Sezioni Unite: il gratuito patrocinio è compatibile con la distrazione delle spese in favore del difensore Cass. Civ., SS.UU., 26/03/2021, n. 8561

By | 14/04/2021

CASS. CIV., SS.UU., 26/03/2021, N. 8561

«La presentazione dell’istanza di distrazione delle spese da parte del difensore di soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato non costituisce rinuncia implicita al beneficio da parte dell’assistito, attesa la diversa finalità ed il diverso piano di operatività del gratuito patrocinio e della distrazione delle spese – l’uno volto a garantire alla parte non abbiente l’effettività del diritto di difesa e l’altra ad attribuire al difensore un diritto in rem propriam – con la conseguenza che il difensore è privo del potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, compreso il diritto soggettivo all’assistenza dello Stato per le spese del processo, potendo la rinuncia allo stesso provenire solo dal titolare del beneficio, e tenuto conto, peraltro, che l’istituto del gratuito patrocinio è revocabile solo nelle tre ipotesi tipizzate nell’art. 136 del d.P.R. n. 115 del 2002, norma eccezionale, come tale non applicabile analogicamente» (Massima non ufficiale)

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso depositato il 21 luglio 2011, [Omissis], difesa dall’avvocato [Omissis], evocava dinanzi al Tribunale di [Omissis] l’Istituto nazionale per la previdenza sociale per ottenere il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento. Con decreto dell’11 ottobre 2011 la [Omissis] veniva ammessa dal consiglio dell’ordine degli avvocati al patrocinio a spese dello Stato. Il giudizio si chiudeva con la sentenza n. 13261 del 2013 di rigetto della domanda e con compensazione delle spese.

In esito al giudizio di merito l’avvocato [Omissis], con autonoma istanza, chiedeva al Tribunale di [Omissis] di liquidare il proprio compenso ai sensi dell’art. 82 d.p.r. n. 115/2002 ed il Tribunale, con provvedimento del 29 settembre 2014, rigettava l’istanza di liquidazione con contestuale revocava dell’ammissione provvisoria della [Omissis] al beneficio del patrocinio statuendo che, in ossequio alla giurisprudenza di legittimità, la richiesta di distrazione delle spese in favore del difensore comportava la implicita rinuncia al beneficio. Nei confronti del provvedimento di rigetto la [Omissis] e l’avvocato [Omissis] proponevano opposizione ex art. 702-bis c.p.c. ed il Tribunale di [Omissis], con ordinanza resa il 17 marzo 2015 e corretta il 4 settembre 2015, rigettava l’opposizione, affermando che le disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato, previste all’art. 14 legge n. 533/1973, non erano applicabili ogni qualvolta veniva invocata dalla parte provvisoriamente ammessa al gratuito patrocinio la condanna alle spese in proprio favore, in quanto siffatta richiesta concretava un’implicita ed univoca rinuncia al beneficio ed equivaleva alla negazione della sussistenza delle condizioni reddituali necessarie per l’attribuzione delle stesso. In altri termini, comportava l’inefficacia dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio, stante l’automatica operatività nella disciplina dettata dalla legge invocata della decadenza sancita dall’art. 34 R.D. n. 3282/1923.

Avverso l’ordinanza del Tribunale di [Omissis] propongono ricorso per cassazione le originarie opponenti, sulla base di un unico motivo.

Il Ministero della giustizia ha depositato atto di costituzione in giudizio ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

L’Istituto nazionale per la previdenza sociale, intimato al pari del pubblico ministero per gli affari civili presso il Tribunale di [Omissis], ha depositato atto di conferimento della procura a rappresentare e difendere l’Istituto nel presente giudizio.

Per la trattazione della causa veniva fissata l’udienza del 04.06.2019, cui prendevano parte le sole ricorrenti, oltre alla Procura Generale. All’esito della camera di consiglio, la Seconda Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 1989 del 2020, rimetteva gli atti al Primo Presidente, per la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, ancorché sostanzialmente sottintendente un contrasto nella giurisprudenza della Corte circa il rapporto tra l’istituto del patrocinio a spese dello Stato e quello della distrazione delle spese processuali, in cui veniva evidenziata sia la mancanza di precedenti univoci o pienamente convincenti, sia la sentita esigenza

nomofilattica caratterizzante l’interpretazione di norme disciplinanti il regime delle spese processuali, la cui soluzione reputava rilevante per la decisione del ricorso.

II Primo Presidente assegnava il ricorso alle Sezioni Unite e seguiva la fissazione dell’odierna udienza, in vista della quale l’Ufficio di Procura ha fatto pervenire conclusioni scritte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con unico motivo le ricorrenti denunciano “violazione di legge e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 ed, eventualmente, n. 5. dell’art. 14 della legge n. 533/1973, nonché dell’art. 136 e dei correlati artt. 74, comma 2, 82, 12, 131 e 133 del d.p.r. n. 115/2002 e dell’art. 93, comma 3 c.p.c.”, assumendo che contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l’eventuale richiesta di distrazione delle spese, che è esercizio di un diritto proprio del difensore, non può avere effetto paralizzante sul beneficio del patrocinio a spese dello Stato ove, come nei casi di specie, la parte ammessa al patrocinio non sia poi risultata vittoriosa; d’altro canto non può aversi distrazione ex art. 93 c.p.c. ove il giudice disponga la soccombenza o la compensazione delle spese di lite.

Le ricorrenti, nel dettaglio, evidenziano che l’istituto della distrazione presuppone la condanna alle spese della parte soccombente e che, in difetto della stessa, non possa attribuirsi all’istanza ex art. 93 c.p.c. alcun giuridico rilievo, tanto più che la revoca del beneficio è ammessa solo nei casi previsti dall’art. 136 del d.P.R. n. 115/2002 (nella specie insussistenti). Viene altresì sottolineato, richiamando a sostegno della propria argomentazione la pronuncia di questa Corte n. 17461 che 2014, che l’istanza di distrazione non possa riferirsi direttamente alla parte, non rientrando nei poteri del difensore ex art. 84 c.p.c. quello di disporre del beneficio, con conseguente impossibilità di ritenere sussistente una rinuncia implicita della parte. La censura è meritevole di accoglimento per le ragioni che verranno di seguito illustrate.

L’ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione civile, n. 1989 del 2020, dopo avere ricostruito il quadro giurisprudenziale di riferimento, evidenzia la non univocità degli orientamenti in merito agli effetti della presentazione dell’istanza di distrazione delle spese da parte dell’avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nello specifico, se comporti o meno la rinuncia implicita al beneficio, da parte dell’assistito, con conseguente legittimità del rigetto della relativa istanza.

In particolare, è ricomposta la posizione restrittiva assunta dalla Sezione lavoro della Suprema Corte (Cass. n. 4379 del 1978; Cass. n. 5579 del 1978; Cassa n. 1464 del 1980; Cass. 3901 del 1983; Cass. n. 267 del 1984) formatasi durante la vigenza del patrocinio a spese dello Stato di cui agli artt. 13 e 14 della l. n. 533 del 1974, ribadita recentemente (da Cass. Sez. Seconda n. 5232 del 2018, proprio in merito al beneficio di cui al d.P.R. n. 115 del 2002, rilevante nella fattispecie in esame).

Emerge come parte della giurisprudenza di legittimità, muovendo dall’incompatibilità del patrocinio a spese dello Stato con l’istituto della distrazione delle spese, abbia ritenuto, sia in passato che di recente, che la presentazione dell’istanza ex art. 93 c.p.c. costituisca implicita rinuncia agli effetti dell’ammissione al beneficio, essendo direttamente riferibile al non abbiente per effetto della procura conferita al difensore che presenta istanza di distrazione.

A fronte di tale orientamento alcune decisioni minoritarie avrebbero, di converso, escluso l’operatività del descritto automatismo, affermando che la rinuncia al beneficio non solo debba essere inequivoca ed esplicita ma anche direttamente riferibile alla parte interessata, non rientrando nei poteri del difensore, ex art. 84 c.p.c., quello di disporre del diritto di difesa del non abbiente (sempre con riferimento alla Sezione lavoro: Cass. n. 3406 del 1979; Cass. n. 530 del 1981; Cass. n. 5850 del 1983; Cass. 2535 del 1984).

Nel descritto contesto rileva, secondo l’ordinanza interlocutoria, la posizione assunta da Cass. pen., Sez. 3, n. 9178 del 2009, la quale, in via incidentale, ha escluso che l’istituto della distrazione di cui all’art. 93 c.p.c. possa trovare applicazione nell’ambito della procedura di patrocinio a spese dello Stato in favore della parte civile nel processo penale, con conseguente rigetto della relativa istanza di liquidazione dei compensi.

Nel dettaglio detta decisione ha affermato la necessità di provvedere in merito alla richiesta di liquidazione, pur se in presenza di precedente istanza di distrazione da parte del difensore del soggetto ammesso al patrocinio statale atteso che, essendo i due istituti incompatibili, questa debba ritenersi come tamquam non esset.

Anche le Sezioni Unite (sent. n. 1009 del 2014 e n. 1012 del 2014), “pur senza approfondire la questione, hanno affermato la ‘prevalenza del patrocinio”, prosegue l’ordinanza interlocutoria, negando che fossero affette da vizio revocatorio proprie precedenti pronunzie, che, una volta accolto il regolamento di giurisdizione, avevano rigettato la domanda” di “distrazione delle spese rilevando che il ricorrente era stato ammesso al patrocinio statale” con ciò confermando la sussistenza del patrocinio e il conseguente rigetto della domanda di distrazione.

Da ultimo attraverso la ricostruzione della ratio dei due istituti, nonché delle similitudini e differenze tra essi, l’ordinanza interlocutoria richiama la necessità di valutare il contenuto di Cass., Sez. L, n. 847 del 2019, ordinanza di rimessione della causa in pubblica udienza tesa a dirimere il contrasto in seno alla sezione lavoro sorto proprio con riferimento al rapporto tra patrocinio a spese dello Stato e distrazione delle spese, poi risolto da Cass., Sez. L, n. 30418 del 2019, intervenuta nelle more del deposito dell’ordinanza di rimessione, in favore della tesi per la quale la presentazione dell’istanza di distrazione non costituisce rinuncia implicita al beneficio.

Come è dato comprendere dal tenore dell’ordinanza interlocutoria, la questione posta all’esame di questa Corte a Sezioni Unite attiene alla compatibilità del beneficio del gratuito patrocinio con la richiesta del difensore di distrazione in suo favore dei compensi e delle spese di giudizio sussistendo pluralità di argomenti, testuali e sistematici, a favore dell’una e dell’altra opzione interpretativa.

Il contrasto interpretativo registrato nella giurisprudenza di legittimità risale agli anni 70 – 80 e si è sviluppato intorno all’interpretazione dell’art. 13 della legge n. 533 del 1973 che dettava una disciplina sostanzialmente analoga a quella contenuta negli artt. 78 e seguenti d.p.r. n. 115 del 2002 (Testo Unico sulle spese di giustizia).

In materia vale ricordare che il gratuito patrocinio, quale espressione del diritto alla difesa si afferma, a metà del XX secolo come attuazione di un diritto costituzionale. Com’è infatti noto, le Costituzioni moderne, al fianco dei tradizionali diritti politici e civili, pervengono ad affermare anche i cosiddetti diritti sociali, la cui funzione, per ciò che qui interessa, è essenzialmente quella di garantire ai non abbienti quel minimo di giustizia sociale che permetta loro di godere dei propri diritti. Fra questi diritti in particolare emerge, potentemente, quello dell’accesso alla giustizia e della sua effettività, con la conseguenza che anche la stessa concezione del processo civile evolve da garanzia meramente formale del diritto alla tutela giudiziaria a garanzia di uguaglianza sostanziale delle parti di fronte al giudice.

In una prima fase, infatti, l’istituto del «gratuito patrocinio» era imperniato sul principio antiquato del patrocinio dei poveri come «ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e dei procuratori» e disciplinato dal r.d. 30 dicembre 1923 n. 3282, che costituisce tuttora il testo base in materia di assistenza giudiziaria ai meno abbienti relativamente ad ogni tipo di giurisdizione (l’art. 19, comma 2, della legge istitutiva dei T.A.R., legge 6 dicembre 1971 n. 1034, ha voluto confermare che anche davanti agli organi di giustizia amministrativa di primo grado l’assistenza giudiziaria è disciplinata, nei suoi profili di applicazione, dal r.d. n. 3282 del 1923).

I tentativi di rinnovamento succedutisi negli ultimi decenni, pur apprezzabili nello sforzo di affrontare il problema dell’assistenza giudiziaria in modo più adeguato, non sono andati al di là di modifiche e di miglioramenti parziali. Settoriale è stato l’intervento della legge 11 agosto 1973, n. 533, che per la prima volta, ma per le sole controversie individuali di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie, ha introdotto nel nostro ordinamento il principio della retribuzione, a carico dello Stato, dei difensori (e degli altri soggetti) che prestano la loro opera a favore del non abbiente. Settoriali sono anche gli interventi dell’art. 75, legge 4 maggio 1983, n. 184 e dell’art. 15, legge 13 aprile 1988, n. 117, che hanno esteso, rispettivamente ai giudizi in materia di adozione e di affidamento dei minori ed ai giudizi di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, il sistema del patrocinio a spese dello Stato creato dalla legge 11 agosto 1973, n. 533.

Carattere parziale e limitato ha infine la legge 30 luglio 1990, n. 217, che ha istituito il patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti penali ovvero penali-militari relativi a reati (ma con importanti esclusioni) e nei giudizi civili relativi all’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno e le restituzioni derivanti da reato. Lo stesso legislatore, sottolineando il carattere transitorio di questo intervento «fino all’entrata in vigore della disciplina generale del patrocinio dei non abbienti avanti ad ogni giurisdizione» (art. 1, 7 0 co.), non sembra pensare ad un’applicazione generalizzata della relativa disciplina.

In Italia il legislatore ha faticato (diversamente dalle soluzioni istituzionali adottate, in epoca moderna, in altri ordinamenti, soprattutto nei Paesi dell’Europa occidentale) e dunque ha tardato ad adeguare la tutela processuale di un diritto già ampiamente riconosciuto sul piano sostanziale. È infatti solo con la normativa dei primi anni 2000, d.P.R. n. 115 del 2002 (anch’esso oggetto di successive modifiche) che si è realizzato un primo tentativo di configurazione dell’assistenza legale nel processo civile quale effettivo socia/ service a carico dell’erario; affermazione che solo in parte può dirsi oggi realizzata.

In effetti, nell’ambito di un testo normativo tanto essenziale diverse questioni interpretative si sono poste riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della legge e all’effettivo perimetro di garanzie da essa delineato.

Per quel che rileva in questa sede, si evidenzia che, in seguito al procedimento delineato dagli artt. 75 e ss. del citato d.P.R. n. 115 del 2002, la parte è provvisoriamente ammessa al beneficio ed in forza di ciò sono a carico dello Stato non solo le spese e i compensi dell’avvocato ma anche le ulteriori provvidenze di cui al successivo art. 131, come le spese per gli ausiliari del giudice, per i consulenti tecnici di parte e la prenotazione a debito del contributo unificato, indipendentemente dall’esito della lite. Oltre ad essere generalizzato il patrocinio a spese dello Stato a tutti i processi, è stato altresì disposto – differentemente da quanto avveniva con la legge n. 533 del 1973 – che l’istanza di ammissione possa essere presentata anche durante il corso del processo.

Il d.P.R. citato per quanto qui di interesse, come di seguito si chiarirà – ha peraltro previsto, nell’art. 136, tre sole cause di revoca del beneficio, quali le sopravvenute modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai fini dell’ammissione nel corso del procedimento, l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero l’avere l’interessato agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.

Appare, dunque, particolarmente significativo a questo riguardo il ruolo per così dire orientativo svolto dalla giurisprudenza attraverso le pronunce per la soluzione dei casi concreti onde offrire un quadro sistematico dei principi vigenti in materia. In questa attività interpretativa la Corte di cassazione si è caratterizzata nel senso di chiarire gli interventi legislativi nella direzione di estendere le garanzie del patrocinio a spese dello Stato a tutte le modulazioni della giurisdizione civile, ordinaria e volontaria, con esclusione della sola materia stragiudiziale (v. Cassa 23 novembre 2011 n. 24723; Cass. 14 dicembre 2017 n. 30069; Cass. 5 gennaio 2018 n. 164; Cass. 4 giugno 2019 n. 15175; anche la Corte cost. meno recente, sentenze n. 70 del 1985, n. 74 del 1968, n. 87 del 1968).

La Corte di cassazione, infatti, chiarendo in modo esauriente la portata dell’art. 74, D.P.R. n. 115/2002, prende atto della necessità di dare una dimensione concreta al bisogno di giustizia, il quale non dovrebbe essere considerato soltanto come esigenza di avere un avvocato, secondo il modello tradizionale, ma quale necessità di assistenza a tutti i livelli in cui si esprime l’azione, sottolineandosi l’esigenza di rendere appunto effettiva l’assistenza giudiziaria ai non abbienti nel quadro di un adeguamento costante delle strutture processuali ai principi sanciti dagli artt. 3 e 24 Cost. e dai principi sovranazionali di cui agli artt. 6 CEDU (comma 1: diritto ad un equo processo davanti ad un tribunale indipendente al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi obblighi di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta; comma 3: oltre al diritto di difendersi da sé o ad avere l’assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi, il diritto di essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio), 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e 14, lett. d), del Patto internazionale sui diritti civili e politici, oltre alla Direttiva UE/ 3/2008, in parte integrata e sostituita dal regolamento CE 4/2009.

Ciò posto, l’esigenza manifestata dalla ordinanza interlocutoria di remissione qui esaminata è, in definitiva, quella di uno sguardo critico nei confronti di quelle elaborazioni giurisprudenziali che possano implicare un ristringimento, anche solo potenziale, dell’accesso alla giustizia per i ceti economicamente, e quindi socialmente, più deboli.

Rispetto al tema che qui si considera appare necessario delineare i tratti salienti dell’istituto della distrazione delle spese, che il legislatore ha introdotto con l’art. 93 c.p.c. il quale, come evidenziato nell’ordinanza interlocutoria, “condivide con il patrocinio statale l’obiettivo di favorire l’accesso alla giustizia” ma la cui operatività è tuttavia ben diversa. Esso, infatti, è limitato alle spese e agli onorari del difensore ed è gratuito per l’assistito nella misura in cui questi risulti vittorioso e vi sia la pronuncia di condanna al pagamento delle spese a carico della controparte. Nel caso di soccombenza o comunque di compensazione delle spese, il difensore chiederà le spese e gli onorari al proprio assistito.

In merito all’origine, l’istituto della distrazione è stato fatto risalire alla legislazione francese in cui veniva configurato come una cessione coattiva del credito operata dal giudice su richiesta del difensore. L’istituto in esame è stato quindi dapprima disciplinato dall’art 133 c.p.c. napoleonico, dunque applicato in Italia nei territori soggetti al controllo francese, poi ripreso nell’art. 375 del codice del 1965, che non si riferiva espressamente alla distrazione ma prevedeva unicamente la possibilità per i difensori di chiedere che la condanna in punto di spese fosse emessa in loro favore.

In forza del trattamento speciale riservato dall’art. 93 c.p.c., nella pratica processuale può avvenire che le spese siano anticipate, anziché (come accade ordinariamente) dalla parte, dal suo difensore. In tal caso il citato art. 93 dispone che il difensore con procura è legittimato a chiedere che il giudice, nella stessa sentenza (o, comunque, in un omologo provvedimento di natura decisoria) in cui condanna alle spese la controparte (sulla scorta, di regola, del presupposto della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c.), distragga in suo favore e degli altri difensori (che lo abbiano eventualmente affiancato nella difesa della medesima parte, qualora risultante vittoriosa) gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipato. Come appare evidente, la domanda del difensore (costituito con procura) è proposta in via condizionata alla condanna della controparte a rimborsare le spese processuali. Peraltro, è opportuno sottolineare che, qualora sia emesso il provvedimento di distrazione, non per questo il difensore distrattario diviene creditore esclusivo per le spese e i compensi riconosciuti nei confronti della parte soccombente condannata al loro pagamento. Infatti, anche dopo la disposta distrazione, il difensore conserva intatto il suo diritto ad agire contro il proprio cliente per il recupero delle spese e il pagamento dei compensi, così come il cliente può, pagando il difensore, agire contro il soccombente in base allo stesso titolo originario costituito dalla sentenza di condanna a carico della parte avversaria (e non, quindi, sulla scorta di un nuovo titolo o di un titolo derivato dal difensore).

In forza del provvedimento di distrazione, perciò, il debito del soccombente verso il procuratore dell’altra parte si affianca, in via alternativa e nei limiti della somma liquidata dal giudice, a quello del cliente, rimanendo, altresì, integra la facoltà del procuratore di rivolgersi a quest’ultimo anche per la parte del credito professionale che ecceda l’importo quantificato dal giudice che sia stato corrisposto dalla parte soccombente (Cass. 7 luglio 2000 n. 9097).

Dalla descritta essenziale disciplina si evince come, in sostanza, l’art. 93 c.p.c. individui un’eccezione alla regola generale secondo la quale il compenso al difensore è dovuto solo dal suo rappresentato o assistito salvo (se vittorioso) il diritto di quest’ultimo al rimborso nei confronti della parte soccombente. La ragione fondante di tale eccezione come posto in risalto anche dalle Sezioni unite rinvenibile nell’opportunità della previsione di un sistema di maggiore garanzia in favore del difensore ai fini del conseguimento del suo compenso direttamente dalla parte soccombente (senza, quindi, la necessità di dover compulsare il proprio cliente risultato vittorioso), che conferisce allo stesso difensore, a cui sia appunto riconosciuta la distrazione, la titolarità di una posizione giuridica soggettiva, autonoma e distinta da quella occupata dal suo assistito (v. Cass., Sez. Un., 2 agosto 1995 n. 8458; Cass. 5 agosto 2005 n. 16597), ancorché limitatamente solo a questo aspetto.

È stato, inoltre, evidenziato che, in virtù della pronuncia di distrazione, nasce direttamente in favore del difensore un diritto di credito nei confronti della parte soccombente, rimanendo, in ogni caso, escluso che il difensore distrattario possa impugnare in proprio la sentenza per il merito o per omessa ed erronea pronuncia sulle spese. Conseguentemente, così come la parte condannata nelle spese non è legittimata ad impugnare il provvedimento di distrazione e, la sentenza che la concede, non avendo interesse a contrastare il provvedimento, poiché il pagamento effettuato al difensore distrattario produce effetto liberatorio come quello eseguito a favore della parte vittoriosa, correlativamente, la parte vittoriosa non è legittimata ad impugnare nei modi ordinari la sentenza (o il provvedimento equiparabile) per il capo relativo alla distrazione disposta a vantaggio del proprio difensore potendosi avvalere unicamente della speciale azione di revoca prevista dal 2° comma dell’art. 93 c.p.c.

La stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. 1° ottobre 2009 n. 21070) – come puntualmente ribadito nella sentenza delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 7 luglio 2010 n. 16037) ha, altresì, sottolineato che la dichiarazione di avere anticipato le spese e non riscosso gli onorari è, di regola, vincolante per il giudice (al quale non spetta alcun margine di sindacato sulla stessa), tanto che il difensore non ha l’onere di provare il fatto costitutivo della propria pretesa, pur non dovendosi trascurare che, anche se la sua istanza di distrazione è stata accolta, egli conserva la facoltà di pretendere il rimborso alternativamente dal soccombente e dal cliente ed anche di far valere il proprio diritto nei confronti di entrambi, in caso di soccombenza parziale.

Premesso questo inquadramento storico-sistematico, si ritiene che l’art. 93 c.p.c. abbia la finalità di consentire al difensore della parte vittoriosa di ottenere il proprio credito nei confronti della parte soccombente. Ciò rappresenta la ratio e, al tempo stesso, il limite di applicazione della distrazione delle spese; si tratta infatti di una mera possibilità (rimessa alla scelta discrezionale dell’avvocato, non surrogabile dalla parte) riservata esclusivamente alla parte vittoriosa ed ammessa unicamente in caso di applicazione della regola della soccombenza.

Come recentemente ribadito (Cass. 26 marzo 2019 n. 8436), il difensore agisce per un diritto proprio ed autonomo verso il soccombente, con la conseguenza che quest’ultimo non può opporgli, in compensazione, l’eventuale credito vantato nei confronti della parte vittoriosa. Sicché, in quest’ottica il difensore è legittimato ad impugnare la pronuncia esclusivamente sulla questione relativa alla distrazione (ex multis: Cass. n. 26089 del 2914; Cass. n. 13516 del 2017).

Proprio con riferimento alla legittimazione all’impugnazione del difensore ed alle modalità della stessa, i recenti approdi cui è pervenuta Sez. U, n. 16037/2010 hanno profondamente rivisitato la configurazione dell’istituto.

In particolare è stato affermato che “su/ piano della ricostruzione della vicenda in termini processuali non è, poi, sostenibile che la richiesta di distrazione possa essere qualificata come domanda autonoma, suscettibile di dar vita ad un capo della decisione in senso tecnico: attesa la sua funzione di istanza incidentale non giustificata dalla soccombenza sostanziale, è collegata ad una sorta di favor per il difensore da parte dell’ordinamento processuale, nonché occasionata dal processo pendente tra le parti principali al cui esito resta peraltro condizionata. La stessa non presenta alcuno dei caratteri della domanda giudiziale in senso proprio; sfugge alla relativa disciplina posto che come tale può essere formulata anche oralmente all’udienza di discussione della causa, nonché in qualunque altro momento, pur in sede di precisazione delle conclusioni o, addirittura, nella comparsa conclusionale. E la sua proposizione consentita soltanto per conseguire la finalità posta direttamente dall’art. 93 c.p.c. – si sottrae perfino all’applicazione de/ regime processuale di tipo preclusivo (e, quindi, decadenziale), peculiare di ogni altro intervento giudiziale.

Proprio in forza di queste caratteristiche il distrattario non è gravato dell’onere della prova relativa alle dichiarazioni operate e la sua dichiarazione di anticipazione è da ritenersi vincolante per il giudice (al quale non spetta alcun margine di sindacato su di essa); né può dar luogo, in sede di condanna alle spese, ad alcuna contestazione su/ punto, sia da parte del cliente, che dell’avversario, trattandosi di un privilegio, la cui giustificazione e la cui tutela vengono rinvenute dall’ordinamento nella funzione alla quale il difensore assolve. E, d’altra parte, il provvedimento che dispone la distrazione deve considerarsi, piuttosto che una statuizione della sentenza in senso stretto, un autonomo provvedimento formalmente cumulato con questa, esclusivamente inerente a/ rapporto che intercorre tra il difensore ed il suo cliente vittorioso: comportante la sostituzione de/ primo al secondo nel diritto di credito al pagamento delle spese processuali e dei compensi professionali nei confronti della controparte soccombente che gli deriva dalla già pronunciata condanna di quest’ultima. Per cui, se nell’ambito del rapporto suddetto, il cliente nell’eventualità del sopravvenuto soddisfacimento delle spese assunte come anticipate e degli onorari attestati come non riscossi dal suo patrono, non può proporre l’impugnazione ordinaria ed ha la possibilità di tutelarsi – come già evidenziato mediante il ricorso al procedimento di revoca disciplinato dallo stesso art. 93 c.p.c., comma 2, ricondotto dalla stessa norma nel solco della procedura di correzione, è coerente con questo quadro normativo che anche la mera omissione del provvedimento di distrazione, assolutamente vincolato ed a priori sottratto a qualsiasi forma di valutazione, sia egualmente emendabile con il medesimo rimedio “impugnatorio” specifico della correzione della sentenza ai sensi dell’art. 287 c.p.c. e segg.”(Cass., Sez. Un., 27 novembre 2019 n. 31033).

Passando ad esaminare gli effetti dell’istanza di distrazione delle spese sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nella giurisprudenza di legittimità, come suesposto, dopo l’abrogazione del patrocinio gratuito di cui al r.d. n. 3282/1923, il legislatore introdusse, con la legge n. 533 del 1973, per le sole cause di lavoro il patrocinio statale. La disciplina avrebbe dovuto essere transitoria in quanto, fin da subito, si auspicò una generalizzazione dell’istituto, cosa che tuttavia, avvenne, come noto, molto più tardi.

In presenza di una disciplina settoriale la giurisprudenza adottò un’interpretazione particolarmente rigida delle disposizioni contenute nella legge n. 533 del 1973. Non solo la compresenza dell’istanza di distrazione e del patrocinio statale venne ritenuta impossibile, ma la prima si ritenne comportare l’implicita rinuncia al patrocinio statale, e, quindi, la revoca del beneficio.

É in merito opportuno ripercorrere la motivazione di alcune delle principali decisioni assunte dalla Corte di Cassazione nel decennio che va dal 1975 al 1985, recentemente ribadite (Cass. n. 5232 del 2018). La Sezione lavoro (sentenza n. 5579 del 1978) ha affermato che nelle controversie di lavoro, mentre l’ammissione al patrocinio statale comporta il pagamento degli onorari, dei diritti e delle competenze da parte dello Stato, con conseguente esclusione di ogni rapporto tra parte assistita e parte non assistita, la distrazione delle spese determina la costituzione di un rapporto obbligatorio fra il difensore della parte vittoriosa e la parte soccombente, con conseguente inconciliabilità tra i due istituti, per cui viene ritenuta la sussistenza di un’implicita rinuncia al patrocinio statale in caso di istanza di distrazione delle spese. La posizione dell’assistito ammesso al patrocinio statale, alla luce degli artt. 13 e 14 della legge n. 533 del 1973, viene ricostruita sottolineando come non sia tenuto ad alcun rimborso nei confronti dello Stato e come le spese per gli atti compiuti dai difensori, dai consulenti, per l’audizione dei testimoni, ausiliari del giudice, siano anticipate dallo Stato che si surroga alla parte assistita nel diritto al recupero delle spese e degli onorari nei confronti della parte non assistita soccombente. Al contrario, “la disciplina della distrazione delle spese di cui all’art. 93 c.p.c. crea, in via eccezionale, un rapporto obbligatorio fra il difensore della parte vittoriosa e la parte soccombente, per cui il credito sorge direttamente a favore del difensore della parte vittoriosa nei confronti del soccombente con la ulteriore conseguenza della costruzione di un titolo esecutivo in capo al difensore predetto”. Sicché emerge, “con evidenza, da tutto ciò l’assoluta inconciliabilità tra i due sistemi, i cui istituti tanto diversi, sia nella forma che nella sostanza, non possono in alcun modo coesistere”. Se, infatti, il presupposto dell’ammissione al beneficio, prosegue la decisione, è lo stato di non abbienza è “evidente che con la presenza di un difensore antistatario la parte ha trovato chi (cioè proprio l’avvocato distrattario) anticipa per lei dette spese e non pretende da lei l’onorario perché si rivolge direttamente per le une e per l’altro, a mente dell’art. 93 c.p.c. alla parte soccombente”. L’aver chiesto la distrazione, in quest’ottica, costituisce esplicita ammissione della insussistenza dello stato di non abbienza e implicita rinuncia al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. A ciò si aggiunge peraltro, così rafforzando ulteriormente il proprio percorso argomentativo, l’impossibilità di condividere l’assunto secondo cui in “un sistema che esclude ogni rapporto tra il difensore della parte non abbiente assistita e la parte soccombente non assistita, possa essere sussunto un istituto che da un lato riponga nuovamente in essere quei rapporti esclusi dalla norma e dall’altra consenta al difensore della parte assistita che dovrebbe essere pagata dallo Stato – di ottenere il pagamento dalla parte soccombente, sovvertendo il già lumeggiato sistema di pagamento diretto da parte dello Stato e successiva surroga di questa nei confronti della parte assistita”.

In altra pronuncia, nel ribadire l’orientamento dinanzi illustrato, si evidenzia che la richiesta formulata ex art. 93 c.p.c. dal difensore della parte ammessa al patrocinio a carico dello Stato, in forza della procura ad litem, “palesa la non avvenuta attuazione del provvedimento di ammissione al suddetto patrocinio e la conseguente sopravvenuta inefficacia, onde questa situazione esclude l’accoglimento di una richiesta intesa a far rivivere il predetto beneficio, nell’ipotesi in cui la parte risulti soccombente nella lite” (Cass. n. 3055 del 1978). La presentazione dell’istanza ex art. 93 c.p.c. quindi comporta, in quest’ottica, due conseguenze: la ritenuta non attuazione del provvedimento di ammissione e, contestualmente, la sua sopravvenuta inefficacia che, pertanto, non consente l’accoglimento di istanze volte a “far rivivere” il beneficio.

La decisione da ultimo illustrata tuttavia postula che siffatta disciplina trovi applicazione allorché la richiesta ex art. 93 c.p.c. sia stata avanzata, o reiterata, dopo l’ammissione al patrocinio statale, mentre nella fattispecie posta al suo vaglio l’istanza di distrazione era stata formulata con l’atto introduttivo del giudizio di appello, quando non esisteva ancora l’ammissione al patrocinio a carico dello Stato e ‘quindi non vi poteva essere incompatibilità”. L’essere stato pronunciato successivamente il decreto di ammissione al beneficio unitamente all’accettazione ed espletamento dell’incarico da parte del difensore, comporterebbe, in quest’ottica, l’intervenuta implicita rinuncia all’istanza di distrazione con conseguente necessità di disporre, da parte del Giudice, la liquidazione degli onorari.

Altra pronuncia (Cass. n. 267 del 1984), diversamente, afferma che “poiché è sufficiente la sola dichiarazione dell’avvocato distrattario, vincolante per il giudice, salva l’ipotesi di frode, di aver anticipato le spese e non riscosso gli onorari, a costituire una situazione incompatibile con lo stato di non abbienza, che è il presupposto principale del beneficio del patrocinio a carico dello Stato, per aver trovato la parte già chi anticipa per lui le spese e pretende l’onorario (avvocato distrattario), non ha rilevanza, ai fini della rinuncia implicita, che la richiesta di distrazione preceda o segua l’emanazione de/ decreto che accerti i relativi presupposti che devono essere verificati in quel momento”. Sicché l’istanza di distrazione, attestante una situazione di fatto incompatibile con la non abbienza, non può essere rinunciata con conseguente impossibilità di eliminazione degli effetti già verificatisi (in questo senso, Cass. n. 1832 del 1983).

Alcune decisioni, una volta considerata l’istanza implicitamente rinunciata, ritengono applicabile al beneficio di cui all’art. 14 della legge n. 577 del 1973 la decadenza disciplinata dall’art. 34 del r.d. n. 3282 del 1923 e conseguentemente si afferma che “la richiesta del difensore, nominato d’ufficio in un processo del lavoro, di distrazione delle spese ed onorari a norma dell’art 93 c.p.c., pone in essere un comportamento, direttamente riferibile alla parte per effetto della procura, di non attuazione del provvedimento di ammissione al patrocinio statale, con conseguente sua inefficacia, in relazione alla decadenza espressamente prevista dall’art 34 de/ RD 30 dicembre 1923 n 3282, applicabile anche nell’ambito del sistema normativo del patrocinio a spese dello stato, limitatamente alla parte non coperta dalle nuove norme”(Cass. n. 172 del 1980).

Con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 115 del 2002 è stato generalizzato il patrocinio a spese dello Stato a tutti i processi ed è stato inoltre disposto, differentemente da quanto avveniva con la legge n. 533 del 1973, che l’istanza di ammissione possa essere presentata durante il corso del processo.

La questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria è stata nuovamente oggetto di valutazione, con decisioni antitetiche di questa Corte (Cass. n. 17461 del 2014; Cass. n. 5232 del 2018; Cass. n. 30418 del 2019).

Una prima statuizione fa proprio, con riferimento al patrocinio a spese dello Stato di cui al d.P.R. n. 115/2002, l’orientamento maggioritario formatosi in merito alla legge n. 533 del 1973, traslandone le relative argomentazioni e rimarcando l’impossibilità per il giudice di sindacare la veridicità dell’istanza, per cui ritiene i due istituti incompatibili con conseguente rinuncia implicita al beneficio in caso di istanza di distrazione delle spese, indipendentemente dal momento in cui sia intervenuta l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Cass. n. 5232/2018 cit.).

Diversamente, altra decisione (Cass. n. 17461/2014 cit.) ha escluso che l’istanza di distrazione possa determinare la revoca del beneficio atteso che l’art. 136 del citato d.P.R. n. 115 la contempla solo con riferimento a tre cause, aventi carattere tassativo. Il comportamento del difensore che presenti l’istanza, a tal stregua, non può incidere sul beneficio ma può determinare altre conseguenze in sede, eventualmente, disciplinare.

Assume invece una posizione antitetica la recente Cass. n. 30418/2019, pronunciata in seguito all’ordinanza di rimessione alla pubblica udienza n. 847/2019 proprio per la questione afferente al rapporto intercorrente tra i due istituti oggetto dell’attuale ordinanza interlocutoria, escludendo, anche alla luce dei principi costituzionali ed unionali, che l’istanza di distrazione possa comportare la revoca del beneficio, provvidenza posta a garanzia dell’effettività del diritto di difesa di cui all’art 24 Cost. per la parte che vi sia ammessa.

Alla luce di quanto sopra, è evidente che per definire la questione posta a queste Sezioni Unite occorra focalizzare l’attenzione sulle finalità dei due istituti coinvolti e, di conseguenza, definire il piano di operatività degli stessi.

É evidente che nell’accezione dello Stato moderno il sistema del patrocinio a spese dello Stato assolve non già a finalità meramente economica di fornire a persona non abbiente le risorse necessarie per assicurargli assistenza tecnica in un processo, bensì quella di garantire l’effettività del diritto di difesa quale strumento per pervenire ad affermare e a godere dei propri diritti.

Così configurato è da escludere che la parte assistita sia ammessa al beneficio per il tramite del suo difensore, in quanto chiamata ad esercitare un proprio diritto soggettivo, come si desume dalla circostanza che ove vi sia revoca o rinuncia del difensore al mandato, il patrocinio a spese dello Stato permane e il nuovo difensore non è tenuto a presentare in nome proprio o del non abbiente alcuna ulteriore istanza di ammissione. In altri termini, il beneficiario del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio non è il difensore ma la parte non abbiente, la quale è tenuta indenne dallo Stato, qualunque sia l’esito della lite, dal pagamento delle spese del suo difensore, tant’è che deve proporre personalmente l’istanza. Diversamente l’istanza di distrazione, previsione di carattere eccezionale, costituisce un diritto in rem propriam del difensore, che produce i suoi effetti solo quando la controparte del non abbiente sia condannata al pagamento delle spese e non lo esonera dagli obblighi che scaturiscono dal rapporto professionale.

Siffatto rilievo è dirimente nell’escludere ogni rapporto tra il difensore e la parte assistita rispetto all’ammissione al gratuito patrocinio, con la conseguenza che il difensore è privo del potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, compreso il diritto soggettivo della parte all’assistenza dello Stato per le spese del processo, per cui la rinuncia allo stesso può provenire solo dal titolare del beneficio.

A conferma del rilievo di cui innanzi si evidenzia, altresì, che il provvedimento di ammissione al beneficio della parte non abbiente oltre a produrre l’effetto principale costituito dal pagamento dei compensi al difensore, la esonera anche dall’anticipazione delle spese che vengono prenotate dallo Stato (art. 131, commi 2 e 3 del citato d.P.R.). La circostanza, poi, che la presentazione dell’istanza di distrazione costituisca una rinuncia tacita al beneficio, presuppone che l’istituto sia revocabile, ma a ben vedere le cause individuate dal legislatore sono solo tre e tipizzate nell’art. 136 del d.P.R. n. 115 del 2002, dovute a sopravvenute modifiche alla situazione reddituale, alla mala fede o alla colpa grave della parte ammessa che abbia agito o resistito in giudizio ovvero all’insussistenza ab origine delle condizioni reddituali, dunque norma eccezionale, come tale non applicabile analogicamente, e non certo per l’avvenuta presentazione dell’istanza di distrazione.

Del resto la previsione di una correlazione fra i due istituti, come affermata dall’orientamento giurisprudenziale che ravvisa una incompatibilità fra gli stessi, appare non già dettata dal sistema normativo, ma piuttosto suggerita da evidenti ragioni di opportunità di arginare il fenomeno dei possibili abusi dello strumento del patrocinio statale, finalità che però potrebbe essere più correttamente realizzata attraverso una riconfigurazione dell’attuale sistema, senza ostacolare l’accesso alla giustizia. Pur vero che l’istanza di distrazione quando formulata va accolta, ma può essere successivamente revocata su richiesta dell’assistito che, allegandone la frode, evidenzi la insussistenza dei presupposti per la distrazione delle spese, come evidenziato da queste stesse Sezioni Unite (sent. n. 16037 del 2010). In questa prospettiva la richiesta di distrazione viene confermata nella sua espressione di un diritto del solo difensore che allo stesso spetta in virtù del fatto che egli ha erogato le somme necessarie alle spese e non può pregiudicare i diritti soggettivi del suo assistito non abbiente per la considerazione preliminare che egli è privo del potere di disporne, oltre a tacere del fatto che esclusivamente l’ammissione al beneficio garantisce il non abbiente dalla copertura integrale delle spese non soltanto del professionista che lo assiste, ma anche degli altri costi ex art. 131 T.U. cit.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio al medesimo Tribunale di [Omissis] che si dovrà nuovamente pronunciare tenendo conto dell’indicato principio di diritto.

Al giudice del rinvio è rimessa anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 385 c.p.c.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia al Tribunale di [Omissis], in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Documenti & materiali

Scarica Cass. Civ., SS.UU., 26/03/2021, n. 8561

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