Responsabilità medica: la cartella clinica incompleta può fondare la prova del nesso causale Cass. Civ., Sez. III, 18/02/2021, n. 4424

By | 15/04/2021

CASS. CIV., SEZ. III, 18/02/2021, N. 4424

«La difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato.

L’eventuale incompletezza della cartella clinica è, in tale senso, circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno» (Massima non ufficiale)

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 12/6/2018 il Dott. [Omissis] propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza n. [Omissis] della Corte d’Appello di [Omissis], notificata il 18/4/2018. Con separati controricorsi – rispettivamente notificati il 18/7/2018 e il 23/7/2018 – resistono i sig.ri [Omissis] – [Omissis], e la sig.ra [Omissis] L’Azienda Sanitaria Locale [Omissis] Nord (già ASL [Omissis]), ha presentato controricorso con ricorso incidentale tardivo affidato a tre motivi, e successiva memoria con cui si è costituita con nuovo difensore.

2. Per quanto qui d’interesse, i sig.ri [Omissis] e [Omissis], in proprio e nella loro qualità di genitori di [Omissis], hanno dedotto di avere convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di [Omissis], la ASL [Omissis], il Dott. [Omissis] e la sig.ra [Omissis] per ottenere la condanna degli stessi al risarcimento dei danni (biologico del figlio e danno parentale) derivati dalle gravissime lesioni patite dal minore in data [Omissis] all’atto della nascita (tetraparesi spastica), previa dichiarazione di responsabilità, per negligenza, imperizia ed imprudenza, nell’intervento di estrazione del nascituro con ventosa, effettuato dal Dott. [Omissis], coadiuvato dalla ostetrica [Omissis], presso la struttura ospedaliera [Omissis]. Hanno affermato che la sig.ra [Omissis], ricoverata alle ore 8: 00 del [Omissis], all’epoca primipara di [Omissis] in stato di gravidanza alla 41esima settimana, alle ore 21: 00 dava segni di imminente parto e alle ore 00: 45 del giorno successivo era condotta in sala parto, laddove “la equipe medica decideva di effettuare l’intervento con applicazione di ventosa ostetrica in presenza di una chiara difficoltà a partorire, senza operare una scelta alternativa meno rischiosa per la mamma ed il bambino in relazione al quadro clinico oramai delineatosi, sicché il piccolo E. riportava una grave asfissia con areflessia con conseguente paralisi cerebrale infantile che non migliorava nel tempo, talché i due genitori dovevano costantemente provvedere alle esigenze del figlio, sconvolgendo la loro vita privata”. Nel giudizio di primo grado si sono costituiti l’ASL e il Dott. [Omissis] chiedendo il rigetto della domanda attorea, mentre la sig.ra [Omissis] è rimasta contumace. Espletata l’istruttoria con escussione di testimoni e disposta CTU medico-legale, il Tribunale di [Omissis], con sentenza n. 7239/2016, ha dichiarato la responsabilità dell’ASL e del Dott. [Omissis] e li ha condannati in via tra loro solidale al risarcimento per complessivi Euro 2.108.544,00, oltre spese di giudizio.

3. Avverso la sentenza, ha proposto appello la ASL e appello incidentale il Dott. [Omissis] Si sono costituiti i sig.ri [Omissis] – [Omissis] per chiedere conferma della sentenza, nonché la sig.ra [Omissis] per chiedere il rigetto delle domande formulate dagli appellanti nei suoi confronti. Con la sentenza oggi impugnata, la Corte d’Appello di [Omissis] ha rigettato gli appelli promossi dalla ASL e dal Dott. [Omissis], e, per quanto d’interesse, ha confermato la sentenza di prime cure in ordine alla condanna al risarcimento del danno biologico e del danno morale, e ha condannato la Azienda sanitaria e il Dott. [Omissis] alla rifusione delle spese di lite in via tra loro solidale. Ha compensato le spese del secondo grado tra la sig.ra [Omissis] e gli appellanti.

4. In particolare, la Corte d’Appello – sulla scorta degli esiti dell’istruzione probatoria svoltasi in prime cure con l’acquisizione di una CTU – ha ritenuto la responsabilità del medico per condotta negligente consistente nell’omessa “forma minimale di sorveglianza” del benessere fetale, nei 45 minuti precedenti al parto, e in particolare per mancato utilizzo del cardiotocografo o, comunque, per mancato rilievo intermittente del battito cardiaco del nascituro, consigliato dalla letteratura scientifica, rilevando che fosse altamente probabile che il corretto adempimento della prestazione sanitaria avrebbe potuto evidenziare tempestivamente la sofferenza fetale ed anticipare l’intervento estrattivo, eliminando o quantomeno riducendo gli effetti dell’ipossia, occorsa a causa del giro di cordone ombelicale stretto al collo. Nella sentenza si è dato rilievo al fatto che la cartella clinica, dalle ore 0,40 sino all’atto della nascita difettava di qualsivoglia annotazione valutativa, mentre sino a quell’ora risultavano tre tracciati con cardiotocografi e l’assenza di alcun fattore di rischio; inoltre si è data rilevanza alla testimonianza resa da una teste presente in sala parto, quale congiunta della partoriente, di professione infermiera, che ha riferito che in quel frangente il medico aveva assistito un’altra partoriente e lasciato la ricorrente nelle mani dell’ostetrica. Pertanto, la Corte d’appello, ha ritenuto che, nel caso specifico, le parti convenute non erano state in grado di offrire la prova liberatoria, richiesta dall’art. 1218 c.c., che l’esito peggiorativo o infausto del parto sia stato determinato da un evento imprevedibile e inevitabile alla fine del periodo espulsivo, secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento, pur essendo pacifico che l’apossia era stata determinata dall’attorcigliamento del cordone ombelicale attorno al collo del nascituro.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si deduce “Error in procedendo et in judicando – Erronea valutazione delle risultanze istruttorie (in particolare della c.t.u.) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione a fatti controversi e decisivi per il giudizio – Difetto del nesso di causalità e della colpa”. Il motivo di ricorso è articolato attraverso plurimi profili di doglianza:

– In primo luogo, si adduce la Corte d’Appello, facendo proprie le risultanze della CTU espletata in prime cure, avrebbe erroneamente ritenuto provato il nesso causale e la colpa del sanitario, in quanto avrebbe in tesi fondato la responsabilità del Dott. [Omissis] esclusivamente sul mancato utilizzo del cardiotocografo (CTG), sebbene – come rilevato anche dal consulente tecnico di parte – l’omessa sorveglianza fetale mediante CTG non assuma rilievo medico-legale, sia perché questa fu eseguita fino alla fase di dilatazione completa della cervice uterina con risultato rassicurante, sia per i limiti di validità della metodica in questione, soprattutto durante il secondo stadio del parto. La causa della sofferenza ipossico-asfittica del neonato, dunque, si sarebbe verificata alla fine del periodo espulsivo a causa di un giro di cordone stretto attorno al collo del nascituro, evento imprevedibile ed inevitabile, che limitò l’apporto di ossigeno al feto e causò i danni alla salute lamentati da parte attrice.

– In secondo luogo, si adduce la carenza di motivazione là dove la sentenza assume la mancata sorveglianza da parte del medico del benessere fetale durante l’ultima fase del parto, da un lato, sulla base di prove documentali che non esistono e, dunque, su una prova negativa ed inesistente (il silenzio della cartella clinica) e, dall’altro, sulla prova testimoniale dell’infermiera presente al parto che, “tutto sommato”, non era così dirimente della responsabilità del medico/ginecologo.

– Infine, si denuncia il mancato svolgimento del giudizio controfattuale, nell’ambito della fattispecie concreta, poiché né la sentenza, né la CTU, avrebbero motivato in ordine ad acquisizioni scientifiche indubitabili in forza delle quali poter affermare l’idoneità ex ante di un taglio cesareo eseguito d’urgenza ad impedire lo stato di successiva sofferenza del nascituro; né hanno verificato l’efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito consistente, nel caso concreto, nell’utilizzo di CTG che, infatti, non sarebbe stato in grado di accertare “del tutto” il giro di cordone stretto intorno al collo del feto.

1.1. Il motivo innanzitutto evidenzia una inammissibile commistione di mezzi di impugnazione eterogenei, senza indicare espressamente alcuno dei motivi tassativi ex art. 360 c.p.c., comma 1, ma qualificando le doglianze semplicemente come “error in procedendo et in iudicando”. Da un lato, difatti, pare volersi prospettare la violazione e falsa applicazione delle disposizioni in materia di distribuzione dell’onere probatorio (neppure menzionate nel ricorso), dunque, ipoteticamente potendo sussumersi la doglianza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; dall’altro, pare volersi denunciare un vizio motivazionale della – gravata sentenza o comunque l’omesso esame di fatti decisivi, id est: in forza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; senonché, così esposti, i profili di doglianza sono tra loro incompatibili e – de facto – nell’articolazione del motivo non si fa altro che contrapporre le osservazioni del consulente tecnico di parte alla valutazione delle risultanze istruttorie, per come effettuata dalla Corte territoriale, sulla scorta della CTU. In tema di ricorso per cassazione, “è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi di fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, tale da renderla insufficiente in quanto meramente figurativa e apparente, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/9/2011; v. anche Cass., Sez. U, Sentenza n. 9100 del 6/5/2015).

1.2. Ma anche qualora si volessero valutare i vizi entro la cornice segnata dalle varie ipotesi di vizio indicate nell’art. 360 c.p.c., si osserva che la Corte di merito, nel caso concreto, con motivazione esaustiva ed esente da vizi logico-giuridici, e dunque insindacabile, resa nel rispetto del minimo costituzionale sotto il profilo della motivazione (cfr. SSUU Cass. n. 8053/2014), ha vagliato specificamente gli elementi costitutivi della fattispecie di inadempimento contrattuale dedotto – danno, condotta, nesso causale ritenendone la sussistenza secondo corretti principi.

1.3. In particolare, quanto alla prima censura inerente ai vizi in iudicando relativi al giudizio di responsabilità contrattuale in ambito medico sanitario, la sentenza gravata dimostra di avere adeguatamente applicato il principio di diritto, di recente confermato da questa Corte in materia di responsabilità sanitaria, secondo il quale mentre è onere del creditore della prestazione sanitaria provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento o l’insorgenza della situazione patologica e la condotta del sanitario, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio è, invece, onere della parte debitrice (il sanitario e la struttura in cui egli opera) provare la causa imprevedibile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione (Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 28991 dell’11/11/2019; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 26700 del 23/10/2018; Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/7/2017). Talché, nel caso concreto, la Corte d’Appello – in adesione alle risultanze della CTU – ha ritenuto che la condotta del personale sanitario avesse determinato, “con elevato grado di probabilità”, gli esiti sfavorevoli osservati successivamente nel neonato; mentre il creditore della prestazione sanitaria, attuale ricorrente, non aveva dimostrare l’esatto adempimento o l’impossibile adempimento per causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.).

1.4. Nella decisione ha rilevato la mancanza di indicazione degli interventi effettuati nella fase finale del parto, durata circa 45 minuti, che conduce a ritenere provato il collegamento causale tra fatto e danno. Ed invero, in tema di responsabilità professionale sanitaria, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 28991 del 11/11/2019; Sez. 3 -, Sentenza n. 27561 del 21/11/2017; Sez. 3, Sentenza n. 12218 del 12/6/2015; Sez. 3, Sentenza n. 1538 del 26/1/2010).

1.5. A fronte di tale evidenza, non contrastata da idonei argomenti fattuali, la critica mossa sotto il profilo di responsabilità accertato dimostra di volere indurre questa Corte a svolgere un riesame della fattispecie, tra l’altro senza adeguatamente tener conto della ratio decidendi, ma solo delle critiche mosse alla CTU dal consulente di parte che tuttavia non hanno indotto la Corte territoriale a mutare il giudizio già reso nel primo grado.

1.6. E difatti, in relazione al danno, la Corte di merito ha ritenuto pacifico inter partes che la cerebropatia neonatale debba ricollegarsi all’ipossia avvenuta intra partum a causa dello strozzamento da cordone ombelicale, e non prima, quando vi è stato un tracciamento diagnostico che evidenziava una situazione di normalità; quanto alla condotta colposa del sanitario, il giudice di secondo grado la identifica nella mancata indicazione nella cartella clinica di qualsivoglia attività di indagine diagnostica nella fase finale del parto, idonea ad evidenziare in tempo utile una sofferenza fetale e nella conseguente mancata prova di un pronto intervento da parte del medico. Ciò in quanto, non sono state allegate alla cartella clinica, né prodotte dalle parti, le attività eseguite in sala parto dopo l’ultimo tracciato CTG delle ore 0,40, dacché si poteva evincere una valutazione di normale decorso del parto solo fin quando le annotazioni in cartella sono state fatte (e dunque con riguardo al primo tracciato CTG e agli ultimi due – l’ultimo delle ore 0: 40-), mentre per la fase finale del parto è mancata qualsiasi annotazione in cartella clinica delle attività medico-sanitarie espletate e, comunque, vi è una testimonianza circa la mancanza di adeguata sorveglianza da parte del medico sulla partoriente, lasciata nelle mani di un’ostetrica per assistere un’altra partoriente nel frattempo sopraggiunta in sala. La Corte, su questo punto ha sottolineato anche che “è estranea a questo contenzioso la questione della sufficienza di un solo medico in sala parto in presenza, contemporanea, di due partorienti” e, sul punto, il motivo nulla adduce.

1.7. Sicché l’omessa sorveglianza sul benessere fetale in un arco temporale di quarantacinque minuti non è collegata esclusivamente al fatto che non risultino ulteriori CTG (come assume l’attuale ricorrente), ma ad ulteriori dati obiettivi osservati, e in particolare al fatto che: i) non risulta essere stata effettuata l’auscultazione intermittente del battito fetale con stetoscopio di Pinard o strumento Doppler, da ripetersi ogni 15 minuti nel primo stadio del parto ed ogni cinque minuti nel secondo stadio come consigliato da tutte le più autorevoli linee guida internazionali e nazionali, comprese le “Linee-guida per l’assistenza alla gravidanza ed al parto normale in Regione Campania” (approvate dal Comitato tecnico-scientifico del Programma speciale D. Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 12, comma 2, lett. b) e pubblicate sul B.U.R. [Omissis] n. 41 del 15 settembre 2003); ii) la cartella clinica risulta carente anche del partogramma (grafico sostanzialmente imposto dalle richiamate “Linee-guida per l’assistenza alla gravidanza e al parto normale in Regione Campania”), pacificamente non compilato, che invece avrebbe dovuto contenere l’annotazione non solo della dilatazione della cervice (dato comunque rilevabile dalla cartella clinica), ma anche del livello della testa fetale rispetto al canale del parto, oltre che le misurazioni del battito cardiaco fetale, della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca materna, del colore del liquido amniotico ed ogni altra indicazione utile circa l’andamento del travaglio (p. 9 della sentenza impugnata).

1.8. Ancora, non coglie nel segno il motivo là dove, al terzo punto, si adduce che il giudice, sul piano della causalità giuridica, non abbia svolto il dovuto giudizio controfattuale nell’ambito della condotta omissiva e negligente considerata, in quanto, testualmente, la sentenza dimostra di avere fatto il ragionamento dovuto, dando rilievo al fatto che la condotta medica, avrebbe dovuto nelle circostanze concrete essere “vigile ed operosa” e “nel rispetto di tutte le regole e degli accorgimenti tecnici della professione sanitaria, anziché attendista e negligente” (secondo il parametro della diligenza professionale ex art. 1176 c.c., comma 2). Sicché si è dato rilievo al fatto che “il corretto adempimento della prestazione sanitaria avrebbe potuto evidenziare tempestivamente la sofferenza fetale ed anticipare l’intervento estrattivo, eliminando o quantomeno riducendo gli effetti dannosi dell’ipossia (.)”. Pertanto si è ritenuto che ” il comportamento omissivo del personale sanitario dà luogo a responsabilità perché gli indicati accertamenti, se disposti, avrebbero posto in evidenza, via via, la progressione del feto nel canale del parto ed i segni di sofferenza fetale, offrendo così al medico maggiori possibilità di avvedersi per tempo della reale condizione in cui versava il feto, e di comportarsi di conseguenza; e poiché il ritardo nel porre in essere ogni attività necessaria per salvaguardare la salute del feto ed il mancato rispetto delle linee guida sono da considerare atti di negligenza “, in ciò convalidando il ragionamento del giudice di prime cure in punto di inadempimento colpevole (p. 12 della sentenza impugnata).

1.9. L’argomento speso in punto di nesso causale si dimostra del tutto infondato, in quanto la Corte di merito ha ritenuto indimostrata l’imprevedibilità ed inevitabilità dell’evento dedotta dal medico, e ciò in relazione a tutte le sopra menzionate circostanze di inadempimento ad esso imputabili e valutate nel caso concreto, mentre con giudizio controfattuale ha ritenuto che la condotta di sorveglianza cui egli era tenuto, nei fatti mancata, sarebbe stata astrattamente idonea ad evitare, con alta probabilità, l’evento di danno o quanto meno a ridurne le conseguenze.

1.10. In particolare, la Corte ha ritenuto che “non è sufficiente, al fine di escludere la responsabilità del medico, accertare l’insorgenza di una complicanza, ma se ne deve dimostrare l’imprevedibilità e l’inevitabilità, nonché l’adeguatezza della condotta del medico per porvi rimedio. Come il mancato raggiungimento di tale prova, compreso il mero dubbio sull’esattezza di tale adempimento, ricade a carico della struttura sanitaria e del medico, così la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui, anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato: tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico tra la sua condotta e le conseguenze dannose subite. E non a caso il consulente tecnico dell’Asl, con le sue note alla bozza della consulenza tecnica d’ufficio, ha contestato la percentuale di invalidità riconosciuta dall’ausiliario del giudice ad [Omissis] “pur condividendo sostanzialmente i criteri essenziali assunti dal C.T.U. con cui esprime un elevato grado di probabilità della compatibilità tra la condotta dei sanitari che assistettero al parto della signora [Omissis] e gli esiti osservati nel neonato”(così la nota a firma del dr Mu.Ma.). Il che induce a ritenere, in assenza di prova contraria, che il corretto adempimento della prestazione sanitaria avrebbe potuto evidenziare tempestivamente la sofferenza fetale ed anticipare l’intervento estrattivo, eliminando o quantomeno riducendo gli effetti dannosi dell’ipossia ” (v. sentenza p.11)

1.11. Ed invero, una volta allegata e dedotta dal creditore la prova della condotta medica omissiva idonea a causare il danno in termini di adeguatezza causale (nella specie, la mancata sorveglianza medica nella fase terminale del parto), è piuttosto onere della parte debitrice dimostrare l’esatto adempimento o l’impossibilità di adempimento a sé non imputabile, come – ad esempio -l’insorgenza di fattori causali alternativi idonei ad interrompere il nesso causale tra le omissioni e il danno (Sez. 3 -, Ordinanza n. 23197 del 27/09/2018; Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008). Nel campo medico-sanitario sussistono, difatti, due cicli causali da considerare, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Difatti, la prova della causalità materiale spetta al creditore-danneggiato e consiste nella prova, anche presuntiva, del rapporto di causa-effetto tra la prestazione professionale e la situazione patologica (di aggravamento o di insorgenza). Tale prova può essere raggiunta in via presuntiva anche per il tramite di una cartella medica compilata in maniera incompleta, posto che tale circostanza non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria, quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (Sez. 3 -, Sentenza n. 27561 del 21/11/2017; Sez. 3, Sentenza n. 6209 del 31/03/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1538 del 26/01/2010). La prova della causalità giuridica spetta, invece, al debitore-danneggiante il quale, ove il creditore abbia assolto al suo onere probatorio, deve dimostrare l’esatto adempimento ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, – oppure l’intervento di una causa esterna, imprevedibile alla stregua dell’ordinaria diligenza di cui all’art. 1176 c.c., comma 1, ed inevitabile sotto il profilo strettamente oggettivo e causale (v. su questa ulteriore precisazione, da ultimo, Cass.Sez. 3 -, Sentenza n. 28991 del 11/11/2019; Sez. 3 -, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017).

1.12. Tutto quanto sopra considerato circa la correttezza giuridica del ragionamento inferenziale svolto dalla Corte di merito rende evidente che, anche sotto il profilo formale, la motivazione non si dimostra né apparente, né carente sul piano del rispetto del minimo costituzionale, così come sancito da questa Corte in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012. Si rammenta, per quanto occorre, che non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia, nei limiti indicati dall’art. 348 ter c.p.c. in caso di sentenza doppiamente conforme (Cass. SSU n. 8053/2014; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).

2. Con il secondo motivo si prospetta “Error in procedendo et in iudicando Erronea valutazione delle risultanze istruttorie (in particolare della c.t.u.) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione a fatti controversi e decisivi per il giudizio – Difetto del nesso di causalità e della colpa – Ultrapetizione”. Il ricorrente premette che la sentenza di prime cure, gravata in appello, avrebbe statuito l’esclusiva, solidale, responsabilità del Dott. [Omissis] e dell’Azienda Sanitaria Locale [Omissis] Nord, risultando omesso, invece, ogni riferimento all’ostetrica sig.ra [Omissis] (contumace in primo grado), la cui presenza nel giudizio di primo grado sarebbe stata dimenticata dal giudice di primo grado e aggiunta soltanto successivamente in sede di correzione di errore materiale della intestazione della sentenza di prime cure. Il silenzio della decisione del Tribunale sul punto avrebbe configurato, secondo il ricorrente, la violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento al vizio di omessa pronuncia. Senonché, la Corte d’Appello avrebbe respinto la doglianza assumendo che né il Dott. [Omissis] né l’Asl avessero inteso rivolgere alcuna specifica richiesta di condanna nei confronti dell’ostetrica. Tale assunto, secondo il ricorrente, sarebbe del tutto infondato: in primo luogo, in considerazione della specifica richiesta di riforma sul punto della sentenza di primo grado; in secondo luogo, in considerazione del fatto che la richiesta di condanna nei confronti dell’ostetrica è stata avanzata dall’attore in prime cure; e, infine, in relazione alla fattispecie concreta – involgente l’assistenza medica mancata a un parto naturale – in quanto sarebbe fatto notorio che la presenza dell’ostetrica è sostitutiva del personale medico e, dunque, se un responsabile si vuole individuare questi può essere esclusivamente l’ostetrica.

2.1. Il secondo motivo è inammissibile.

2.2. Il ricorrente prospetta ancora una volta un cumulo di mezzi di impugnazione misti, talché già di per sé il motivo sarebbe inammissibile, come sopra detto.

2.3. Il motivo, in ogni caso, si dimostra infondato per la parte della censura che assume l’omessa decisione sull’intera responsabilità da attribuire all’ostetrica in luogo del medico. In esso non viene specificamente considerata la primaria valutazione di infondatezza della pretesa del medico di esclusione di una propria responsabilità in ragione di quella propria dell’ostetrica, ritenuta dalla Corte territoriale essere una tesi non idonea, anche alla luce del D.P.R. 7 marzo 1975, n. 163, art. 4 ad escludere la “concorrente colpa professionale del ginecologo” che, nel caso in esame, aveva dato preliminari disposizioni sulla stimolazione di un parto naturale, svoltosi in sua presenza; di talché, la motivazione sul punto risulta essere stata resa e non omessa come erroneamente dedotto. Si tratta, questa, di una ratio decidendi non impugnata.

2.4. Inoltre, quanto alla rivalsa interna, con ulteriore ratio decidendi, riferita all’oggetto della presente censura ma non presa altrettanto in considerazione, la Corte territoriale ha rilevato che in ogni caso “nessuno degli appellanti ha chiesto la riforma della sentenza impugnata nel senso della condanna – anche della [Omissis], né tantomeno la graduazione delle rispettive colpe”, escludendo pertanto che fosse stata avanzata in appello anche una domanda di rivalsa interna nei confronti della ostetrica, rimasta contumace, quale corresponsabile in via solidale su cui il Tribunale non si sarebbe pronunciato.

2.5. Vi sono dunque, plurime rationes decidendi non adeguatamente impugnate, e non omissioni di pronuncia, che denotano l’inammissibilità della censura per come proposta.

3. Con il terzo motivo si censura “Error in procedendo et in iudicando – Erronea valutazione delle risultanze istruttorie (in particolare della c.t.u.) – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione a fatti controversi e decisivi per il giudizio – Incongrua valutazione e monetizzazione del danno alla persona complessivamente liquidato – Erronea valutazione del quantum debeatur”. Il ricorrente assume non congrua la liquidazione del quantum debeatur, in quanto lo stesso CTU avrebbe affermato un rilevante stato di sofferenza del piccolo E. in termini di “carenze” o “deficit”, senza indicare una totale assenza di facoltà cognitive. Invoca, dunque, la necessità di una verifica “attraverso la rinnovazione delle operazioni peritali circa l’applicazione dei criteri di quantificazione, rigidamente determinati dall’insegnamento giurisprudenziale che si ritiene non essere stati rispettati né dalla decisione né dalla CTU” (al riguardo richiamando Cass., sez. III n. 5243 del 673/2014 e Cass. SSUU n. 26972/2008) che sostengono l’incongruità delle motivazioni basate sulla sola liquidazione tabellare del danno biologico e parentale. Assume, in sostanza, la mancanza di motivazione in ordine ai criteri adottati per la personalizzazione del danno non patrimoniale e contesta l’automatismo risarcitorio in relazione al danno non patrimoniale e a quello morale.

3.1. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente non solo non indica, come per i precedenti motivi, alcuno dei motivi tassativi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1 e prospetta censure miste ed eterogenee di non facile individuazione, ma omette anche di indicare le norme regolatrici della fattispecie, l’interpretazione di esse fornite dalla giurisprudenza di questa Corte, in che modo esse siano state disattese dalla sentenza gravata e ove egli ha sollevato tali doglianze nelle precedenti fasi. Neppure si confronta con la ratio decidendi addotta dalla Corte di merito a fondamento della liquidazione del danno non patrimoniale subito dal minore, molto puntuale nel descrivere i postumi permanenti incidenti sulla integrità psicofisica nella misura del 100% (grave tetraparesi spastica con encefalopatia epilettogena, da trattare farmocologicamente, associata a grave ritardo psicomotorio), specificamente descritti a p. 31, 41 e 42 della relazione del CTU.

3.2. Pertanto il motivo incorre in un grave difetto di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 e di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (v. da ultimo Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019 in materia di requisiti di autosufficienza e specificità del ricorso; sul requisiti di contenuto-forma imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, v. da ultimo anche Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 29093 del 13/11/2018).

4. Con il quarto ed ultimo motivo si denuncia “Sulla condanna alle spese Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.”. Il ricorrente assume la violazione delle norme de quibus da parte del giudice di secondo grado per mancata compensazione delle spese di lite tra le parti, quandanche sussistessero tutti i giusti motivi di derivazione giurisprudenziale per compensarle, riferiti alla complessità della vicenda.

4.1. Il motivo è inammissibile. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, in tema di condanna alle spese processuali, il sindacato del giudice di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 19613 del 4/8/2017; Sez. 5, Sentenza n. 20457 del 6/10/2011; Sez. 3, Sentenza n. 406 dell’11/1/2008).

5. Per quanto riguarda il ricorso incidentale tardivo presentato dalla ASL di [Omissis] che assume la erronea sussunzione conseguente ad inesatta ricostruzione della quaestio iuris (primo motivo), valgono le stesse considerazioni di cui al primo e secondo e terzo motivo, posto che la sorveglianza ostetrica sul benessere del nascituro avrebbe dovuto essere accompagnata da quella del medico, presente in sala parto, dovendosi qui tralasciare ogni considerazione sull’affermazione che il parto “si sia concluso felicemente e in assenza di fattori di rischio conclamatisi, come si legge a p. 24 della relazione del consulente di parte” — (p. 17 ricorso incidentale) a fronte delle gravi conseguenze lesive dell’ipossia del nascituro rilevate dal CTU e condivise dalla Corte di merito quanto inerenti all’esito del parto effettuato in siffatte condizioni di disattenzione medica; quanto all’affermazione della violazione degli artt. 1223,2055 e 2059 c.c., di cui al secondo motivo, nel motivo si denuncia un’esorbitante valutazione del danno biologico e del danno morale, a fronte della personalizzazione operata in ragione della gravità delle lesioni riportate dal nascituro al momento della nascita, che hanno compromesso ogni possibilità cognitiva e di relazione esterna. Il motivo, pertanto, è inammissibile là dove esso tende a proporre una diversa valutazione equitativa del danno (Euro 1204.882,00 anziché i liquidati Euro 1506 103,00), in una ipotesi in cui il giudice di merito ha dimostrato di applicare i consueti criteri tabellari milanesi, operando una personalizzazione che tiene conto delle gravi circostanze del caso concreto, con giudizio pertanto incensurabile in questa sede; per quanto riguarda il danno parentale, nel motivo si riportano circostanze, quale l’intervenuta separazione dei due coniugi e il venir meno del padre ai propri obblighi alimentari, senza allegare le deduzioni svolte in sede appello, ma solo nella richiesta di sospensiva cautelare ante iudicium, che tuttavia ha una diversa finalità processuale, e ciò in violazione del requisito di autosufficienza del ricorso che avrebbe dovuto indurre la ricorrente a riversare nel ricorso le censure poste nei motivi di appello; per quanto riguarda la terza censura, si tratta in realtà di un “non motivo” con richiesta del favore delle spese legali in caso di accoglimento del ricorso. Mentre deve darsi atto che nessuna censura viene mossa con riguardo alla posizione dell’ostetrica [Omissis]

6. Conclusivamente il ricorso principale e quello incidentale vengono dichiarati inammissibili nei confronti di [Omissis] e [Omissis]; viene dichiarato inammissibile il ricorso principale nei confronti di [Omissis], con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a carico delle parti resistenti in ragione dell’esito del giudizio, compensando le spese tra la ASL [Omissis] e [Omissis]

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso principale di [Omissis] e il ricorso incidentale tardivo della ASL [Omissis]; condanna i ricorrenti principale e incidentale, in via tra loro solidale, alle spese, liquidate in Euro 7.200,00 a favore [Omissis] e [Omissis], con distrazione a favore del difensore, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge; condanna il ricorrente principale alle spese in favore di [Omissis], liquidate in Euro 7.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge; compensa le spese tra la ASL [Omissis] e [Omissis]

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Documenti & materiali

Scarica Cass. Civ., Sez. III, 18/02/2021, n. 4424

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.