I (discutibili) confini della “nuova” legge Pinto Come cambia il risarcimento del danno da irragionevole durata del processo

By | 27/01/2016

La legge di stabilità (L. 28/12/2015, n, 208, in G.U, serie generale, n. 302 del 30/12/2015), oltre che in settori come il diritto di famiglia (si vedano gli articoli del 4, 5 e 7 gennaio 2016), il diritto tributario (v. articoli del 12/01/2016, del 13/01/2016 e del 14/01/2016), il diritto societario (v. articolo dell’11/01/2016) è anche intervenuta, alquanto incisivamente, sulla disciplina del risarcimento del danno da irragionevole durata del processo, di cui alla L. 24/03/2001, n. 89, altrimenti nota come “legge Pinto”.

I rimedi preventivi

Così, nel corpo della novellata legge Pinto vengono anzitutto introdotte (dall’art. 1, comma 777, lett. a, legge di stabilità) due nuove disposizioni di natura preliminare.

La prima di tali disposizioni (art. 1-bis, 1° co., L. 89/2001) si occupa di definire il concetto di “rimedio preventivo” all’irragionevole durata del processo, configurato in termini di diritto” della parte processuale.

Infatti,

«1. La parte di un processo ha diritto a esperire rimedi preventivi alla violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione stessa».

Sul punto, va anzitutto ricordato che la nozione di rimedio preventivo alla violazione del principio di cui all’art. 6 CEDU («Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole») era già nota alla giurisprudenza della Corte dei Diritti dell’Uomo.

Quest’ultima, infatti, in un precedente del 01/10/2013 (ricorso n.40547/10, in caso TECHNIKI OLYMPIAKI A.E./Grecia), ne aveva scrutinato l’ammissibilità, stabilendo che, per la lesione del diritto in discorso, «the best remedy in absolute terms is prevention» e che, in ipotesi, «a remedy enabling proceedings to be expedited is the most effective solution».

In altre parole, dunque, gli ordinamenti nazionali, al fine di garantire la ragionevole durata del processo, possono prevedere, oltre a rimedi risarcitori, anche (ragionevoli) rimedi preventivi che  garantiscano e incentivino una maggiore speditezza del rito processuale.

In tale quadro si innesta la disposizione in commento.

Le conseguenze del loro mancato utilizzo

Ciò premesso, il secondo comma del nuovo art. 1-bis L.Pinto stabilisce ulteriormente che

«2. Chi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all’articolo 1-ter, ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata del processo ha diritto ad una equa riparazione»,

e in tal modo preclude, a contrario, la via risarcitoria a tutti coloro che non abbiano fatto ricorso a tali «rimedi preventivi» (che, come vedremo subito, coincidono sostanzialmente, con il ricorso a procedure processuali a carattere sommario/deflattivo).

Il che, oltre a suscitare più di una perplessità su cui si tornerà al termine dell’articolo, induce ad interrogarsi sulla reale natura dei «rimedi preventivi» in discorso: se è vero, infatti, che l’art. 1-bis, 1° co., L. 89/2001 sopra esaminato ne delinea la figura in termini di  “diritto” della parte, in concreto essi finiscono con l’assomigliare molto di più ad un dovere, o meglio, ad un onere, posto che dal loro mancato utilizzo discendono conseguenze pregiudizievoli per chi avrebbe potuto-dovuto farvi ricorso.

Tale effetto preclusivo, peraltro, ex art. 6, comma 2-bis L. Pinto, scatterà a partire dal 31 ottobre 2016 per tutti quei processi che, a tale data, non abbiano già superato  termini di ragionevole durata o che non siano stati già trattenuti in decisione. Infatti:

«2-bis. Nei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all’articolo 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si applica il comma 1 dell’articolo 2».

Quali sono i rimedi preventivi: il processo civile

Detto ciò, l’articolo 1-ter della L. 89/2001 in esame (anch’esso introdotto ex novo dall’art. 1, comma 777, lett. a, della legge di stabilità sopra citato), si occupa di stabilire in cosa consistano i «rimedi preventivi» di cui sopra, suddividendoli in relazione al tipo di processo in cui essi si innestano.

Cominciando dal processo civile, il primo comma dell’art. 1- ter in esame, distingue le ipotesi in cui sia prevista la possibilità di ricorrere al rito sommario di cognizione, da quelle (ad es. giudice di pace, competenza collegiale del Tribunale, grado di appello), in cui tale rito non si applica.

L-Pinto-Civile

Nel primo caso, costituisce rimedio preventivo il ricorso ab initio al rito sommario di cognizione ex art. 702-bis C.P.C., ovvero la proposizione dell‘istanza di conversione del rito in sommario, ex art. 183-bis C.P.C., entro l’udienza di trattazione, o, comunque, almeno sei  mesi prima della scadenza dei termini di ragionevole durata del processo previsti dall’art. 2, comma 2-bis, L. Pinto, (rispettivamente, di «tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità»).

Nel secondo caso, costituisce rimedio preventivo l’istanza di decisione in seguito a trattazione orale, ex art. 281-sexies C.P.C. (rito espressamente esteso anche alle cause decise dal Tribunale in composizione collegiale dall’ultima parte della disposizione in esame), da proporsi, anche in questo caso, almeno sei mesi prima che siano scaduti i termini di ragionevole durata di cui sopra.

La norma, sembrerebbe destinata a non trovare applicazione nel giudizi di esecuzione forzata e nelle procedure concorsuali (ove non esiste la distinzione tra rito sommario/ordinario) né, probabilmente, nell’ambito dei giudizi di lavoro, vista la particolare struttura di quel tipo di processo.

Per quanto attiene, poi, al giudizio di Cassazione, soccorre la stessa novella, che, al comma 6 del nuovo art. 1-ter L. Pinto qui in commento, prevede che:

«nei giudizi davanti alla Corte di cassazione la parte ha diritto a depositare un’istanza di accelerazione almeno due mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis».

Gli altri processi

Per quanto attiene i processi diversi da quello civile, la legge Pinto introduce apposite previsioni atte ad individuare i rimedi preventivi di volta in volta rilevanti.

Il processo penale

Così, nel processo penale, mentre l’art. 2, comma 2-quinquies, lett. e, L. Pinto previgente escludeva dal diritto al risarcimento i casi in cui l’imputato non avesse «depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all’articolo 2-bis», oggi, il novellato art. 1-ter, 2° co., della medesima legge, dedicato, come si è già visto, ai «rimedi preventivi», stabilisce che:

«2. L’imputato e le altre parti del processo penale hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis»,

in mancanza della quale, in virtù del già citato art. 1-bis, 2° co.,  L.89/2001, non è dato il diritto risarcitorio in esame.

LPinto-PenaleE’ il caso di rilevare, sul punto, che, al di là della modifica dei termini temporali di presentazione dell’istanza in questione (che, nella pregressa formulazione, doveva depositarsi entro i «trenta giorni successivi» il superamento dei termini di ragionevole durata, mentre,nella formulazione attuale, il termine scade «sei mesi prima» che tali termini siano trascorsi), l’aver previsto, nell’attuale formulazione della norma, un (cosiddetto) «diritto» all’istanza di accelerazione processuale de qua, in mancanza della quale è resa improponibile la domanda risarcitoria, sembra rappresentare una modifica puramente nominalistica, rispetto alla pregressa normativa che inibiva comuque tout court il risarcimento in difetto della presentazione dell’istanza in questione.

Il processo amministrativo

Per quanto attiene al processo amministrativo, l’art. 1-ter, 3° comma L. 89/2001 in commento fa assurgere al rango di «rimedio preventivo» l’istanza di prelievo, istituzionalizzata dall’art. 71, 2° co., del C.P.A.,  alla quale, per vero, l’art. 54 2° co., D.L. 112/2008, conv. in L. 133/08, ed indi modificato dall’art. 3, 23° co., all. 4 al C.P.A., aveva attribuito la qualifica di condizione processuale per accedere al risarcimento in discorso.

La circostanza appena menzionata è presa in considerazione dall’art. 6, comma 2-ter, L. Pinto novellata, il quale, oggi, prescrive che

«il comma 2 dell’articolo 54 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’articolo 3, comma 23, dell’allegato 4 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, si applica solo nei processi amministrativi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis».

Previsione che apre una problematica di un certo rilievo con riferimento all’orientamento interpretativo previgente, che riteneva la norma ex art. 54 D.L. 111/2008 sopra citata applicabile ai procedimenti pendenti alla data del 16/09/2010 (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 22/11/2013, n. 26262).

Il processo contabile e pensionistico

Infine, i commi 4 e 5 dell’art. 1-ter della “nuova” Legge Pinto, disciplinano i «rimedi preventivi» per ciò che attiene, rispettivamente, ai giudizi contabile e pensionistico.

In entrambe le ipotesi, per poter aver accesso alla richiesta di risarcimento,  occorrerà depositare

«un‘istanza di accelerazione, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis».

I nuovi limiti all’indennizzo

Ma la legge di stabilità non è intervenuta unicamente sul tema dei presupposti della domanda di risarcimento del danno da irragionevole durata del processo. Modificazioni di rilievo, infatti, si rinvengono anche sul terreno, certo non meno “sensibile”, del quantum liquidabile.

LPinto-Quantum

L’attuale forbice risarcitoria prevista dall’art. 2-bis, 1° co., L. Pinto novellata comma 777, lett. e) e f) della legge di stabilità, infatti, varia da € 400,00 ad € 800,00 per ogni anno eccedente la ragionevole durata del processo (valori modulabili, in aumento o in diminuzione in relazione ad alcuni parametri previsti dalla medesima disposizione in esame e dal successivo comma 1-bis della stessa), in tal modo riducendo sensibilmente il range previsto dalla pregressa formulazione della disposizione in esame, che poteva variare da un importo «non inferiore a 500 euro», ad uno «non superiore a 1.500 euro».

Il che,  tenendo presenti gli aggiustamenti resi possibili – anche in pejus – dalla nuova formulazione della norma, rischia di far scadere il quantum risarcitorio nell’irrisorietà, con quanto ne potrà conseguire in termini di valutazione da parte della Corte di Strasburgo.

La “consapevolezza del torto” esclude il risarcimento

Oltre che sotto il profilo del quantum appena esaminato, la riforma incide anche sul tema della valutazione di “meritevolezza” della domanda risarcitoria.

Sul punto, una rilevante novità riguarda il testo dell‘art. 2, comma 2-quinquies, lett. a, Legge Pinto, come modificato dal comma 777, lett.c) dell’art. 1 della legge di stabilità,  che, nella versione attuale, nega qualsiasi indennizzo

«a) in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’articolo 96 del codice di procedura civile».

LPintoArt96ConsapevolezzaOra, è bensì vero che anche il testo originario dell’art. 2-bis, comma 2-quinquies, lett. a), L. 89/2001 in esame già escludeva il risarcimento per la parte che fosse stata condannata, ex art. 96 c.p.c., per temerarietà della lite, ma è vero pure che la formulazione oggi vigente della medesima disposizione pare aprire profili di vero e proprio arbitrio, laddove consente al giudice del risarcimento ex Legge Pinto la “rivalutazione” del comportamento processuale di una parte  non sfociato, nel processo presupposto, in una condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e, dunque, considerato in via definitiva dall’ordinamento come rispondente ai canoni di buona fede, lealtà e probità processuale.

E ciò fa, per di più, in assenza di qualsiasi parametro minimamente oggettivo atto a guidare il giudizio circa la consapevolezza del torto, «originaria o sopravvenuta», in capo alla parte stessa.

Le presunzioni di insussistenza del pregiudizio

Ancora, degne di menzione sono le ipotesi di  presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo  prevista dai neonati commi 2-sexies e 2-septies dell’art. 2 L. Pinto in esame (introdotti ex novo dall’art. 1, comma 777, lett. d, legge stabilità).

Tra le ipotesi in cui si determina tale presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, meritano autonoma menzione quelle di cui alla lettera b) del comma 2-sexies dell’art. 2 appena citato, cioè a dire il caso di «contumacia della parte», e  di cui alla lettera g) della medesima disposizione, che prende in considerazione, dal canto suo, l’«irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte».

La contumacia

L’ipotesi della contumacia, in primo luogo, sembra doversi limitare all’ambito del processo civile, stante il fatto che nel processo penale l’imputato resta tale, del tutto indipendentemente dalla sua contumacia.

Peraltro, anche nell’ambito del processo civile, in realtà, il fatto che un soggetto resti contumace parrebbe rimanere elemento neutro rispetto alla particolare tipologia di danno in questione, con la conseguenza che la disposizione appare discutibile, oltre che non adeguatamente raccordata – se non si va errando – con gli specifici oneri difensivi imposti alla parte a pena di preclusione del ristoro ex legge Pinto qui in discorso.

Le cause bagatellari

Quanto all’«irrisorietà della pretesa o del valore», poi, la disposizione si ricollega all’evidente disfavore per le cosiddette cause “bagatellari” e si pone in linea di continuità con l’art. 35, comma 3°, lett. b), della Convenzione EDU – da tempo introdotto –  che sanziona con l’irricevibilità il ricorso, laddove il ricorrente non abbia «subito un pregiudizio importante».

Compensatio lucri cum damno

In questo stesso filone normativo, infine, sembra porsi la norma contenuta nel comma 2-septies dell’art. 2 legge Pinto in esame, che recita:

«2-septies. Si presume parimenti insussistente il danno quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole durata del processo, vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo altrimenti dovuto».

Ora, la compensatio lucri cum damno prevista dalla disposizione sopra citata, mantiene una propria logica sistematica nell’ottica risarcitoria propria della legge Pinto in esame, in considerazione del fatto che la parte economicamente giovatasi delle lungaggini processuali in misura pari o superiore al danno riportato da queste ultime, non può certamente dirsi aver «subito un pregiudizio importante» nel senso indicato al paragrafo che precede.

Molto meno comprensibile, almeno per chi scrive, è viceversa, il meccanismo presuntivo juris tantum, sempre previsto dalla norma in commento.

Infatti, la valutazione sul “se” un determinato soggetto abbia conseguito, per effetto dell’abnorme durata del processo in cui è stato coinvolto, «vantaggi patrimoniali eguali o maggiori» rispetto al ristoro «altrimenti dovuto», pare postulare:

  • sia l’accertamento, in concreto, della fondatezza della richiesta risarcitoria proposta da tale soggetto ex Legge Pinto (che attesta il credito risarcitorio);
  • sia l’accertamento, anch’esso necessariamente in concreto, dell’indebito vantaggio patrimoniale “eguale” o “maggiore” rispetto a tale credito (da opporre, in via compensatoria, al primo).

E, in tale quadro, non si vede, quale ruolo possa giocare il richiamo all’istituto  della presunzione.

Qualche considerazione

Balza all’occhio che l’impatto della riforma operata dalla legge di stabilità, si pone nell’ormai consueto e davvero poco commendevole filone che tende a restringere via via i confini del ristoro ex legge Pinto, riducendo la misura del risarcimento e/o aumentando gli (odiosi) ostacoli di natura puramente procedurale sul cammino di chi quel risarcimento intenda ottenere.

Ma in questo caso, una parola in più va spesa per ciò che attiene al giudizio civile, ove l’ansia di sommarizzazione perviene ad influenzare drasticamente le scelte difensive della parte, costringendola ad adottare ritualità “sbrigative”, sotto pena di non vedersi riconosciuto alcun ristoro.

Il che, oltre a porre più di una perplessità sia sotto il profilo della legittimità ex art. 24 COST., che sotto quello del reale contributo della riforma alla speditezza del sistema giudiziario (specie considerando che la scelta difensiva in questione non vincola il giudicante e che l’art. 1-ter, 7° co., L. Pinto espressamente fa salve «le disposizioni che determinano l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti»), apre anche la strada ad un nuova forma di responsabilità professionale per l’avvocato.

Quest’ultimo, infatti, si  troverà probabilmente ad operare delicati bilanciamenti tra esigenze istruttorie e di pienezza del contraddittorio (soddisfatte dal rito ordinario, il ricorso al quale inibirà il ristoro in oggetto) e garanzia dei diritti risarcitori del proprio assistito (che consentiranno, in prospettiva, di invocare detto risarcimento, ma affievoliscono la pienezza del contraddittorio). Con quali conseguenze, è tutto da vedere.

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Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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