Con un nostro articolo dell’11/12/2019 cui rimandiamo, si è trattato del delicato e complesso procedimento di delibazione della sentenza dichiarativa di nullità del matrimonio.
Gli aspetti forse più critici di questo procedimento sono, da un lato, l’individuazione delle ragioni di ordine pubblico a tutela delle quali il vaglio da effettuarsi in sede giudizio di delibazione deve ispirarsi e che sono ostative alla delibazione; dall’altro, la rilevabilità d’ufficio di esse.
Quest’ultimo aspetto è quello che affronta la sentenza Cass. Civ., Sez. VI, 16/06/2020, n. 11633 che qui si segnala.
In questa pronuncia, con un’apprezzabile e non sempre scontata chiarezza, il giudice di legittimità distingue la circostanza della ‘convivenza ultratriennale’, rilevante sotto il profilo dell’ordine pubblico, dagli altri principi a stessa rilevanza.
La distinzione è particolarmente rilevante perchè decisiva in ordine alla sua rilevabilità d’ufficio o meno in seno al predetto giudizio. Infatti, mentre la circostanza della convivenza ultratriennale è rimessa all’espressa eccezione della parte, e dunque non è suscettibile di rilevabilità d’ufficio, le altre circostanze, come ad esempio in particolare quella della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, sono rilevabili d’ufficio.
Come noto, l’eccezionale deroga alla rilevabilità d’ufficio della distinta fattispecie di ordine pubblico della convivenza coniugale almeno triennale è stata statuita dalle SS.UU. con la sentenza n. 16379/2014 esclusivamente in ragione delle indubbie peculiarità di quella fattispecie, in quanto correlata a fatti specifici e rilevanti, i quali, pur potendo emergere già dal giudizio di delibazione, di regola necessitano di idonea allegazione e dimostrazione da parte del coniuge interessato. La convivenza triennale “come coniugi” è stata considerata, infatti, una situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio perchè caratterizzata da “una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima” (così Cass. S.U. n. 16379/2014).
Perciò la Corte ritiene necessaria l’eccezione di parte, in ordine alla rilevanza della convivenza, così come nell’analoga fattispecie dell’impedimento al divorzio costituito dall’interruzione della separazione, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 3.
Ma venendo, invece, al principio di ordine pubblico italiano della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, va ricordato che si tratta di un principio fondamentale del nostro ordine giuridico e nella sentenza 11633/2020 che qui si segnala la Corte di Cassazione precisa che, sotto questo profilo, in sede di delibazione:
il giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l’oggettiva conoscibilità dell’esclusione di uno dei bona matrimonii, da parte dell’altro coniuge, con piena autonomia, trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo canonico. Il giudice italiano non deve, infatti, limitarsi al controllo di legittimità della pronuncia ecclesiastica di nullità, ma deve condurre la relativa indagine con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti, opportunamente riesaminati e valutati.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di legittimità, questa ha ritenuto che la corte territoriale avesse applicato correttamente i suddetti principi, per aver accertato, con apprezzamento di fatto incensurabile fuori dai limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e con motivazione adeguata (Cass. S.U. n. 8053/2014), la ricorrenza, nel caso concreto, della violazione del principio fondamentale di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, previa disamina delle risultanze degli atti del processo ecclesiastico e del complessivo comportamento processuale ed extraprocessuale della coniuge, rimasta contumace.
In particolare, nella fattispecie era stata dichiarata la nullità del matrimonio contratto tra le parti per esclusione della prole e dell’indissolubilità da parte dell’uomo attore; e la Corte territoriale aveva ritenuto che non fosse stata dimostrata la conoscenza o conoscibilità, da parte della coniuge dell’intima convinzione del marito di escludere l’indissolubilità del matrimonio o di escludere la possibilità di avere figli e ciò anche perchè da nessun atto emergeva che la riserva mentale del marito in ordine ai bona matrimonii fosse stata manifestata alla moglie.
Per cui la Corte conclude affermando che
la distinta fattispecie di ordine pubblico oggetto del presente giudizio riguarda, infatti, come si è visto, solo la violazione del principio fondamentale di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, il cui rilievo d’ufficio non trova deroga.