Licenziamento per giusta causa: il tempo trascorso dai fatti addebitati non è di per sé incompatibile con l’immediatezza della contestazione Cass. Civ., Sez. Lav., 12/05/2020, n. 8803

By | 25/06/2020

CASS. CIV., SEZ. LAV., 12/05/2020, N. 8803

«I requisiti della immediatezza e tempestività condizionanti la validità del licenziamento per giusta causa sono compatibili con un intervallo temporaneo, quando il comportamento del lavoratore consti di una serie di fatti che, convergendo a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione globale ed unitaria da parte del datore di lavoro.

Il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito, infatti, va inteso in senso relativo – essendo compatibile con un certo intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per una valutazione unitaria delle varie inadempienze del dipendente – e non esclude, comunque, che fatti non tempestivamente contestati possano essere considerati quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti (tempestivamente contestati) ai fini della valutazione della complessiva gravità, anche sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del dipendente e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio dell’imprenditore, secondo un giudizio che deve essere riferito al concreto rapporto di lavoro ed al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni» (Massima non ufficiale)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 22 maggio 2018, la Corte d’Appello di [Omissis], in riforma della decisione resa in sede di opposizione avverso l’ordinanza che aveva respinto la domanda di tutela L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18 avanzata da [Omissis] ha escluso la sussistenza della giusta causa in relazione al licenziamento intimato alla lavoratrice per giusta causa il 23 maggio 2016 dalla [Omissis] s.r.l. sulla base della contestazione del 31 marzo 2016 avente ad oggetto due illeciti disciplinari, verificatisi rispettivamente il [Omissis] ed il [Omissis] antecedenti, dichiarando risolto il rapporto di lavoro e condannando la società reclamata a corrispondere alla reclamante una indennità risarcitoria.

1.1. In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto la tardività della contestazione in ordine al primo dei fatti addebitati, accaduto in data [Omissis], concernente l’abbassamento del prezzo di vendita di un prodotto, e reputato l’inidoneità dello stesso a configurarsi come illecito disciplinarmente rilevante, in quanto da considerarsi tamquam non esset proprio alla luce della tardività della contestazione; ha, quindi, escluso, in ordine al secondo fatto ascritto, verificatosi il [Omissis] ed inerente l’applicazione di uno sconto, ritenuto dall’azienda troppo elevato – apposto ad alcuni prodotti alimentari dalla dipendente poi acquistati, con un risparmio di spesa 15,39 Euro – che potesse riscontrarsi una fattispecie trasgressiva tale da legittimare il recesso per giusta causa.

2. Per effetto dell’accoglimento dell’impugnazione il giudice di secondo grado ha, quindi, dichiarato risolto il rapporto lavorativo fra le parti alla data del 23 maggio 2016 ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 5 e condannato la società reclamata a corrispondere alla lavoratrice una indennità risarcitoria corrispondente all’importo di quindici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data del recesso al saldo.

3. Avverso tale pronunzia propone ricorso la [Omissis] S.r.l., affidandolo a cinque motivi.

3.1. Resiste, con controricorso, [Omissis].

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 2119 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto tardiva la contestazione relativamente al primo episodio ascritto alla dipendente e, pertanto, da reputarsi lo stesso come “tamquam non esset” senza aver considerato la relatività del requisito della tempestività della contestazione e l’assenza di profili lesivi per la difesa della dipendente.

1.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, artt. 2106 e 2119 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 220, 225, 229 CCNL terziario là dove la Corte ha ritenuto la sanzione espulsiva eccessiva rispetto all’infrazione commessa, tradottasi in una “locupletazione in termini di puro e semplice risparmio” avendo la dipendente praticato uno sconto sul bene alimentare considerato e poi proceduto ad acquistarlo personalmente ed avendo i giudici di secondo grado ritenuto che la locupletazione medesima aveva “rappresentato un risvolto puramente consequenziale dell’operazione degli sconti, risvolto che la datrice di lavoro non aveva contestato pur potendolo fare”.

1.2. Con il terzo motivo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto possibile che sussistesse una prassi che autorizzava i singoli operatori a praticare la determinazione dei ribassi facendo riferimento alle indicazioni emesse di volta in volta dal Capo Area, deducendosi la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2119, 220, 225 e 229 CCNL.

1.3. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2119, 220, 225 e 229 CCNL per aver la Corte ritenuto riscontrabile nel caso di specie unicamente una negligente o non accorta “modalità operativa per via di un non scrupoloso riscontro di quanto prescritto dalle apposite fonti aziendali e tradottosi in una deviazione probabilmente indotta da un non esatto allineamento con le indicazioni impartite dal Capo Area omettendo, altresì, di considerare che il combinato disposto dell’art. 220, comma 1 CCNL secondo cui il lavoratore deve tenere una condotta conforme ai “civici doveri”, dell’art. 220, comma 2, secondo cui “il lavoratore ha l’obbligo di conservare diligentemente le merci e i materiali, di cooperare alla prosperità dell’impresa” e dell’art. 225 che prevede il licenziamento in tronco per grave violazione degli obblighi di cui all’art. 220, commi 1 e 2, sanziona una condotta come quella della G. del tutto difforme rispetto agli obblighi di correttezza e buona fede, configurandosi, altresì, una “appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi” che determina, ai sensi dell’art. 229 del CCNL il licenziamento per giusta causa.

1.4. Con il quinto motivo si allega, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., nonché degli artt. 220, 225 e 229 CCNL in relazione al capo della sentenza nel quale la Corte d’Appello ha ritenuto che la condotta tenuta dalla lavoratrice fosse suscettibile di un approccio disciplinare più tenue di quello seguito dalla datrice di lavoro.

2. Il primo motivo è fondato e deve essere accolto.

2.1. Ha osservato la Corte, riguardo all’illecito disciplinare cronologicamente antecedente, che l’accadimento ascritto, consistente nell’abbassamento del prezzo di capi di biancheria femminile, precedentemente scorporati dalle confezioni che ne includevano più di una unità ciascuna, attività reputata dall’Azienda contraria rispetto alla codificata disciplina della scontistica, era avvenuto in data [Omissis], era stato segnalato mediante rapporto da un addetto alle vendite il 12 gennaio 2016 ma poi contestato soltanto unitamente all’altro accadimento – relativo a sconti praticati su beni alimentari – avvenuto in data [Omissis], in tal modo ledendo il principio di immediatezza della contestazione.

2.2. Il ritardo, ad avviso dei giudici di secondo grado, doveva ritenersi aver cagionato una eccessiva diluizione del lasso temporale, che finiva per “sacrificare soprattutto il plausibile affidamento che la lavoratrice poteva riporre sulla correttezza delle proprie condotte di servizio” alla luce, peraltro, dell’assenza di qualsivoglia allegazione, da parte della datrice, circa una intempestiva acquisizione della notizia del fatto da cui sarebbe potuta discendere una posticipazione della iniziativa disciplinare.

Tale ritardata contestazione, ad avviso della Corte territoriale, rendeva il fatto inidoneo a costituire un accadimento disciplinarmente rilevante – tanto da reputarlo “tamquam non esset” – ed imponeva, quindi, di espungere ogni considerazione da esso estrapolabile dalla contestazione.

3. Secondo il Collegio, non esaminando in alcun modo il primo fatto contestato, al punto da considerarlo inesistente, il giudice di secondo grado non si è allineato al consolidato orientamento di questa Corte in base al quale i fatti non tempestivamente contestati possono esser considerati quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti (tempestivamente contestati) ai fini della valutazione della complessiva gravità, anche sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del dipendente e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio dell’imprenditore, secondo un giudizio che deve essere riferito al concreto rapporto di lavoro e al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni (Cass. n. 22322 del 2016; Cass. n. 14453 del 2017).

Come è stato osservato in sede di legittimità, “sotto tale profilo, può tenersi conto anche di precedenti disciplinari risalenti ad oltre due anni prima del licenziamento, non ostando a tale valutazione il principio di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, u.c.” (Cass. n. 11410/1993; nello stesso senso, Cass. 6523/1996; Cass. n. 1894/1998; Cass. n. 1925/1998; Cass. n. 5044/1999; Cass. n. 7734/2003; Cass. n. 21795/2009; Cass. n. 1145/2011; Cass. n. 14453/2017).

3.1. É al riguardo giurisprudenza ormai pacifica che può tenersi conto dei fatti storici addebitabili al lavoratore al fine di accertare la precisa natura e consistenza del fatto immediatamente da valutare in rapporto al provvedimento di licenziamento) adottato dal datore di lavoro (Cass. n. 14453/2017 cit).

Questa Corte ha, in particolare, osservato che il principio dell’immutabilità della contestazione dell’addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell’art. 7 statuto lavoratori preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro (Cass. n. 1145 del 19/01/2011; Cass. n. 21795 del 14/10/2009, Cass. n. 6523 del 20/07/1996).

In argomento, già Cass. n. 412/1990, precisava che non è preclusa al giudice la valutazione di pregressi comportamenti del lavoratore, i quali non configurino autonome o concorrenti ragioni di recesso, ma rappresentino soltanto circostanze meramente confermative – sotto il profilo psicologico e con riguardo alla personalità del lavoratore – della gravità dell’addebito contestato e dell’adeguatezza del provvedimento sanzionatorio.

Le considerazioni anzidette operano anche nel caso in cui i comportamenti disciplinarmente rilevanti siano stati contestati non subito dopo il loro verificarsi ma in ritardo ed anche quando la loro contestazione sia avvenuta solo unitamente al fatto ultimo da sanzionare (Cass. n. 11410/93 cit.; Cass. n. 3835/1981).

In particolare, è stato ritenuto che i requisiti della immediatezza e tempestività condizionanti la validità del licenziamento per giusta causa sono compatibili con un intervallo temporaneo, quando il comportamento del lavoratore consti di una serie di fatti che, convergendo a comporre un’unica condotta, esigono una valutazione globale ed unitaria da parte del datore di lavoro (Cass. n. 4150/1986; in terminis, Cass. n. 4346/1987).

4. Nel caso di specie, nel quale il primo fatto ascritto, della medesima natura del secondo, è stato contestato soltanto unitamente a quest’ultimo e trascorsi circa due mesi dall’accadimento, ritiene il Collegio che non possa non riaffermarsi il principio enunciato nella sentenza di questa Corte n. 1762/1988 e poi confermato nelle pronunzie sopra richiamate, secondo cui in tema di licenziamento, il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito va intesa in senso relativo – essendo compatibile con un certo intervallo di tempo necessario al datore di lavoro per una valutazione unitaria delle varie inadempienze del dipendente – e non esclude, comunque, che fatti non tempestivamente contestati possano essere considerati quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti (tempestivamente contestati) ai fini della valutazione della complessiva gravità, anche sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del dipendente e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio dell’imprenditore, secondo un giudizio che deve essere riferito al concreto rapporto di lavoro ed al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni (Cass. n. 14453/2017 cit.).

4.1. Tale valutazione della complessiva gravità di entrambe le infrazioni addebitate e, con essa, della proporzionalità del provvedimento sanzionatorio irrogato non è stata compiuta dalla Corte d’appello, la quale, reputando irrilevante il primo accadimento, si è limitata ad analizzare la rilevanza del secondo escludendo che lo stesso potesse ledere in misura determinante il rapporto fiduciario, ai fini del licenziamento per giusta causa, intercorrente fra le parti.

É questa, quindi, la verifica fattuale che dovrà essere compiuta in sede di rinvio, ove dovrà rivalutarsi complessivamente la fattispecie anche alla luce del principio di relatività della immediatezza della contestazione.

4.2. La sentenza va, quindi, cassata in relazione al motivo accolto, dovendo reputarsi gli altri – inerenti tutti alla seconda infrazione – assorbiti e la causa rinviata alla Corte d’Appello di [Omissis], in diversa composizione, che dovrà verificare se, in base ad una valutazione complessiva di entrambe le condotte e delle correlative infrazioni ascritte alla dipendente, possa comunque escludersi la sussistenza della irreversibile lesione dell’elemento fiduciario idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento e, quindi, a cagionare l’applicazione della massima sanzione espulsiva.

4.3. La Corte provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese relative al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di [Omissis], in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.

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