Società cancellata e ultrattività del mandato: il difensore di società estinta tra il deposito del ricorso e la sua pubblicazione può notificarlo e coltivare il giudizio di opposizione Cass. Civ., Sez. I, 20/04/2020, n. 7917

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CASS. CIV., SEZ. I, 20/04/2020, N. 7917

«Nel caso di estinzione di società per cancellazione avvenuta tra il momento del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo e la pubblicazione di esso, il difensore della società, in forza dell’ultrattività del mandato conferitogli con il ricorso, è legittimato a procedere alla notificazione del decreto ed a costituirsi nel giudizio di opposizione eventualmente promosso dall’ingiunto, nel corso del quale l’evento relativo alla parte costituita non assume rilevanza ove non ritualmente dichiarato.

Non trova, nella specie, applicazione il diverso principio dettato in tema di impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società, che deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso.

Ciò in quanto la fase monitoria non è un’impugnazione del decreto ingiuntivo, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma dà piuttosto luogo a un ordinario giudizio di cognizione di merito, finalizzato all’accertamento dell’esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso» (Massima non ufficiale)

FATTI DI CAUSA

1. – [Omissis] s.r.l. chiedeva e otteneva un decreto ingiuntivo per l’importo di Euro 58.000,00: somma questa, pretesa quale canone di locazione di una unità immobiliare da essa locata a [Omissis] s.r.l.

Contro il suddetto decreto la società intimata proponeva opposizione; deduceva che il credito era stato ceduto e che la società ingiungente era stata cancellata dal registro delle imprese.

Si costituivano in giudizio [Omissis] e [Omissis] s.r.l. nella qualità di soci della disciolta [Omissis], le quali eccepivano l’inammissibilità dell’opposizione in quanto tardiva.

Il Tribunale di [Omissis] dichiarava inammissibile l’opposizione rilevando come la stessa fosse stata proposta con citazione depositata in cancelleria oltre il quarantesimo giorno dalla notificazione del decreto ingiuntivo.

2. – Spiegava appello [Omissis], la quale chiedeva dichiararsi l’inesistenza del decreto ingiuntivo opposto e, in via subordinata, la revoca dello stesso, con propria assoluzione da ogni pretesa avanzata dall’opposta e dai suoi aventi causa.

Nel giudizio di gravame interveniva [Omissis] s.r.l., nella qualità di cessionaria del credito oggetto di causa: credito che assumeva esserle stato trasferito da [Omissis] e da [Omissis].

Con sentenza del 19 febbraio 2015 la Corte di appello di [Omissis] respingeva l’impugnazione. Osservava, in sintesi, il giudice del gravame: che l’intervento di [Omissis] era ammissibile, essendosi la medesima resa cessionaria del credito vantato dalle due società appena menzionate; che era precluso “l’esame delle questioni od eccezioni preliminari di merito relative al decreto”, restando le stesse assorbite nella pronuncia di inammissibilità dell’opposizione; che tale statuizione si fondava su di un consolidato principio di questa S.C., del resto richiamato nella sentenza di primo grado; che doveva ritenersi improponibile l’eccezione dell’appellante secondo cui la notificazione del decreto sarebbe stata inesistente in ragione del venir meno del creditore ingiungente; che il mutamento del rito disposto a norma dell’art. 426 c.p.c., non poteva determinare alcuna rimessione in termini, giacché esso non consentiva il superamento delle preclusioni che si erano prodotte; che con l’opposizione [Omissis], pur avendo fatto valere la questione della cancellazione della società intimante, non aveva eccepito specificamente l’inesistenza della notifica del decreto, né richiesto alcuna pronuncia al riguardo (ciò che aveva avuto luogo con la memoria integrativa, la quale conteneva, perciò, una domanda nuova); che la questione sull’inesistenza della notifica non era “confluita neppure in rituale domanda né nel giudizio di primo grado, né in sede di impugnazione”.

3. – Contro la detta sentenza [Omissis] ricorre per cassazione: lo fa con una impugnazione che si svolge in sei motivi. Resiste con controricorso [Omissis]. Sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso hanno il contenuto che segue.

Il primo denuncia la violazione degli artt. 2495 e 2697 c.c. La censura, al pari delle due che seguono, investe il profilo dell’intervento di [Omissis]. Lamenta l’istante che la sentenza impugnata non aveva chiarito la ragione per la quale [Omissis] e [Omissis] avessero ricevuto da [Omissis] il credito di Euro 58.000,00 e ne fossero titolari al momento della cessione ad essa ricorrente. Aggiunge l’istante che la domanda di cancellazione dal registro delle imprese di [Omissis] costituiva un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare all’azione proposta; rileva, poi, che, del resto, dai bilanci delle due società il detto credito non emergeva affatto.

Il secondo motivo oppone, ancora, la violazione degli artt. 2495 e 2697 c.c. Sostiene [Omissis] che incombeva a [Omissis] e [Omissis], quali soci della società estinta, provare che il credito azionato in via monitoria fosse ricompreso nel patrimonio di [Omissis] al momento della pubblicazione del decreto ingiuntivo.

Col terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 99 e 100 c.p.c. Deduce che le manifestazioni di volontà emergenti dall’approvazione del bilancio finale di liquidazione (in cui non era stato appostato il credito) e dalla richiesta di cancellazione della società [Omissis] dal registro delle imprese implicavano la rinuncia implicita, ma univoca, al diritto controverso.

Il quarto mezzo prospetta la violazione dell’art. 99 c.p.c. Ricorda la ricorrente che nel proprio atto di appello aveva contrastato l’assunto della tardività dell’opposizione assumendo, per un verso, l’inesistenza originaria della creditrice ingiungente, siccome cancellata dal registro delle imprese in data 9 novembre 2011, prima della pubblicazione del decreto ingiuntivo, avvenuta il 23 novembre dello stesso anno, e, per altro verso, l’inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo, in quanto eseguita da avvocato oramai privo di mandato (stante l’estinzione della società che lo aveva officiato). Osserva pertanto la società istante che aveva chiaramente impugnato la pronuncia di inammissibilità del giudice di prime cure e che, ai fini dell’accoglimento del gravame, non era necessario formulare una vera e propria domanda di accertamento negativo, come invece richiesto dalla Corte di appello.

Il quinto motivo imputa alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 643 c.c., u.c., art. 2943 c.c. e art. 137 c.p.c. Deduce [Omissis] che i vizi di inesistenza del decreto ingiuntivo e di inesistenza della notifica sono rilevabili d’ufficio, onde la Corte di appello non avrebbe potuto prescindere da un esame delle relative questioni.

Col sesto motivo l’istante si duole della violazione dell’art. 426 c.p.c. Rileva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, prima dello spirare dei termini perentori ex art. 426 c.p.c., non era maturata alcuna preclusione; infatti: le eccezioni relative all’inesistenza del decreto e della sua notifica sono rilevabili d’ufficio in ogni momento; le eccezioni che qui interessano erano comunque divenute proponibili solo a seguito della costituzione di [Omissis] e [Omissis], le quali avevano opposto in comparsa di risposta la tardività dell’impugnazione del decreto ingiuntivo; nessuna decadenza si era prodotta nel precedente corso della vicenda processuale, svoltasi nelle forme del rito ordinario, visto che essa [Omissis] si sarebbe potuta ancora avvalere dei termini di cui all’art. 183 c.p.c.

2. – Parte ricorrente, con la memoria, ha invocato la sospensione del presente giudizio facendo riferimento alla pendenza di un processo penale avanti al Tribunale di [Omissis] contro l’amministratore unico di [Omissis] e il liquidatore di [Omissis]. Si tratta di una richiesta inammissibile, in quanto nemmeno argomentata in jure, avendo riguardo alle condizioni poste dalla disciplina processuale vigente per la sospensione del giudizio civile in attesa della definizione del procedimento penale, e che risulta inoltre basata su documenti che a norma dell’art. 372 c.p.c., non possono avere ingresso in questa sede.

3. – Nella propria memoria ex art. 378 c.p.c. [Omissis] ha invece invocato il giudicato che si sarebbe formato, in sede di opposizione a precetto, con riguardo ai temi della (contestata) inesistenza del decreto ingiuntivo e della (altrettanto contestata) inesistenza della notificazione del medesimo.

La deduzione va disattesa, giacché la pronuncia in questione ha disatteso l’appello di [Omissis] richiamandosi al noto principio per cui avanti al giudice dell’opposizione esecutiva non possono proporsi le questioni che sono suscettibili di essere fatte valere avanti al giudice della cognizione (punto 5 della sentenza della Corte di appello di [Omissis] del 5 giugno 2017). Non esiste, dunque, alcun giudicato che copra l’accertamento di cui era stata investita, in sede di gravame, la pronuncia impugnata nella presente sede.

4. – Il ricorso è infondato.

4.1. – Precede, secondo l’ordine logico, la trattazione degli ultimi tre motivi di ricorso, attinenti alla affermata inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo.

La Corte di merito, come si è detto, ha nella sostanza disatteso le questioni poste da [Omissis] col proprio atto di appello, vertenti sull’asserita inesistenza del decreto e della sua notificazione: ha osservato, in proposito, che esse erano state fatte valere tardivamente (con la memoria ex art. 426 c.p.c.) e ha aggiunto che il tema del mancato decorso del termine per l’opposizione (derivante dal radicale vizio che affettava la notificazione, eseguita da avvocato oramai privo di procura) non era stato veicolato da una vera e propria domanda.

Ora, la trattazione, nel giudizio di opposizione, della questione relativa al venir meno della società intimante per l’intervenuta sua cancellazione dal registro delle imprese (cancellazione successiva al deposito del ricorso per ingiunzione, che [Omissis] colloca alla data del 6 ottobre 2011, ma anteriore alla pronuncia del decreto, avvenuta il 23 novembre 2011) sarebbe stata effettivamente preclusa dalla tardività dell’impugnazione del decreto, giacché essa doveva essere fatta valere dall’ingiunto nel giudizio ex art. 645 c.p.c., attraverso una tempestiva impugnazione del decreto. Diverse considerazioni si impongono con riferimento all’eccezione vertente sull’inesistenza della notificazione del decreto ingiuntivo: e ciò in quanto dall’attuarsi di tale incombente dipende l’ammissibilità dell’opposizione, visto che il termine per l’opposizione decorre proprio dalla notifica del decreto. Ha errato, dunque, la Corte di appello a ritenere che il tema dell’inesistenza della notificazione risultasse assorbito dalla pronuncia di inammissibilità dell’opposizione: al contrario, era proprio la verifica della legittimità di tale pronuncia, sollecitata dall’appellante, a imporre l’esame della questione sulla notifica. Né può sostenersi che il detto scrutinio fosse subordinato alla proposizione, nell’atto introduttivo del giudizio ex art. 645 c.p.c., di una domanda (di accertamento), giacché la questione della tempestività dell’opposizione, che peraltro già apparteneva al dibattito processuale (essendo stata sollevata dalle intervenienti) ben poteva, e anzi doveva, essere esaminata d’ufficio dal giudice, avendo essa ad oggetto, in definitiva, il tema del giudicato interno.

Quanto appena rilevato non basta, tuttavia, a dar ragione dell’accoglimento del ricorso.

Deve premettersi non avere fondamento la deduzione, svolta dalla ricorrente nella propria memoria, secondo cui gli effetti della pendenza della lite sarebbero determinati dalla notifica del decreto ingiuntivo (per il che rileverebbe la situazione – di inesistenza giuridica dell’ente – asseritamente esistente in quel momento). Va sul punto rilevato come le Sezioni Unite di questa Corte, sia pure a diversi fini, abbiano ben chiarito che il procedimento introdotto con ricorso per decreto ingiuntivo deve reputarsi “pendente” al momento di deposito del ricorso suddetto nella cancelleria (Cass. Sez. U. 1 luglio 2007, n. 20596; in tema, più di recente, Cass. 14 marzo 2016, n. 4987).

Ciò posto, nella fattispecie oggetto di causa trova applicazione il principio dell’ultrattività del mandato (Cass. 12 giugno 2008, n. 15785, con riferimento all’ipotesi, assimilabile a quella che qui viene in esame, di morte della persona fisica del ricorrente in monitorio, che si verifichi tra il giorno del deposito del ricorso e quello dell’emissione del decreto ingiuntivo; cfr. pure Cass. 31 ottobre 2017, n. 25823, secondo cui, nel diverso caso in cui la parte creditrice sia deceduta successivamente all’emissione del decreto, il difensore della stessa, in forza dell’ultrattività del mandato conferitogli con il ricorso, è legittimato a procedere alla notificazione del decreto ed a costituirsi nel giudizio di opposizione eventualmente promosso dall’ingiunto, nel corso del quale l’evento relativo alla parte costituita non assume rilevanza, ove non dichiarato dall’avvocato della stessa). Come è stato osservato, tale soluzione risulta costituzionalmente necessitata: supporre che la possibilità di esercitare il ministero del difensore cessi ai sensi dell’art. 1722 c.p.c., n. 4, con l’estinzione del soggetto, oltre a implicare l’immotivata negazione degli effetti tradizionalmente riconosciuti alla costituzione di una parte tramite difensore, determinerebbe una soluzione confliggente con la tutela del diritto di azione in giudizio, atteso che la parte ricorrente verrebbe a rimanere priva di tutela ancorché nell’ambito di un procedimento che, com’è noto, appresta una forma di tutela giurisdizionale privilegiata, qual è quello monitorio e, tra l’altro, impositivo di adempimenti, quali la notificazione, in un certo termine (art. 644 c.p.c.), del decreto a pena di inefficacia (Cass. 31 ottobre 2017, n. 25823 cit., in motivazione).

Deve ritenersi che la suddetta regola trovi applicazione anche nel caso di cancellazione della società dal registro delle imprese, non essendovi ragione che giustifichi una diversa soluzione della questione in questa particolare evenienza e non potendosi invocare, con riferimento all’ipotesi della notifica dell’opposizione a decreto ingiuntivo il principio, affermato da Cass. Sez. U. 12 marzo 2013, n. 6070, secondo cui “l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso”: e ciò in quanto, come è evidente, la fase monitoria non è un grado di giudizio (nel senso che, l’opposizione di cui all’art. 645 c.p.c., non sia un’impugnazione del decreto ingiuntivo, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma dia piuttosto luogo a un ordinario giudizio di cognizione di merito, finalizzato all’accertamento dell’esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso ex artt. 633 e 638 c.p.c.: Cass. 16 marzo 2006, n. 5844; Cass. 22 febbraio 2002, n. 2573).

Del resto, se è vero che nel caso del decesso della persona fisica esistono situazioni giuridiche trasferite al successore in universum jus, altrettanto può verificarsi con riguardo al venir meno della società, giacché la cancellazione della medesima dal registro delle imprese non esclude, come è noto, che una vicenda successoria in favore dei soci possa aver luogo (Cass. Sez. U. 12 marzo 2013, n. 6070; Cass. 15 novembre 2016, n. 23269; Cass. 19 luglio 2018, n. 19302): onde, anche da questa angolazione, non pare giustificarsi una diversificazione della disciplina dell’ultrattività del mandato nei due casi di morte del ricorrente persona fisica e di estinzione dell’ingiungente che abbia forma societaria.

In conclusione, l’assunto dell’inesistenza giuridica della notificazione dell’opposizione è destituito di fondamento; il difensore della società ingiungente era difatti pienamente legittimato a eseguirla.

Ciò posto, col denunciato mancato esame della questione sulla inesistenza della notifica (sostanzialmente posta col quarto e col quinto motivo di ricorso) l’istante solleva, in realtà, una censura di omessa motivazione dal momento che la Corte di appello ha ritenuto assorbito quel tema nella statuizione di inammissibilità dell’opposizione. Come è noto, l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa (Cass. 12 novembre 2018, n. 28995; Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663). Ebbene, questa Corte ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass. Sez. U. 2 febbraio 2017, n. 2731).

La motivazione della sentenza di appello va quindi corretta nel senso della validità della notificazione del decreto ingiuntivo, secondo quanto sopra argomentato.

4.2. – Resta da dire dei primi tre motivi.

Essi sono da disattendere per un unico e decisivo rilievo. Una volta riconosciuto che la notificazione del decreto ingiuntivo è risultata validamente eseguita, deve darsi atto che l’opposizione allo stesso è stata tardivamente proposta: ne discende che ogni affermazione contrastante col dato dell’esistenza del credito al momento della pronuncia del decreto è preclusa dal giudicato che è caduto su di esso. La ricorrente non può quindi sostenere che il credito fosse venuto meno per effetto di una rinuncia (desumibile dalla richiesta cancellazione dal registro delle imprese di [Omissis]) o che lo stesso dovesse ritenersi inesistente in quanto non iscritto nei bilanci di [Omissis] e [Omissis]. Infatti, il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo ottenuto per canoni di locazione non corrisposti, fa stato tra le parti, sia sull’esistenza e validità del rapporto, sia sulla misura del canone preteso, sia sull’inesistenza di fatti impeditivi o estintivi deducibili nel giudizio di opposizione (si vedano: Cass. 26 giugno 2015, n. 13207; Cass. 24 marzo 2006, n. 6628).

5. – Il ricorso è dunque respinto.

6. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.

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Vedi anche

In materia di rapporti tra ultrattività del mandato e cancellazione della società, si veda anche Cass. Civ., Sez. VI, 20/05/2020, n. 9213

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