Contenuti
CASS. CIV., SEZ. I, 17/12/2020, N. 28995
«Vanno trasmessi gli atti al Primo Presidente perché valuti l’opportunità di sottoporre alle Sezioni Unite la seguente questione: stabilire se, instaurata la convivenza di fatto, definita all’esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell’ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all’assegno divorziale si estingua comunque per un meccanismo ispirato ad automatismo, nella parte in cui prescinde di vagliare le finalità proprie dell’assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, sostengano dell’assegno divorzile, negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una modulazione da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento»
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di [Omissis], con sentenza pubblicata il 10 luglio 2015, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da [Omissis] e [Omissis], ponendo a carico del primo l’obbligo di versare all’ex coniuge un assegno mensile di Euro 850,00 e altresì quello di contribuire al mantenimento dei figli minori.
La Corte di appello di [Omissis], con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma di quella di primo grado ed in accoglimento dell’impugnazione proposta da [Omissis], per quanto in giudizio rileva, respingeva la domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile proposta dall’ex moglie avendo costei instaurato una stabile convivenza con un nuovo compagno, da cui aveva avuto una figlia.
2. Ricorre per la cassazione della sentenza di appello [Omissis] con quattro motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso [Omissis]
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 8 e degli artt. 336-bis e 337-octies c.c., relativi all’ascolto obbligatorio del minore, quando il giudice del merito sia chiamato a determinarsi su affido e modalità di visita.
2. Con il secondo motivo la ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10, nella parte in cui la Corte di appello di [Omissis] si era espressa nel senso che, “la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice, l’immediata soppressione dell’assegno di divorzile”.
2.1. Si sollecita questa Corte di Cassazione a rimeditare, l’orientamento più recentemente espresso e secondo il quale l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, sciogliendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, determina la decadenza dall’assegno divorzile senza possibilità per giudicante di ponderare i redditi dei coniugi al fine di stabilire, comunque, dell’indicata posta una misura.
L’indicato automatismo, risultando altrimenti di contrasto con la lettera della norma, andrebbe riferito al solo, e diverso, caso delle nuove nozze.
2.2. La ricorrente nei nove anni di durata del matrimonio aveva rinunciato ad un’attività professionale, o comunque lavorativa, per dedicarsi interamente ai figli, e ciò anche dopo la separazione personale dal marito che aveva potuto, invece, applicarsi completamente al proprio successo professionale, quale amministratore e proprietario di una delle più prestigiose imprese di commercializzazione e produzione delle calzature in Italia, con un fatturato all’estero pari a qualche milione di Euro.
Non più in età per poter reperire un’attività lavorativa, la deducente aveva vissuto e viveva con i figli dell’assegno divorzile e si era unita all’attuale compagno, da cui aveva avuto una figlia, operaio che percepiva un reddito lavorativo di poco più di mille Euro al mese per di più “falcidiato” dal mutuo per l’acquisto della casa, presso la quale convivevano, anche, i figli del precedente matrimonio, studenti.
2.3. Il profilo compensativo, integrato dall’apporto personale dato dall’ex coniuge alla conduzione del nucleo familiare ed alla formazione del patrimonio comune, destinato ad integrare le ragioni dell’assegno divorzile nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, avrebbe escluso l’automatismo estintivo dell’assegno divorzile quale conseguenza della nuova convivenza.
Valido per i profili perequativi finalizzati al mantenimento del pregresso tenore di vita, l’indicato automatismo doveva essere nel resto escluso, restando la materia affidata, per una lettura costituzionalmente orientata, in applicazione dei principi di cui agli artt. 2,3,29 e 30 Cost., ad un apprezzamento discrezionale del giudice da svolgersi in relazione al caso concreto, ogni qual volta venga in evidenza il carattere compensativo o assistenziale dell’assegno.
2.4. La scelta effettuata dal legislatore nella distinta materia delle convivenze di cui alla L. n. 76 del 2016, di riconoscere tutela economica limitata ad un assegno alimentare, risponde a regole diverse da quelle proprie del matrimonio sia in relazione al contributo al mantenimento che all’assegno di divorzio.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., avendo al Corte di appello omesso ogni pronuncia sull’appello incidentale condizionato della ricorrente che aveva in tal modo richiesto l’incremento del contributo al mantenimento dei figli; ridotto con la sentenza di primo grado.
4. Con il quarto motivo la ricorrente fa valere la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere il giudice di appello disposto la compensazione solo per la metà delle spese di giudizio.
5. Nell’ordine delle questioni introdotte dal ricorso viene in valutazione per il suo rilievo quella, oggetto del secondo articolato motivo, relativa alla disciplina da riservarsi all’assegno di divorzio là dove il coniuge che ne benefici abbia instaurato una convivenza con un terzo, dovendosi, partitamente, stabilire se l’effetto estintivo previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10, nel caso di nuove nozze del beneficiario trovi applicazione, e per quali contenuti e limiti, nella distinta ipotesi della famiglia di fatto.
La questione sottesa all’illustrato motivo rientra tra quelle di massima di particolare importanza, a norma dell’art. 374 c.p.c., comma 2, offrendo essa occasione, ritiene questo Collegio, per rimeditare, rimodulandolo nella soluzione da offrirsi, l’indirizzo più recentemente formatosi nella giurisprudenza di legittimità, da cui qui si dissente, sull’incidenza che l’instaurazione della convivenza di fatto con un terzo ha sul diritto dell’ex coniuge, economicamente più debole, all’assegno di divorzio.
Appare pertanto necessario investire della questione il Primo Presidente perché valuti l’opportunità di rimetterne l’esame alle Sezioni Unite, puntualizzandosi sin d’ora che poiché l’esame del primo motivo, e la sua definizione, non incide sulla necessità di esame del secondo, questo si vuole anticipare nella trattazione ai soli fini della remissione indicata, impregiudicata – qualunque sia l’esito della questione rimessa – la definizione sia del primo che dei restanti motivi, siano essi esaminati dalle Sezioni Unite o restituiti a questa Prima sezione.
6. Nell’orientamento di più recente affermazione di questa Corte di Cassazione, che ha trovato applicazione nella sentenza dei giudici di appello, si attribuisce dignità piena alla famiglia di fatto che, in quanto stabile e durata, annoverarsi tra le formazioni sociali in cui l’individuo libero e consapevole nella scelta di darvi corso, svolge, ex art. 2 Cost., la sua personalità (Cass. 03/04/2015 n. 6855 ripresa nelle sue affermazioni da Cass. 08/02/2016 n. 2466 e su cui vd. pure: Cass. 12/11/2019 n. 29317 e Cass. 16/10/2020 n. 22604).
In applicazione del principio dell’auto-responsabilità la persona mette in conto quale esito della scelta compiuta, con il rischio di una cessazione della nuova convivenza, il venir meno dell’assegno divorzile e di ogni forma di residua responsabilità post-matrimoniale, rescindendosi attraverso la nuova convivenza ogni legame con la precedente esperienza matrimoniale ed il relativo tenore di vita.
L’automatismo degli effetti estintivi resta, d’altra parte, mediato e contenuto dall’accertamento operato in sede giudiziale circa i caratteri della famiglia di fatto, in quanto formazione stabile e duratura, e, ancora, in ragione della solidarietà economica che si realizza tra i componenti di quest’ultima.
7. Le ragioni di un ripensamento dell’indicato orientamento vengono, nell’apprezzamento di questo Collegio, da un completo scrutinio del canone dell’auto-responsabilità sorretto dalla necessità dell’interprete di individuarne a pieno il portato applicativo, anche per quelli che ne sono i corollari.
Nel dare disciplina agli aspetti economico-patrimoniali che conseguono alla pronuncia di divorzio, il principio di autoresponsabilità si trova ad operare non soltanto per il futuro, chiamando gli ex coniugi che costituiscano con altri una stabile convivenza a scelte consapevoli di vita e a conseguenti assunzioni di responsabilità e ciò, anche, a detrimento di pregresse posizioni di vantaggio di cui il nuovo stabile assetto di vita esclude una permanente ed immutata redditività.
Il medesimo principio lavora anche, per così dire, per il tempo passato e come tale sul fronte dei presupposti del maturato assegno divorzile là dove di questi, nel riconosciuto loro composito carattere come da SU n. 18287 del 2018, si individua la funzione compensativa.
Rimarcando di quest’ultima il rilievo, va colta l’esigenza, piena, di dare dell’assegno divorziale una lettura che, emancipandosi da una prospettiva diretta a valorizzare del primo la natura assistenziale, segnata dalla necessità per il beneficiario di mantenimento del pregresso tenore di vita matrimoniale, resta invece finalizzata a riconoscere all’ex coniuge, economicamente più debole, un livello reddituale adeguato al contributo fornito all’interno della disciolta comunione; nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge.
Nel ridefinire i parametri di attribuzione dell’assegno divorzile, questa Corte di Cassazione si è fatta in tal modo portatrice di una peculiare declinazione del principio dell’auto-responsabilità che, intesa ad apprezzare il carattere eccedente, rispetto alle finalità altrimenti assolte, dell’esigenza che l’assegno operi per il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, contiene dell’indicata posta la componente assistenziale ma non, invece, quella perequativo-compensativa, che ne viene, anzi, esaltata.
Dopo una vita matrimoniale che si protratta per un apprezzabile arco temporale, l’ex coniuge economicamente più debole, che abbia contribuito al tenore di vita della famiglia con personali sacrifici anche rispetto alle proprie aspettative professionali ed abbia in tal modo concorso occupandosi dei figli e della casa pure all’affermazione lavorativo-professionale dell’altro coniuge, acquista il diritto all’assegno divorzile.
Gli indicati contenuti, per i quali trova affermazione e composizione nelle dinamiche post-matrimoniali il principio di auto-responsabilità in materia di assegno della L. n. 898 del 1970, ex art. 5, comma 6 e successive modifiche, vogliono così che il beneficiario possa godere dell’assegno divorzile non solo perché soggetto economicamente più debole, ma anche per quanto da egli fatto e sacrificato nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge, il tutto per un percorso in cui le ragioni assistenziali nella loro autonomia perdono di forza, lasciando il posto a quelle dell’individuo e della sua dignità.
8. Il principio di autoresponsabilità destinato a valere in materia per il nuovo orientamento di questa Corte di legittimità, compendiato nelle ragioni di cui alla sentenza delle Sezioni unite n. 18287 cit., non può escludere e per intero, il diritto all’assegno divorzile là dove il beneficiario abbia instaurato una stabile convivenza di fatto con un terzo.
Il principio merita una differente declinazione più vicina alle ragioni della concreta fattispecie ed in cui si combinano la creazione di nuovi modelli di vita con la conservazione di pregresse posizioni, in quanto, entrambi, esito di consapevoli ed autonome scelte della persona.
Sulla indicata esigenza, ben può ritenersi che permanga il diritto all’assegno di divorzio nella sua natura compensativa, restando al giudice di merito, al più, da accertare l’esistenza di ragioni per un’eventuale modulazione del primo là dove la nuova scelta di convivenza si rilevi migliorativa delle condizioni economico-patrimoniali del beneficiario e tanto rispetto alla funzione retributiva dell’assegno segnata, come tale, dall’osservanza di una misura di autosufficienza.
9. La funzione retributivo-compensativa dell’assegno divorzile non può altrimenti risentire delle sorti del distinto istituto dell’assegno di mantenimento del coniuge separato che abbia instaurato una convivenza more uxorio con un terzo.
Vero è infatti che, in tal caso, la formazione di un nuovo aggregato
Familiare di fatto segna una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita – propri della pregressa fase di convivenza matrimoniale ed alla cui conservazione concorre l’assegno di mantenimento – ed il nuovo assetto e che su questa premessa determina il venir meno, in via definitiva, del diritto alla contribuzione periodica (Cass. 19/12/2018 n. 32871).
La differente funzione dell’assegno di mantenimento del coniuge separato lascia che permanga, nel suo rilievo, il pregresso tenore di
vita matrimoniale inteso sia quale parametro cui rapportare l’assegno stesso sia quale ragione destinata ad escludere dell’indicata posta la sopravvivenza in caso di nuova convivenza di fatto dell’avente diritto.
10. Ancora, a definizione del quadro di riferimento con cui questo Collegio deve confrontarsi nell’individuare e dare contenuto alle ragioni della sollecitata rimessiva, nessun argomento in chiave di disconoscimento o contenimento della funzione dell’assegno divorzile viene dalla disciplina della convivenza di fatto.
La L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 65, istitutiva delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e di disciplina delle convivenze di fatto, riconosce, per quanto in questo giudizio rileva, anche ai conviventi di fatto, quando la convivenza venga meno, il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., che è destinato a valere per la parte economicamente più debole che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al suo mantenimento, il tutto “per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’art. 438 c.c., comma 2”.
La finalità in gioco è qui, nettamente, quella assistenziale, tutta spesa sulla necessità del riconoscimento di un aiuto economico all’ex convivente e modulata sulla durata del legame per l’espresso riferimento contenuto nella norma.
Nella diversità degli interessi in rilievo, la questione della distinta sorte da riservarsi all’assegno divorzile nella instaurazione di una stabile convivenza di fatto del beneficiario, resta aperta.
11. La questione per cui si sollecita l’intervento delle Sezioni Unite è allora quella di stabilire se, instaurata la convivenza di fatto, definita all’esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell’ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all’assegno divorziale si estingua comunque per un meccanismo ispirato ad automatismo, nella parte in cui prescinde di vagliare le finalità proprie dell’assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, sostengano dell’assegno divorzile, negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una modulazione da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento.
12. Per quanto esposto deve disporsi ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, la trasmissione degli atti al Primo Presidente per le sue determinazioni.
P.Q.M.
Rimette gli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, in ragione e per la soluzione delle questioni, di cui in motivazione, di massima di particolare importanza ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.