo Ufficio si è già pronunciato con numerosi arresti, affermando -tra l’altro -che “le clausole debbano ritenersi sicuramente caratterizzate da oggetto illecito, perché traspongono nel contratto ‘a vallè l’identico contenuto del prodotto dell’intesa ‘a montè, la cui invalidità è espressamente sancita da una norma imperativa (art.2, L.n.287/90) (..). L’art.2, co.3, della L.n.287/90, espressamente sancisca la nullità delle intese restrittive della concorrenza «ad ogni effetto», così come l’art. 101 TFUE dichiari l’incompatibilità delle intese anticoncorrenziali, in qualsiasi modo esse siano attuate, con il mercato dell’Unione Europea. Sicché sarebbe contrario alla lettera della legge considerare nulle le intese, ma non i contratti che su tali intese direttamente si innestano. Se così fosse, infatti, sarebbe vanificata l’intera disciplina antitrust, perché verrebbe sancita la nullità delle sole intese restrittive, ma non i vincoli negoziali che proprio tali intese (illecite) hanno generato (principio espresso dal leasing case Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 14.12.1983 n. C-391/82 e poi ribadito dalla giurisprudenza di legittimità a più riprese, compresa la recente Cass. Ci. 13846/2019 cit.) “.

Tuttavia, l’estensione, per via interpretativa, alle fideiussioni “non omnibus” della nullità delle clausole oggetto del provvedimento n.55/2005 della Banca d’Italia -relativo alle sole fideiussioni omnibus -potrebbe, in ipotesi, cagionare la sola nullità parziale -limitata, appunto, a tali clausole – ma non anche la totale invalidità del negozio fideiussorio.

Trova infatti applicazione il rimedio di cui al primo comma dell’art.1419 c.c. ogniqualvolta l’assetto degli interessi negoziali venga pregiudicato dall’eliminazione di singole clausole nulle, al punto che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità. Nel caso in esame va, comunque, esclusa la nullità totale delle fideiussioni, giacché l’espunzione delle pattuizioni di cui agli articoli 2, 6 e 8 delle vecchie Norme Bancarie Uniformi -pur considerate anticoncorrenziali -non intacca la causa c.d. in concreto del contratto, cioè la ragione economica che ha determinato la scelta di concludere il negozio, ossia la volontà del garante di obbligarsi personalmente favore del creditore. Si tratta, infatti, di clausole che non incidono su struttura e causa del contratto e, per altro verso, sono funzionali solo all’interesse della banca, non anche dei fideiussori, sicché solo la banca potrebbe avere interesse a dolersi della loro espunzione (così, Cass.n.24044/2019).

Ritiene, dunque, il Collegio che, sulla scorta degli elementi fattuali acquisiti in causa, gli interessi perseguiti dalle parti -nella loro essenza- non risultino intaccati dalla caducazione dei singoli precetti negoziali in ipotesi invalidi, e che le stesse parti avrebbero comunque concluso la fideiussione in parola.

Anche in assenza delle clausole censurate dalla Banca d’Italia, costituiva infatti primario interesse dell’opposta ampliare le garanzie del credito concesso al debitore principale sì dà incrementare la possibilità di ottenere la restituzione integrale del finanziamento prestato.

Quanto al fideiussore, va pure osservato che, se anche un’intesa vietata possa essere dannosa per un soggetto, consumatore o imprenditore, che non vi abbia preso parte, purtuttavia, perché gli si possa riconoscere un interesse ad invocare la tutela di cui all’art.33 secondo comma L.n.287/’90, non è sufficiente che questi alleghi la nullità dell’intesa medesima, ma occorre che precisi la conseguenza che tale vizio ha prodotto sul proprio diritto ad una scelta effettiva tra una pluralità di prodotti concorrenti, allegando e dimostrando che almeno una delle clausole sanzionate di nullità dal citato provvedimento della Banca d’Italia, n.55/2005, ha trovato applicazione nella fattispecie, con conseguente produzione di danni, ex art.2043 cc, o che le parti, conoscendo la nullità di dette clausole, non avrebbero concluso il contratto (in tal senso, Corte Appello Milano, n. 1966/2020) -ciò che, qui, non risulta provato.

In conclusione, la doglianza si risolve in un’ipotesi di nullità parziale, senza inficiare l’intero testo, valido ed efficace per la restante parte al momento del suo perfezionamento. Non è, poi, consentito d’ufficio convertire una domanda di nullità totale, ex art. 1418 c.c., in una domanda di nullità parziale, introducendosi, altrimenti, un’inammissibile sovrapposizione di deciso alla valutazione ed alle determinazioni dell’autonomia negoziale (Cassazione Civile Sez. Unite, 12.12.2014, n.26242 e n.26243); dal che discende che il Tribunale deve respingere la domanda di nullità totale senza dichiarare la nullità parziale, che si tradurrebbe in un’ipotesi -inammissibile- di ultra petita.

A ciò va aggiunto che il provvedimento n.55/2005 della Banca d’Italia -che, com’è noto, è prova privilegiata della condotta anticoncorrenziale per le fideiussioni cd omnibus nel periodo esaminato (Cass. n. 13846/’19) -non costituisce qui prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza, dato che la fideiussione in parola è successiva di quasi cinque anni rispetto al provvedimento medesimo, e si colloca, perciò, dal punto di vista temporale, in un periodo rispetto al quale nessuna indagine è stata svolta dall’autorità di vigilanza, la cui istruttoria ha coperto un arco temporale compreso tra il 2002 ed il maggio 2005.

Si tratta, perciò, di controversia riconducibile alle cause cd stand alone, per le quali parte attrice è onerata dell’allegazione e dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, tra cui, in particolare, quello della perdurante esistenza, all’epoca della sottoscrizione del contratto de quo. dell’intento collusivo in capo alle banche.

Piuttosto, la nullità dell’atto cd “a monte” non si comunica automaticamente all’atto “a valle”, se chi la deduce non prova, contestualmente, non solo il danno concretamente subito, ma anche -e soprattutto -che al momento della stipulazione dell’atto “a valle” era perdurante l’applicazione, in modo uniforme, dell’intesa collusiva anticoncorrenziale “a monte” (in tal senso, Corte Appello Milano, n.2484/’20; in tal senso, anche, la pronuncia n.5039/’18 della medesima Corte distrettuale).

Resta pertanto assorbita ogni questione circa l’efficacia dell’accertamento della Banca D’Italia per condotte ritenute anticoncorrenziali poste in essere successivamente al provvedimento n.55 del 2 maggio 2005.

Giova, inoltre, ribadire che la fideiussione in parola, ove correlata al solo contratto di leasing, non configura un modello riconducibile al disposto dell’art. 1938 cc (in tal senso, Corte Appello Milano, n. 1953/2020), e non è, dunque, omnibus -non essendo prestata a garanzia di qualsiasi debito contratto dal debitore principale, bensì a garanzia soltanto di uno specifico rapporto negoziale -appunto, il leasing stipulato dal debitore principale [Omissis] s.r.l. nella stessa data del 29.1.2010.

Rispetto a siffatto negozio, l’accertamento della Banca d’Italia non può, perciò, valere come prova privilegiata, avendo riguardato esclusivamente lo schema contrattuale elaborato dall’Associazione di categoria solo per le fideiussioni omnibus, senza investire il settore delle fideiussioni rilasciate a garanzia delle obbligazioni derivanti da specifiche operazioni bancarie (così a punti n.2 e n.9 del provvedimento n.55/2005).

Non assumono, poi, alcun concreto e idoneo rilievo probatorio i modelli di contratto prodotti da parte attrice opponente -sub doc. 3 -15, in allegato alla memoria ex art. 183 sesto comma n.2 c.p.c, depositata in data 1.11.2019, trattandosi di schemi che, per la quasi totalità, attengono a fideiussioni omnibus. Né la carenza probatoria in parola può essere colmata, per un verso ricorrendo al principio di vicinanza della prova, sì da ribaltare sulla banca l’onere di dimostrare il carattere non già occasionale, bensì uniforme, dell’applicazione delle clausole in questione (Cass.n.30818/’18, n. 13846/’19); o, per altro verso, con l’adozione dell’ordine di esibizione, pur sollecitato dall’opponente nella memoria medesima, che, allo stato, in un panorama probatorio del tutto carente in relazione al tipo di fideiussione qui rilevante (cioè, appunto, non omnibus), si pone come meramente esplorativo, perciò inammissibile, non soltanto con riguardo al pur rigoroso disposto dell’art.210 c.p.c, ma anche rispetto alla previsione normativa di cui all’art.3 del decreto legislativo n.3/2017, che, com’è noto, ha attenuato i requisiti d’ammissibilità dell’ordine di esibizione, rispetto all’omologa norma processuale, laddove, a norma del primo comma, lo permette se la prova da esibire sia “ragionevolmente disponibile dalla controparte o dal terzo” e “sufficiente a sostenere la plausibilità della domanda”.

Con riguardo, poi, al profilo di nullità rispetto al parametro della disciplina consumeristica, osserva questo Tribunale che la nullità delle clausole in parola non si estenderebbe comunque all’intero contratto, così come dispone l’art.36, primo comma, D.Lgs.n.206/2005.

Sotto un ultimo profilo, lamenta l’appellante che il credito ex adverso azionato non può dirsi ben dimostrato, nel presente giudizio d’opposizione, essendo fondato sul mero estratto conto, sufficiente, tuttavia, soltanto per la domanda monitoria.

Anche tale profilo è, secondo il Tribunale, del tutto infondato, poiché la contestazione di parte opponente si palesa come del tutto generica ed esplorativa, perciò inammissibile.

Tanto porta senz’altro al rigetto dell’opposizione.

Tenuto, conto, peraltro, che in pendenza di giudizio l’opposto [Omissis] s.p.a. è stato incorporato da [Omissis] s.p.a., trova qui applicazione il disposto dell’art. 110 c.p.c, sicché contraddittore dell’opponente diventa il solo soggetto incorporante, in veste di successore universale dell’incorporato, ormai estinto (Cass.n.21970/’21).

Le spese seguono la soccombenza ex art.91 c.p.c. e sono liquidate secondo i parametri del D.M. n.55/2014, avuto riguardo al valore del cd disputatum. trattandosi di pronuncia di rigetto dell’opposizione. Ex art.2 risulta dovuto il rimborso spese forfettario che si stima di fissare nella misura del 15%. L’I.V.A. risulta dovuta solo se non recuperabile dalla parte per effetto del regime fiscale di cui gode.

P.Q.M.

il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede:

1) respinge l’opposizione proposta da [Omissis] avverso il decreto ingiuntivo n. [Omissis] , del Tribunale di Milano;

2) condanna l’opponente [Omissis] al pagamento, in favore del terzo intervenuto [Omissis] s.p.a., quale incorporante l’opposto [Omissis] s.p.a., delle spese processuali che liquida in €7.254, 00 per compensi, oltre spese generali al 15%, I.V.A. (se ed in quanto non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) e C.P.A.

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