I limiti della legittimazione ad appellare le sentenze di primo grado da parte del Procuratore Generale della Corte d’appello Cass. Pen., Sez. VI, ordinanza 18/10/2022-05/12/2022, n. 46038

By | 19/12/2022

CASS. PEN., SEZ. VI, ORDINANZA 18/10/2022-05/12/2022, N. 46038

«A fronte dei dubbi interpretativi e dei contrasti che si sono già registrati tra le decisioni adottate dalle diverse Sezioni della Corte di cassazione, sia con riferimento all’appello, che al ricorso immediato per cassazione proposti dal procuratore generale della corte di appello avverso una sentenza appellabile emessa da un giudice di primo grado in pendenza del termine di impugnazione del procuratore della Repubblica, si ritiene opportuno rimettere il ricorso alle Sezioni Unite per la risoluzione dei seguenti quesiti, tra loro logicamente coordinati:

se il ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale presso la corte d’appello avverso una sentenza appellabile possa essere qualificato come ricorso immediato ex art. 569 cod. proc. pen. anche quando risultino carenti le condizioni da cui dipende la legittimazione a proporre appello da parte dello stesso procuratore generale, ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen., con conseguente rinvio della sentenza, in caso di annullamento, al giudice competente per l’appello, oppure si debba ritenere che in tale caso si tratti di ricorso per cassazione ordinario ai sensi dell’art. 606, comma 2, cod. proc. pen., con conseguente rinvio al giudice di primo grado che ha emesso la sentenza impugnata;

se l’appello del procuratore generale della corte di appello in pendenza del termine di impugnazione del procuratore della Repubblica sia da ritenersi inammissibile, perché proposto prima della maturata acquiescenza conseguente al mancato appello del procuratore della Repubblica presso II tribunale, o se tale inammissibilità si concretizzi solo ove risulti che alla scadenza del relativo termine, il procuratore della Repubblica non abbia proposto appello» (Massima non ufficiale)

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, nei confronti di [Omissis] è stata emessa sentenza di non doversi procedere per essere i reati ascrittigli di cui agli artt. 570, comma 1, cod. pen. e 12-sexies, legge 1 dicembre 1970, n. 898 (ora 570-bis cod. pen.), estinti per remissione di querela (fatti commessi fino al mese dì marzo 2017).

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di [Omissis] ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen., deducendo come unico motivo la violazione di legge in relazione alla dichiarazione di improcedibilità per remissione di querela in relazione al reato di cui all’art. 12 sexies l. n.898/1970, ora confluito nell’art. 570-bis cod. pen, evidenziando che, per giurisprudenza costante, è procedibile di ufficio (Sez. U, 31/01/2013, n. 23866; Sez. 6, 30.01.2020, n. 7277).

Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, ai sensi dell’art.23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, conv. dalla legge n. 176 del 2020 ed il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, con cui ha richiesto l’annullamento con rinvio alla Corte di appello di [Omissis], competente per la rinnovazione del dibattimento ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 569, comma 4 e 604, comma, 6 cod.proc.pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso impone di affrontare una questione preliminare di carattere squisitamente processuale che attiene alla qualificazione del mezzo di impugnazione proposto dal Pubblico Ministero avverso una sentenza di primo grado appellabile, che investe la interpretazione della disposizione di cui all’art. 593-bis cod. proc. pen. con riflessi diretti sull’ambito di operatività del ricorso per cassazione, c.d. “per saltum” disciplinato dall’art; 569 cod. pro. pen.

Si deve, innanzitutto, rilevare che la sentenza impugnata sebbene rechi nel dispositivo l’improprio richiamo all’art. 469 cod. proc. pen. è stata emessa nel corso della pubblica udienza dibattimentale del 3 marzo 2022 tenutasi nel giudizio di primo grado instaurato davanti al giudice monocratico del Tribunale di [Omissis] dopo la verifica della regolare costituzione delle parti.

Quindi, secondo quanto affermato recentemente dalle Sezioni Unite non è riconducibile al modello della sentenza inappellabile predibattimentale di cui all’art. 469 cod. proc. pen. (vedi, sent. n. 3512 del 28/10/2021, dep. 2022, [Omissis], Rv. 282473).

Si tratta di una sentenza appellabile, seppure pronunciata senza l’espletamento dell’istruttoria dibattimentale, dopo le conformi conclusioni della difesa dell’imputato e del Pubblico Ministero che hanno ritenuto II reato per cui si procede suscettibile di estinzione per effetto della remissione di querela.

2. Prescindendo dalla valutazione del merito dell’impugnazione, si deve preliminarmente risolvere la questione della corretta qualificazione operata dal Pubblico Ministero, che nella veste di Procuratore Generale presso la competente Corte di appello di [Omissis], ha ritenuto di impugnare l’anzidetta sentenza, proponendo tempestivo ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen. In particolare risulta che la sentenza è stata comunicata al Procuratore generale presso la Corte di appello di [Omissis] il 4 marzo 2022, quindi il giorno dopo la data del 3 marzo 2022, di emissione e lettura della sentenza con motivazione contestuale.

Va osservato che l’art. 593-bis cod.proc.pen., introdotto nel quadro della riforma del sistema delle impugnazioni penali prevista dal d. Igs. 6 febbraio 2018 n. 11, entrata in vigore il 6 marzo 2018, ha sostanzialmente operato una ripartizione del potere di appello del pubblico ministero avverso le sentenze emesse dai giudici di primo grado, assegnandolo prioritariamente al procuratore della Repubblica presso il tribunale e secondariamente al procuratore generale presso la corte di appello, limitatamente ai “casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento”.

Con l’art. 166-bis disp. att. cod.proc.pen., introdotto dal citato d.lgs. n. 11 del 2018, è stato previsto che, al fine di coordinare le decisioni dei rispettivi uffici del pubblico ministero in tema di impugnazioni delle sentenze di primo grado, il procuratore generale presso la corte di appello promuove intese o altre forme di coordinamento con i procuratori della Repubblica del distretto.

Nulla è però stato stabilito sul piano normativo per disciplinare le modalità con cui è esercitabile in concreto il potere di appello da parte del procuratore generale, fuori dai casi di avocazione, che non rilevano nel caso di specie, e che neppure in realtà pongono problemi di coordinamento, poiché nei casi di avocazione (ex artt. 372, 412, 413 cod. proc. pen.) le funzioni del pubblico ministero a norma dell’art. 51 cod. proc. pen. sono esercitate dai soli magistrati in servizio della procura generale presso la corte di appello.

3. Il problema centrale nasce dalla mancanza di una disciplina processuale dell’istituto dell’acquiescenza.

Come emerge anche dalla lettura della relazione illustrativa della riforma delle impugnazioni attuata con il d.lgs. n.11/2018 la finalità dell’art. 593-bis cod. proc. pen. è stata quella di razionalizzare l’esercizio del potere di impugnazione della pubblica accusa, limitando l’appello del procuratore generale, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 1, comma 84, lett. g) della legge n. 103 del 23 giugno 2017 che nel fissare i criteri direttivi per l’esercizio della delega espressamente statuiva di “prevedere che il procuratore generale presso la corte di appello possa appellare soltanto nei casi di avocazione e di acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice di primo grado.” L’art. 570 cod.proc.pen., che regola l’impugnazione del pubblico ministero, nel testo previgente alla riforma, attribuiva il potere di impugnazione al procuratore della Repubblica e al procuratore generale presso la corte di appello, oltre che al rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni, riconoscendo piena autonomia ai predetti organi nell’esercizio delle rispettive facoltà, essendo previsto che II pubblico ministero del grado superiore poteva proporre impugnazione nonostante la impugnazione del pubblico ministero di grado inferiore o l’acquiescenza di questo, senza alcuna preclusione derivante dalle conclusioni formulate dal rappresentante del pubblico ministero.

Era quindi possibile la contemporanea proposizione di impugnazione da parte di entrambi gli organi, con sovrapposizione dei due gravami.

Con l’introduzione dell’alt. 593-bis cod. proc. pen., con riferimento all’appello, tale regola è stata ora modificata.

La riforma, però, non ha in alcun modo modificato la legittimazione a proporre appello sia del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni (articolo 570, comma 2, cod.proc.pen.), sia del procuratore della Repubblica presso il tribunale (articoli 570, comma 1, cod.proc.pen.), ma si è limitata a restringere la legittimazione del procuratore generale presso la corte d’appello esclusivamente in caso di inerzia del pubblico ministero di primo grado.

Tuttavia, con riferimento all’inerzia del pubblico ministero di primo grado, la riforma non si è curata di Introdurre una modifica dei casi dì avocazione e si è limitata a fare riferimento all’acquiescenza del procuratore della Repubblica senza chiarirne le modalità, le forme, l’oggetto, gli effetti, lasciando immutata anche la disciplina generale dei mezzi di impugnazione ed in particolare l’art. 591 cod. proc. pen., che regola i casi di inammissibilità dell’impugnazione, e l’art. 589 cod. proc. pen., in tema di rinuncia all’impugnazione.

Peraltro, dalla relazione illustrativa della riforma si evince che “al fine di far fronte alle esigenze pratiche collegate alla necessità di assicurare al procuratore generale un congruo termine per valutare se impugnare e, in caso positivo, per redigere l’atto di appello, si è optato per l’introduzione di un nuovo articolo nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – 166 bis – diretto a promuovere intese ed altre forme di coordinamento fra procure generali e procure della Repubblica dei relativi distretti”.

Quindi, con il dichiarato intento di “non modificare l’attuale disciplina, con appesantimento della procedura oggi in vigore”, sì è ritenuto di affidare a protocolli organizzativi degli uffici delle procure della Repubblica e della procura generale del distretto le modalità di concreto esercizio del potere di impugnazione del procuratore generale.

Sennonché, l’assenza di una modifica della disciplina delle impugnazioni con riferimento all’istituto dell’acquiescenza e della rinuncia all’impugnazione, ha determinato una carenza di regolamentazione rispetto alla valutazione che il giudice dell’impugnazione è chiamato a compiere per la verifica della legittimazione ad Impugnare della parte che propone l’atto di appello, non essendo state chiarite né la rilevanza esterna di detti protocolli organizzativi, né le conseguenze di una loro eventuale mancata adozione, come anche le conseguenze di una loro inosservanza sul piano della disciplina generale dei mezzi di impugnazione.

4. Va osservato a tale riguardo che la nozione dì acquiescenza è legata essenzialmente alla decorrenza del termine di impugnare, con la conseguenza che il procuratore generale andrebbe ritenuto legittimato ad appellare solo dopo la scadenza del termine di impugnazione previsto per il procuratore della Repubblica senza che questi abbia assunto l’iniziativa di proporre un proprio autonomo appello (nella stessa relazione illustrativa l’inerzia del pubblico ministero di primo grado viene intesa come manifestazione dell’acquiescenza In ragione dell’omessa impugnazione nei termini).

Il mancato regolamento del potere di appello del procuratore generale della corte dì appello si coglie, pertanto, anche nell’assenza della previsione di un termine di impugnazione differenziato da quello previsto per II procuratore della repubblica presso il tribunale, atteso che il termine di impugnazione resta in linea di principio identico per entrambi.

Tale coincidenza rende problematica la perimetrazione dell’ambito di operatività del potere di appello del procuratore generale segnato dal riferimento all’acquiescenza al provvedimento da parte del procuratore della Repubblica.

Il termine di Impugnazione per i due predetti organi del pubblico ministero può mutare dì fatto solo per effetto del diverso dìes a quo, in dipendenza di eventi accidentali che possono posticiparne talvolta la decorrenza iniziale per il procuratore generale, come nel caso in cui la comunicazione del deposito della sentenza previsto dall’art.548, comma 3, cod. proc. pen. non avvenga nello stesso giorno del deposito della sentenza letta in udienza con motivazione contestuale.

Ma non è escluso che si possano verificare dei casi in cui la decorrenza risulti anticipata per il procuratore generale, come nel caso di deposito tardivo della motivazione e conseguente comunicazione dell’avviso di deposito ex art. 548, comma 2, cod. proc. pen. alle parti legittimate all’impugnazione, che nuda esclude possa intervenire dopo la comunicazione del deposito della sentenza al procuratore generale, previsto dal comma 3 dello stesso art. 548 cod.proc.pen.

In linea generale deve rilevarsi che l’acquiescenza al provvedimento può rendere concretamente Inoperante il potere di appello del procuratore generale della corte di appello, quando la scadenza del termine di Impugnazione del procuratore della repubblica maturi dopo quello previsto per il procuratore generale per effetto del diverso dies a quo (si pensi al caso dell’avviso al procuratore generale comunicato prima della scadenza del termine indicato in sentenza dal giudice per il deposito della motivazione, che secondo un orientamento consolidato di legittimità comporta che il termine per proporre l’impugnazione decorre per II procuratore generale dalla data della comunicazione e non dalla scadenza del detto termine, in quanto i principi di impersonalità dell’ufficio e di buon andamento della P.A. fanno presumere che, acquisita notizia della esistenza e del contenuto della sentenza, la procura generale sia in grado di operare “cognita causa” le proprie valutazioni; Sez. 3, n. 7858 del 12/01/2016, C., Rv. 266275).

5. Va considerato, Inoltre, che l’ordinamento prevede e disciplina solo la rinuncia all’impugnazione già proposta (art. 589 cod.proc.pen.), ma non prevede che la parte possa rinunciare all’impugnazione prima ancora di proporla, sicché un’eventuale rinuncia anticipata non farebbe venire meno il diritto di impugnare finché il relativo termine non sia ancora scaduto, salva l’ulteriore e diversa condizione della necessaria sussistenza dell’interesse ad impugnare.

Ciò perché nel processo penale a differenza che in quello civile (vedi l’art.329 cod. proc. civ.) non è prevista e regolata l’acquiescenza come causa di estinzione del diritto di impugnazione, vigendo il diverso principio della natura esclusivamente formale dell’atto processuale di rinuncia all’impugnazione.

Pertanto, l’acquiescenza al provvedimento può discendere a rigore solo dalla scadenza del termine di impugnazione, non essendovi altre forme di acquiescenza regolate dai codice di procedura penale dalle quali possa derivare una delle cause di inammissibilità dell’impugnazione previste dall’art. 591 cod. proc. pen.

Per essere legittimato ad appellare il procuratore generale dovrebbe quindi attendere la scadenza del relativo termine da parte del procuratore della repubblica, con l’effetto paradossale che a quella data il suo termine per impugnare potrebbe essere già scaduto.

Qualora l’acquiescenza dovesse ritenersi collegata unicamente alla scadenza del termine di impugnazione previsto per il procuratore della repubblica, la legittimazione del procuratore generale ad appellare sarebbe ristretta ai limitati casi in cui, per eventi peraltro fortuiti ed accidentali, il termine iniziale di decorrenza dell’impugnazione per tale organo risulti posticipato rispetto a quello del procuratore della Repubblica.

Ne risulterebbe, peraltro, in ogni caso compresso il tempo necessario per decidere che potrebbe ridursi anche ad un solo giorno, come nel caso in cui la comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza avvenga nel giorno seguente la lettura in udienza della sentenza completa di motivazione.

In alternativa, per dare spazio applicativo alla legittimazione del procuratore generale, disciplinata come sottoposta a tale condizione, bisognerebbe ammettere una forma espressa di acquiescenza, sebbene non regolata dal codice di procedura penale, che andrebbe resa da parte del procuratore della Repubblica con una dichiarazione manifestata in pendenza del termine di impugnazione.

6. Ulteriore profilo di incertezza si deve segnalare con riferimento all’ambito soggettivo e oggettivo dell’acquiescenza, che seppure non rilevante nei caso in esame, costituisce un aspetto anch’esso foriero di dubbi interpretativi di grande rilevanza processuale.

In particolare vi è da chiedersi se l’acquiescenza che condiziona la legittimazione dell’appello del procuratore generale sia riferita soltanto all’inerzia del procuratore della Repubblica, o anche a quella del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado.

Una interpretazione restrittiva e letterale della disposizione in esame dovrebbe portare a ritenere che l’acquiescenza non potrebbe che essere riferita al procuratore della Repubblica e non anche al pubblico ministero che a norma dell’art.570, comma 2, cod. proc. pen. ha conservato il proprio autonomo potere di impugnazione.

D’altra parte, va osservato come una tale lettura riduttiva porterebbe a ritenere compatibile la congiunta proposizione di separati atti di appello da parte del procuratore generale e del pubblico ministero del primo grado, frustando il dichiarato Intento deflattivo e di semplificazione delle impugnazione avuto di mira dal legislatore delegante.

In particolare, l’art. 1, comma 84, lett. g) della legge n. 103 del 23 giugno 2017 nel fissare i criteri direttivi per l’esercizio della delega richiedeva di “prevedere che il procuratore generale presso la corte di appello possa appellare soltanto nei casi di avocazione e di acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice di primo grado.” Quindi con riferimento all’ufficio del pubblico ministero presso il giudice di primo grado, senza ulteriori distinzioni.

Tale problematica investe, poi, anche la delimitazione oggettiva dell’acquiescenza, anch’essa lasciata all’opera dell’interprete, non essendo stato chiarito se l’acquiescenza rilevante possa essere anche solo parziale, nel senso di stabilire se l’omessa Impugnazione relativa ad una parte della sentenza possa legittimare l’impugnazione del procuratore generale per la parte residua secondo la delimitazione dei capi della sentenza oggetto dell’appello, e, ove si optasse per la soluzione affermativa, se deve assumere rilievo anche la delimitazione dell’oggetto dell’impugnazione secondo la distinzione tra capi e punti relativi ad un medesimo capo.

7. La mancanza di una disciplina organica della concorrente ma sussidiaria legittimazione ad appellare le sentenze di primo grado da parte del procuratore generale della corte di appello, insieme alla irrilevanza sul piano della disciplina processuale delle intese organizzative previste dall’art. 166- bis disp. att. cod. proc.pen, hanno fatto sorgere degli inevitabili problemi interpretativi, che assumono diretta rilevanza anche nel caso in esame, seppure vertente non in tema di appello ma di ricorso immediato per cassazione.

Va rilevato che il problema dell’appellabilità della sentenza di primo grado da parte del procuratore generale si riflette inevitabilmente anche sul potere di proporre il c.d. ricorso “per saltum”, atteso che il primo comma dell’art. 569 cod.proc.pen. attribuisce tale potere solo alla parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado, sicché, se manca il potere di appellare viene meno anche quello di proporre ricorso immediato per cassazione.

Quindi, la sussistenza della legittimazione ad appellare la sentenza di primo grado da parte del procuratore generale condiziona inevitabilmente anche il potere dello stesso organo del pubblico ministero di proporre ricorso immediato per cassazione.

Da ciò consegue che, ove non ricorrano le condizioni per appellare previste dall’art. 593 bis, comma 2, il procuratore generale dovrebbe a rigore ritenersi privo anche della legittimazione a proporre il ricorso immediato per cassazione, che è previsto come alternativo rispetto all’ordinaria proponibilità dell’appello, con la conseguenza che pur trattandosi di una sentenza appellabile, dovrebbe essere consentito al predetto ufficio del pubblico ministero di proporre unicamente il ricorso ordinario per cassazione, in base, tuttavia, ad una lettura altrettanto problematica dell’art. 608 cod. proc. pen.

Detto articolo attribuisce, infatti, la legittimazione a proporre ricorso per cassazione al solo procuratore generale presso la corte di appello per le sentenze pronunciate in grado di appello mentre per quelle inappellabili pronunciate da un giudice di primo grado (tribunale, corte di assise, giudice per le indagini preliminari) tale legittimazione viene attribuita sia al procuratore generale presso la corte di appello che al procuratore della Repubblica presso il tribunale.

Ma va rimarcato che il ricorso per cassazione è previsto come mezzo di impugnazione ordinario solo per le sentenze pronunciate in grado di appello o per quelle inappellabili, fatta esclusione del ricorso immediato previsto dall’art. 569 cod.proc.pen., che in base all’art. 608, u.c., spetta sia al procuratore generale presso la corte di appello che al procuratore della Repubblica presso il tribunale.

Si tratta, quindi, di valutare se possa ritenersi ammissibile a norma dell’alt. 608 cod.proc.pen. il ricorso per cassazione proposto anche contro le sentenze appellabili emesse da un giudice di primo grado e senza limiti all’appellabilità, nei casi in cui il procuratore generale non sia legittimato a proporre appello ai sensi del secondo comma dell’art. 593-bis cod.proc.pen., quando non sia intervenuta l’acquiescenza del procuratore della Repubblica presso il tribunale, essendo ancora pendente per entrambi il relativo termine di impugnazione.

Tale soluzione presuppone però l’introduzione di una nozione nuova di inappellabilità “soggettiva” non considerata dall’art. 608 cod.proc.pen. che fa, Invece, riferimento alle sentenze di primo grado inappellabili per oggettive connotazioni e prerogative procedurali riconosciute alle parti del processo, pubblico ministero, difesa e parte civile, a prescindere dal riferimento ai soggetti che le rappresentano (si pensi ai limiti all’appello previsti dall’art. 443 cod.proc.pen. per il giudizio abbreviato, dall’art. 448 cod.proc.pen. per le sentenze di patteggiamento e dall’art. 469 stesso codice per la sentenza di proscioglimento predibattimentale).

D’altra parte sarebbe evidentemente inaccettabile, per la completa sterilizzazione dei poteri di impugnazione del procuratore generale che ne deriverebbe, una lettura della norma che facesse discendere dall’assenza di legittimazione ad appellare del procuratore generale per effetto della contemporanea pendenza del termine per appellare del procuratore della repubblica, da un lato, l’assenza di legittimazione a proporre ricorso “per saltum” ex art. 569 cod.proc.pen., trattandosi di sentenza “soggettivamente” inappellabile, e dall’altro lato, l’assenza di legittimazione a proporre ricorso ordinarlo per cassazione ex art. 608 cod. proc. pen., trattandosi di sentenza “oggettivamente” appellabile e come tale non ricorribile per cassazione, se non attraverso lo specifico mezzo di impugnazione del ricorso c.d. “per saltum”.

8. Si aprono, pertanto, diversi scenari condizionati dall’ammissibilità o meno del riferimento ad una nozione di inappellabilità della sentenza dovuta non alle oggettive connotazioni del procedimento ma alle limitazioni che l’art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen. ha introdotto, nel prevedere una legittimazione del procuratore generale sussidiaria a quella del procuratore della Repubblica, nell’intento di impedire la concomitante presentazione di appelli autonomi da parte dei due predetti uffici del pubblico ministero, per finalità deflattive e di semplificazione dei procedimenti di impugnazione (v. relazione illustrativa del disegno di riforma).

Su tali questioni si sono già registrate soluzioni divergenti e contrastanti nella giurisprudenza delle diverse Sezioni della Corte di Cassazione, con importanti ricadute sulla individuazione del giudice di rinvio nel caso di annullamento disposto per l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale presso la corte di appello avverso una sentenza appellabile emessa da un giudice di primo grado.

9. Secondo un primo orientamento (Sez. 3, n.3165 del 22/11/2019, dep. 27/01/2020, [Omissis], Rv. 278637; Sez. 5, n. 10692 del 10/12/2021, dep. 2022, [Omissis], Rv. 282846; Sez.2, n. 6534 del 15/12/2021, dep. 2022, [Omissis], Rv. 282814; Sez. 2, n. 15449 del 14/01/2022, [Omissis], Rv. 283197), il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa da un giudice di primo grado e che sia appellabile deve essere qualificato sempre come ricorso immediato (c.d. “per saltum”) ex art. 569 cod. proc. pen..

Nell’ambito di questo orientamento si distinguono due diversi filoni.

Vi sono delle decisioni che pur partendo dalla comune premessa della carenza di legittimazione alla proposizione dell’appello da parte del procuratore generale in pendenza del termine di impugnazione del procuratore della Repubblica, non ammettono che possa accogliersi una nozione di inappellabilità soggettiva, cosi che la sentenza di primo grado appellabile è impugnabile con ricorso per cassazione solo ai sensi dell’art. 569 cod.proc.pen.

È stato, infatti, precisato che la mancanza delle suddette condizioni legittimanti non incide sull’ontologica esistenza del diritto ad impugnare in capo al Procuratore generale, ma esclusivamente sulla possibilità del suo concreto esercizio (in tal senso, vedi Sez. 3, n.3165 del 22/11/2019, Pg c/[Omissis] Rv. 278637).

Viene messo in evidenza che solo se il provvedimento emesso dal Tribunale sia ontologicamente non appellabile, l’eventuale annullamento con rinvio della sentenza censurata pronunziato in sede di legittimità, comporterà la competenza, per la celebrazione del giudizio di rinvio, in capo all’organo di primo grado che ha emesso la sentenza impugnata.

In altri termini non assume rilievo, a tali fini, la rilevata carenza delle condizioni che avrebbero legittimato il procuratore generale a proporre l’appello, che si fanno dipendere dalla mancanza di una avocazione nella fase delle indagini e dalla mancanza dell’acquiescenza da parte del procuratore della Repubblica presso il tribunale, titolare del potere di impugnazione.

Pervengono alle medesime conclusioni anche le decisioni che si inseriscono nel diverso filone di pronunce che, Invece, negano in radice che vi sia un difetto dì legittimazione ad appellare da parte del procuratore generale anche in pendenza del termine di impugnazione del procuratore della Repubblica.

In particolare, è stato affermato che in tema di appello della parte pubblica, ai fini della legittimazione del procuratore generale a proporre impugnazione avverso una sentenza del tribunale, non è necessario che a questa il procuratore della Repubblica abbia espressamente prestato acquiescenza, ragion per cui è rituale l’appello proposto dal procuratore generale prima dello spirare dei termini previsti per il procuratore della Repubblica, spettando al giudice desumere l’intervenuta acquiescenza dalla mancata impugnazione. (Sez. 2, n.6534 del 1S/12/2021, dep. 2022, [Omissis], Rv. 282814).

Secondo questa pronuncia, le intese tra gli uffici di procura previste dall’alt. 166-bis disp.att. cod. proc.pen. non possono trovare ingresso nel processo, con la conseguenza che “è ben possibile che il Procuratore della Repubblica abbia comunicato la propria acquiescenza ad una pronunzia e il Procuratore Generale abbia voluto esercitare il proprio potere sussidiario prima dello spirare dei termini per il Procuratore della Repubblica, senza dovere attendere che venga meno la legittimazione ad impugnare del Procuratore della Repubblica. Sarà il giudice dell’impugnazione a verificare se il Procuratore Generale ha fatto legittimo utilizzo del suo potere, desumendo l’acquiescenza dalla mancata impugnazione”.

Quindi, secondo questo orientamento, il procuratore generale presso la corte di appello è sempre legittimato ad appellare a prescindere dalla scadenza del termine di Impugnazione del procuratore della Repubblica presso il tribunale, essendo precluso al giudice dell’appello rilevare II difetto di legittimazione prima che il procuratore della Repubblica abbia manifestato la propria volontà di appellare, con la conseguenza che solo se il procuratore della Repubblica assuma effettivamente l’iniziativa di appellare, l’appello proposto dal procuratore generale potrà essere ritenuto inammissibile per carenza di legittimazione, In altri termini, la verifica dell’acquiescenza, che costituisce il presupposto della legittimazione ad appellare da parte de procuratore generale presso la corte di appello, deve essere effettuata dal giudice dell’impugnazione non con riferimento al momento in cui l’appello è stato proposto, ma solo dopo la scadenza del termine di impugnazione per l’appello del procuratore della Repubblica presso il tribunale.

Conseguentemente, potendo II procuratore generale appellare anche in pendenza del termine di impugnazione del procuratore della Repubblica, per la stessa ragione, può legittimamente proporre in luogo dell’appello ricorso immediato per cassazione (c.d. “per saltum”), essendo legittimato a saltare l’appello ove ravvisi la ricorrenza del relativi presupposti, ovvero nei soli casi di violazione di legge ed esclusione di quelli di cui all’art. 606, comma 1, lett. d) ed e) cod. proc. pen., per i quali è prevista ex art. 569, comma 3, cod. proc. pen, la conversione in appello del ricorso eventualmente proposto.

Il portato di questo primo orientamento è che in caso di annullamento la corte di cassazione deve seguire la regola prevista dal comma 4 dell’art. 569 cod. proc. pen., secondo cui il rinvio deve essere disposto al giudice competente per l’appello.

10. Secondo il contrapposto orientamento, si afferma che, essendo precluso al procuratore generale il potere di appellare in pendenza del termine di impugnazione del procuratore della Repubblica, allo stesso modo risulta preclusa la legittimazione al ricorso per saltum, essendo consentito, in tal caso al procuratore generale, per effetto dell’inappellabilità “soggettiva” della sentenza di primo grado, soltanto la proponibilità del ricorso per cassazione ordinario ex art. 608 cod. proc.pen. (Sez. 5, n.13808 del 18/02/2020 [Omissis], Rv. 279075; Sez. 5, n. 34998 del 20/10/2020, P., Rv. 279985; Sez. 4, n.33867 del 28/10/2020, [Omissis], Rv. 279918; Sez. 5, n. 34381 del 18/6/2021, n.m.; Sez. 5, n. 30906 del 8/10/2020, n.m.).

Da ciò consegue che nel caso di ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale presso la corte d’appello che, ai sensi dell’alt. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen., non abbia legittimazione ad impugnare la sentenza, non ricorre l’ipotesi di ricorso immediato per cassazione (cd. “per saltum”) essendo l’impugnazione l’unico rimedio “soggettivamente” esperibile, sicché, in caso di annullamento della sentenza da parte della corte di cassazione, il rinvio va disposto non al giudice competente per l’appello, come previsto dall’alt. 569, comma 4, cod. proc. pen, ma al giudice che ha emesso la sentenza impugnata (Sez. 5, n. 34998 del 20/10/2020, P., Rv. 279985).

È interessante rilevare che queste decisioni muovono dalla condivisa premessa che l’acquiescenza del procuratore della Repubblica al provvedimento impugnato non è ravvisabile se il ricorso è stato proposto prima della scadenza del termine di impugnazione, con la conseguenza che non vertendosi in un caso di avocazione delle indagini il procuratore generale non è legittimato ad appellare.

Rispetto alla questione dell’ammissibilità dell’appello proposto dal procuratore generale prima dello spirare dei termini previsti per il procuratore della Repubblica, si deve quindi registrare l’ulteriore contrasto nella giurisprudenza di legittimità in relazione alla rilevanza della pendenza del termine che, per un primo orientamento, escluderebbe ab origine la legittimazione all’appello del procuratore generale in mancanza di prova dell’acquiescenza prestata al provvedimento da impugnare, mentre per l’altro orientamento la legittimazione esisterebbe sin dall’inizio, potendosi rilevare un’acquiescenza tacita, cristallizzata successivamente al decorso dei termini per proporre appello dalla mancata proposizione dell’appello da parte del procuratore della Repubblica presso il tribunale.

Per quello che qui più interessa, va rilevato che secondo questa linea interpretativa che nega l’ammissibilità dell’appello del procuratore generale prima dello spirare del termine di impugnazione, la sentenza di primo grado appellabile, che il procuratore generale non possa appellare unicamente in ragione delle limitazioni soggettive che subisce la sua legittimazione ad impugnare per effetto del concorrente e prevalente potere di appello del procuratore della Repubblica, deve essere equiparata alla sentenza di primo grado inappellabile per le sue caratteristiche procedurali.

La conseguenza di tale affermazione è che il ricorso del procuratore generale avverso una sentenza appellabile di primo grado non può più essere qualificato come ricorso cd. “per saltum”, ma unicamente come ricorso per cassazione ordinario, ex art. 608 cod. proc. pen., salvi I limitati casi di acquiescenza del procuratore della Repubblica di difficile praticabilità per come sopra osservato.

Con l’ulteriore conseguente inapplicabilità del comma 4 dell’art 569 cod. proc.pen. che prevede in caso di annullamento da parte della corte di cassazione della sentenza impugnata, fuori dal casi di nullità della sentenza di primo grado, il rinvio al giudice competente per l’appello.

11. Il contrasto è rilevante per le implicazioni che discendono dalla diversa qualificazione del ricorso per cassazione avverso una sentenza di primo grado appellabile, che prima della riforma, con cui è stata introdotta la ripartizione del potere di appello tra procuratore della Repubblica e procuratore generale, poteva essere impugnata dal procuratore generale con ricorso Immediato per cassazione, senza limitazioni dovute al concorrente potere di impugnazione del procuratore della Repubblica.

Entrambe le soluzioni giungono a dei compromessi per superare l’assenza di una disciplina organica della materia, che il legislatore ha pensato di affidare a forme organizzative di coordinamento tra gli uffici delle procure della Repubblica e della procura generale, senza chiarire però la precisa delimitazione del potere di appello del procuratore generale.

Tra le due interpretazioni non vi è dubbio che quella che limita maggiormente il potere di appello del procuratore generale riduce correlativamente anche lo spazio di operatività del ricorso c.d. “per saltum” da parte del predetto organo, con l’effetto di precludergli non solo il potere di appellare in assenza di un termine di impugnazione distinto da quelle del procuratore della Repubblica, ma anche di avvalersi del mezzo di impugnazione del ricorso immediato per cassazione, che viene di fatto relegato al predominio del procuratore della Repubblica del tribunale, benché l’art. 608, comma 4, cod. proc. pen., rimasto Immutato, continui ad attribuirlo ad entrambi i due organi del pubblico ministero.

La linea interpretativa opposta consente di eliminare tali incongruenze, ma appare meno aderente al sistema delle impugnazioni, perché fa discendere la legittimazione del procuratore generale da una anomala verifica postuma, differita alla scadenza del termine di appello del procuratore della Repubblica, che appare poco coerente con il principio secondo cui la legittimazione ad impugnare deve sussistere nel momento in cui l’impugnazione viene proposta e la sua carenza non può essere sanata da situazioni di fatto sopravvenute.

D’altra parte, l’orientamento che ammette II ricorso c.d. “per saltum” del procuratore generale pur in difetto della sua legittimazione a proporre appello (Sez. 3, n.3165 del 22/11/2019, [Omissis], Rv. 278637), appare configgere con il carattere alternativo di detto mezzo di impugnazione rispetto all’appello, e non si cura delle implicazioni che una tale interpretazione comporta nei rapporti con il concorrente potere di appello del procuratore della Repubblica presso il tribunale.

Infatti, nel caso in cui, nonostante la proposizione del ricorso immediato per cassazione da parte del procuratore generale della corte di appello, il procuratore della Repubblica dovesse proporre appello avverso la medesima sentenza, attraverso il meccanismo della conversione del ricorso in appello previsto dall’art. 580 cod. proc. pen. si riprodurrebbe proprio quella concomitante duplicazione di atti di impugnazione da parte dei due uffici diversi del pubblico ministero che la riforma del 2018 ha inteso evitare.

12. In conclusione, a fronte dei dubbi interpretativi che la materia pone e dei contrasti che si sono già registrati tra le decisioni adottate dalle diverse Sezioni della Corte di cassazione, sia con riferimento all’appello, che al ricorso immediato per cassazione proposti dal procuratore generale della corte di appello avverso una sentenza appellabile emessa da un giudice di primo grado in pendenza del termine di impugnazione del procuratore della Repubblica, si ritiene opportuno rimettere il ricorso alle Sezioni Unite investendola del seguente quesito di diritto: “se il ricorso per cassazione proposto dal procuratore generale presso la corte d’appello avverso una sentenza appellabile possa essere qualificato come ricorso immediato ex art. 569 cod. proc. pen. anche quando risultino carenti le condizioni da cui dipende la legittimazione a proporre appello da parte dello stesso procuratore generale, ai sensi dell’art. 593-bis, comma 2, cod. proc. pen., con conseguente rinvio della sentenza, in caso di annullamento, al giudice competente per l’appello, oppure si debba ritenere che in tale caso si tratti di ricorso per cassazione ordinario ai sensi dell’art. 606, comma 2, cod. proc. pen., con conseguente rinvio al giudice di primo grado che ha emesso la sentenza Impugnata”.

La questione posta implica evidentemente, per le ragioni sopra esposte, anche la risposta al quesito che ne costituisce una precondizione ovvero “se l’appello del procuratore generale della corte di appello in pendenza del termine di impugnazione del procuratore della Repubblica sia da ritenersi inammissibile, perché proposto prima della maturata acquiescenza conseguente al mancato appello del procuratore della Repubblica presso II tribunale, o se tale inammissibilità si concretizzi solo ove risulti che alla scadenza del relativo termine, il procuratore della Repubblica non abbia proposto appello”.

Infine, può essere utile evidenziare che la rilevanza processuale della questione controversa ha importanti ricadute nella prospettiva della piena operatività dell’istituto dell’improcedibilità di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen., considerato che la qualificazione del ricorso per cassazione come ricorso immediato comporta che il rinvio vada disposto al giudice competente per l’appello, quindi in una fase processuale in cui non opera la prescrizione del reato, ma solo la improcedibilità.

P.Q.M.

Visto l’art. 618 cod. proc. pen., rimette il ricorso alle Sezioni Unite

Annotato in testa alla sentenza: In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Documenti & materiali

Scarica Cass. Pen., Sez. VI, ordinanza 18/10/2022-05/12/2022, n. 46038


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.