Contenuti
- 1 Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
- 2 Sistema informatico e sistema forense: il rischio del cortocircuito
- 3 Un esempio di cortocircuito: costituzione in giudizio e dimensioni massime della busta telematica
- 4 E’ possibile costituirsi telematicamente?
- 4.1 Il caso deciso da Trib. Foggia, 10/04/2014: inammissibilità
- 4.2 Il caso deciso da Trib. Torino 15/07/2014: inammissibilità
- 4.3 Il caso deciso da Trib. Pavia 22/07/2014: inammissibilità
- 4.4 Il caso deciso da Trib. Padova, 03/09/2014: inammissibilità
- 4.5 Il caso (particolare) deciso da Trib. Milano, Sez. Lav., 08/02/2013: inammissibilità
- 4.6 Il caso deciso da Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014: rinvio
- 5 Cinque su sei. Non c’è male: qualche prima considerazione
Come tutti sappiamo, la telematica è ormai diventata uno strumento abituale nel contesto forense.
Chi, sino a ieri, doveva adoperare una certa dose di impegno anche solo per trovare il pulsante d’accensione del pc, si muove, oggi, più o meno disinvoltamente, tra PDF, firme digitali e notifiche PEC; inedite figure professionali ibride (il tecnico informatico/giuridico o l’avvocato telematico) si stanno prepotentemente profilando all’orizzonte; si aprono nuove e diverse possibilità operative per chi possa, voglia, o, infine, debba, sperimentarle (notifiche PEC, estrazione di copie autentiche etc.).
Un fenomeno che ci mostra chiaramente come il pianeta giustizia si stia inevitabilmente, quanto meritoriamente, indirizzando verso la digitalizzazione (anche se il cammino è ancora lungo).
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
Ma limitarsi a constatare questo innegabile stato di fatto porta a rispondere ad una sola delle tre domande esistenziali fondamentali che ciascuno di noi, soprattutto in questi tempi di incertezza e cambiamento, probabilmente si è posto; quella relativa al “dove andiamo”.
Resta, invece, aperta la risposta alle altre due, non meno importanti, questioni: “chi siamo” e “da dove veniamo“.
A rifletterci bene, in effetti, chi siamo, lo sappiamo già. Siamo avvocati. Personaggi, cioè, abituati a cavillare, spaccando il capello in quattro, paradigmaticamente conflittuali e, come tali, pronti a sollevare ogni genere di eccezione (comprese quelle – nuovissime – di natura telematica) per controbattere l’avversario.
E sappiamo anche da dove veniamo. Veniamo da un sistema legislativo/giudiziario arruffone, inefficiente e, soprattutto, contrario ad ogni forma di novità, specie se essa intacca (come nel caso dell’introduzione della telematica nella vita forense) rendite di pura posizione, conseguenti aree di potere personale, strutture burocratiche ramificate di stampo medievale e simili ambiti, più o meno occulti, di pura autoaffermazione individuale, assolutamente esiziali per la resa del sistema nel proprio complesso.
Questo, dunque, il quadro in cui si innesta la cosiddetta rivoluzione informatica odierna. Rivoluzione che rivoluzione, in realtà non è, quantomeno sul terreno del diritto processuale, visto che il suo avvento ha semplicemente introdotto un nuovo modo di gestire/visionare i fascicoli ed organizzare i depositi in cancelleria e non ha, invece, creato alcuna forma di processo telematico “vero” (in udienza continueremo ad andarci ancora per un po’ di persona, insomma).
Il preteso carattere rivoluzionario di cui tutti parlano, dunque, si gioca su un terreno del tutto diverso da quello, futuribile, di un processo completamente digitalizzato; si gioca, cioè, sul terreno sopra descritto alla voce: “da dove veniamo”.
E’ chiaro, infatti, che per un sistema ostinatamente abbarbicato a logiche e metodi operativi otto/novecenteschi, il solo fatto di dover mettere in discussione carta, penna e calamaio e di doverli sostituire con bit, impone un salto di mentalità talmente importante da comportare rischi di cortocircuiti sistemici altrettanto rilevanti (un esempio è quello della proverbiale “copia di cortesia”, su cui vi abbiamo già ragguagliato in un post del 23 giugno scorso o quello della “busta telematica” di cui parleremo nel seguito di questo post).
Sistema informatico e sistema forense: il rischio del cortocircuito
Premesso un tale contesto, aggiungiamo che chiunque abbia una minima confidenza con l’informatica (in quanto sistema, non in quanto strumento), conosce una verità banalissima: un sistema informatico, oltre ad essere concepito in modo ineccepibile e maniacalmente controllato e ricontrollato durante la sua operatività, deve, una volta entrato a regime, funzionare perfettamente, continuativamente e dappertutto (cioè, nel nostro caso, in ogni ufficio giudiziario). Non un po’ sì e un po’ no. Non a tratti. Non a macchia di leopardo. Deve, in altre parole, trattarsi di una struttura plug and play e non, come si diceva ai tempi di Windows 95, plug and pray.
Ciò non è per certo accaduto nel caso del PCT, sistema andato a regime in versione palesemente “beta” (si veda, ad esempio, l’articolo che abbiamo pubblicato il 19/08/2014) e di per sé destinato ad innestarsi in un ambiente – quello forense – che, un po’ per formazione degli operatori, un po’ per l’incancrenirsi di ruoli, poteri e burocrazie cui ci si è sopra riferiti, funziona in modo tutt’altro che perfetto.
Peraltro, tale situazione di partenza, già di per sé non brillante, è stata ulteriormente complicata dal fatto che il codice processuale civile si ispira, per forza di cose, ad un modello completamente cartaceo di processo e, a parte alcune “pezze” messe qua e là, poggia su fondamenta del tutto diverse da quelle sulle quali dovrebbe fondarsi un processo di tipo telematico.
Per effetto di ciò la tradizionale regola processuale di rango primario è stata variamente affiancata (ma anche integrata, quando non superata) da un ormai cospicuo numero di fonti di livello inferiore aventi contenuto essenzialmente tecnico: normative delegate di diversa natura, provvedimenti amministrativi di vario tipo, sino alle circolari ministeriali, ai protocolli approvati localmente e a quant’altro.
Il che, se ha contribuito, sul piano delle prassi quotidiane tecnico/operative, a dipanare le diverse matasse telematiche che si sono di volta in volta presentate sulla strada del PCT, ha tuttavia lasciato assolutamente impregiudicato, sul piano propriamente giuridico, il problema della valutazione di quelle stesse matasse da parte dei giudici, i quali, dal canto loro, manifestano inevitabilmente la tendenza a rifarsi ai tradizionali punti di riferimento “cartacei” tuttora propri del processo civile.
Insomma, siamo di fronte, come si diceva, ad un pericoloso rischio di cortocircuito tra realtà operativa e diritto, le cui conseguenze, non tanto sul piano tecnico, dove si muovono gli sviluppatori, quanto su quello giuridico, dove operano avvocati e giudici, sono del tutto imprevedibili.
Un esempio di cortocircuito: costituzione in giudizio e dimensioni massime della busta telematica
Un esempio di tale cortocircuito si ha in materia di costituzione in giudizio delle parti: atto piuttosto scontato ed usuale nella logica processuale cartacea, ma che l’avvento della telematica rende foriero di ostacoli insidiosi e conseguenti “errori fatali”
Premettiamo doverosamente che la costituzione in giudizio per via telematica, la cui possibilità viene data per acquisita (almeno a certe condizioni) da diversi osservatori e dallo stesso Ministero della Giustizia (v. il punto 1 della circolare Min. Giustizia 27/06/214 e l’all. 1 della circolare DGSIA dell’08/07/2014), in realtà è un atto che la giurisprudenza tende a dichiarare non ammissibile.
Di questo argomento si parlerà più approfonditamente nel seguito dell’articolo. Per ora, invece, si darà per un momento (e solo per un momento) per ammessa la possibilità di ricorrere legittimamente al mezzo informatico per costituirsi in giudizio, nell’intento di verificare il rapporto che viene in tal modo a determinarsi tra abitudini processuali cartacee e la nuova realtà telematica.
La regolamentazione cartacea della costituzione in giudizio
Come noto, la costituzione in giudizio delle parti è regolata dagli articoli 165 e 166 del codice di rito.
L’attore, ex art. 165 C.P.C., deve costituirsi depositando «in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l’originale della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione».
Il convenuto, ex art. 166 C.P.C., deve costituirsi depositando «in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all’articolo seguente con le copie necessarie per le altre parti, la copia della citazione notificatagli, la procura e i documenti che offre in comunicazione».
Analogie e differenze tra due mondi: deposito cartaceo v/ busta telematica
Senonché, l’atto del “depositare in cancelleria” si svolge con modalità alquanto diverse nel processo virtuale/digitale, rispetto a come gli artt. 165 e 166 C.P.C. appena citati lo cristallizzano nel tradizionale processo reale/cartaceo.
Nella realtà cartacea, infatti, un essere umano si reca fisicamente presso la cancelleria, portando con sé una certa quantità di atti e documenti, normalmente contenuti, a seconda della quantità e del relativo ingombro, all’interno di una cartellina/valigetta/borsa/trolley e simili. Una volta pervenuto in loco, deposita materialmente sul tavolo del cancelliere tali documenti; quest’ultimo, indi, ne rilascia un “depositato” con l’apposito timbro ad inchiostro.
Nel processo virtuale/digitale, invece, quegli stessi atti/documenti vanno previamente convertiti in formato elettronico (PDF), firmati digitalmente ed infine spediti a mezzo PEC al cancelliere, tramite inserimento degli stessi all’interno di un apposito contenitore digitale, detto “busta” telematica. Il sistema automatizzato e lo stesso cancelliere provvederanno, poi, a confermare la ricezione di tale busta mediante analoghi processi di “depositato” telematico.
I puristi della tecnica informatica ed i colleghi telematici scuseranno la ricostruzione approssimativa di cui sopra, che pareva, però, utile ad evidenziare come, al di là delle evidenti analogie (in entrambi i casi, a ben guardare, si depositano in cancelleria atti e documenti), tra le due metodologie appena illustrate esista una differenza di rilievo: il contenitore deputato al trasporto degli atti.
Nel processo reale/cartaceo, infatti, il contenitore deputato al trasporto dei documenti (cartellina/valigetta/borsa/trolley) può variare in dimensioni e numero a seconda delle esigenze: così, alla necessità di costituirsi in giudizio con atti e fascicoli di centinaia e centinaia di pagine potrà sopperirsi recandosi in cancelleria più volte e/o portando con sé contenitori via via più capienti a seconda delle esigenze.
Nel processo digitale, viceversa, tale contenitore è rappresentato dalla “busta” telematica, la cui capienza è limitata: il che, unitamente ad altre limitazioni tecniche del sistema, rappresenta, come si sta per vedere, un problema.
Il problema delle dimensioni limitate della busta telematica: soluzione e dubbi
La dimensione massima della «busta» telematica in questione è stabilita dall’art. 13, 8° co, D.M. 21/02/2011, n. 44, che rinvia all’art. 14, 3° co., del provv. DGSIA del 16/04/2014, il quale a sua volta si fonda sull’art. 12, 2° co., D.M. 02/11/2005: tale misura è pari, al massimo, a 30 mb.
Vero ciò, cosa succede allora quando l’attore si trovi a dover inviare, al momento della iscrizione telematica a ruolo, atti e fascicoli digitali che, sebbene adeguatamente compressi, superino tale “peso” massimo consentito?
Il problema (determinato anche dal fatto che, allo stato, se il fascicolo non è stato iscritto a ruolo non è possibile effettuare più invii telematici di materiale) è stato risolto in modo empirico dalla circolare DGSIA 08/07/2014, la quale ha ipotizzato un sistema a fasi successive, come appresso schematizzabili:
- l’avvocato effettua un primo invio di atti, procura documenti e iscrizione a ruolo, riempiendo la “busta” sino al limite di 30 mb;
- il cancelliere iscrive a ruolo;
- l’avvocato aspetta che gli venga comunicato il numero di ruolo ed indi «tempestivamente» (tale la dizione testuale utilizzata) invia il resto degli atti e documenti, seguendo alcune prescrizioni operative, tra cui è ricompresa quella di utilizzare la voce «produzione documenti richiesti».
Una soluzione, quest’ultima, che apre il varco a più di una perplessità, alla luce, ad esempio, del fatto che il codice di rito fondamentalmente “consuma” l’iscrizione a ruolo in un unico atto, in cui il deposito degli atti e l’iscrizione a ruolo avvengono pressoché contestualmente (art. 165 C.P.C.): dunque, in tale preciso momento maturano le preclusioni rispetto ad ulteriori produzioni documentali (quando previste) e sempre con riferimento a tale preciso momento è possibile calcolare la tempestività dell’iscrizione allorquando ad essa sia posto un termine (come nel procedimento ordinario di cognizione ex art. 165 C.P.C. ed in altri).
Che succede, allora, nel contesto del procedimento trifasico prospettato dalla circolare DGSIA 08/07/2014 sopra esaminata, allorquando l’atto di iscrizione a ruolo determini la preclusione di ulteriori produzioni documentali? Come farà, in tal caso, l’avvocato ad inviare atti e/o documenti successivamente all’iscrizione stessa?
E quid se il cancelliere, perché assente, oberato o semplicemente svogliato, tardasse ad iscrivere a ruolo e, magari, la relativa comunicazione di avvenuta iscrizione pervenisse all’avvocato a termine per iscrivere a ruolo già trascorso?
E che significa, ancora, l’avverbio «tempestivamente» adoperato dalla DGSIA con riferimento all’attività di inoltro che l’avvocato deve porre in essere successivamente alla ricezione della notizia dell’avvenuta iscrizione? «Tempestivamente» rispetto a cosa? E che conseguenze discendono dall’eventuale mancata “tempestività”?
La deregulation del codice di rito
Nell’attesa che le problematiche in questione vengano risolte a livello tecnico (il ministero prevede che ciò avverrà nell’autunno di quest’anno), restano frattanto i dubbi di cui sopra e chissà quanti altri.
Ce ne occuperemo quando essi si trasformeranno in altrettante “eccezioni telematiche” e nelle corrispondenti pronunce giurisprudenziali in rito.
Ciò che preme ora evidenziare, invece, è come l’intera regolamentazione delle dimensioni della busta telematica – e, dunque, delle conseguenze che tale elemento tecnico riflette sulla costituzione in giudizio delle parti ex artt. 165 e 166 C.P.C., – ha rango giuridico secondario (decreto ministeriale), quando non ulteriormente subordinato (provvedimento DGSIA), se non è, addirittura, priva di dignità normativa (circolare DGSIA e – qui non sono stati richiamati, ma esistono – i diversi protocolli formali adottati nei vari tribunali, di cui ci occuperemo nella terza parte del presente articolo di prossima pubblicazione).
Il che ci pone innegabilmente di fronte ad una sostanziale delegificazione, se non ad una vera e propria deregulation, della materia processuale civile, dinanzi alla quale sono state già poste in essere eleganti acrobazie interpretative nell’intento di rinvenire una qualche fonte giuridica primaria che ne legittimi l’impatto sul codice di rito (fonte, cerchiamo di non dimenticarlo mai, di rango indiscutibilmente primario).
Un fenomeno dalle conseguenze molto concrete, come emerge nell’affrontare la questione della legittimità o meno della costituzione telematica in giudizio, cosa che ci si accinge a fare.
E’ possibile costituirsi telematicamente?
Come si è premesso all’inizio del paragrafo precedente, l’affaire “dimensioni della busta telematica” appena esaminato postulava che le parti potessero legittimamente utilizzare il mezzo informativo per costituirsi in giudizio.
Ma, facendo logicamente un passo indietro occorre prima di tutto chiedersi: ma è davvero possibile costituirsi in giudizio utilizzando il PCT?
Stando alla giurisprudenza sino ad ora apparsa sul tema si direbbe proprio di no.
I precedenti di merito che risultano editi (ad eccezione di uno – Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014 – il quale, per sintesi e chiarezza, merita un discorso a parte, che si svolgerà nella terza parte di questo articolo in via di pubblicazione) infatti, pur con sfumature diverse tra loro hanno costantemente negato alle parti la possibilità di costituirsi in giudizio in via telematica.
Il caso deciso da Trib. Foggia, 10/04/2014: inammissibilità
Cominciamo dalla fattispecie presa in esame dal Tribunale di Foggia, che è molto semplice.
Un (malcapitato) ricorrente per ATP deposita il proprio ricorso introduttivo in via telematica ed il giudice, rammentato che
«il decreto del Ministero della Giustizia che ha autorizzato il deposito di atti telematici con valore legale da parte di soggetti esterni al Tribunale di Foggia a far data dal 15 gennaio 2014 ha espressamente individuato tra di essi i soli atti endoprocessuali – in linea con la precisione dell’art. 16 bis d.l.179/2012 che menziona atti processuali e documenti dei difensori delle parti precedentemente costituite – tra cui, per certo, non rientra l’atto di citazione o il ricorso introduttivo del giudizio»,
dichiara inammissibile il ricorso.
Il caso deciso da Trib. Torino 15/07/2014: inammissibilità
Anche il Tribunale di Torino affronta una fattispecie similare, e la risolve in modo identico a quello appena visto, ancorché tramite passaggi più scanditi e chiaramente espressi.
Ricevuto un ricorso ex art. 700 C.P.C., infatti, il tribunale premesso che
«ex art.16 bis L. 17.12.12 n. 221, a decorrere dal 30.6.14 nei procedimenti civili dinanzi al tribunale il deposito degli atti processuali con modalità telematiche riguarda solo le parti precedentemente costituite, non essendo contemplato il deposito telematico degli atti introduttivi del giudizio»;
ed aggiunto che
«il Decreto Dirigenziale del Ministero della Giustizia in data 30.4.2013 riguardante il Tribunale di Torino, emesso ai sensi dell’art. 35 D.M. 21.2.2011 n.44, prevede l’attivazione del processo civile telematico (trasmissione dei documenti informatici) solo relativamente agli atti del giudizio che presuppongono la già avvenuta costituzione delle parti, con esclusione degli atti introduttivi del giudizio civile»;
conclude che
«alcuna norma dell’ordinamento processuale consente il deposito in forma telematica dell’atto introduttivo del giudizio, con la conseguenza che il relativo ricorso dev’essere dichiarato inammissibile».
Il caso deciso da Trib. Pavia 22/07/2014: inammissibilità
Il Tribunale di Pavia, dal canto suo, viene investito della questione nell’ambito di un procedimento di cognizione e, sulla premessa che, ai sensi dell’art. 16 bis D.L. 18/10/2012, n. 179 (conv. in L. 221/2012), «il deposito con modalità telematica è previsto esclusivamente per gli atti processuali delle parti già costituite», dichiara inammissibile la costituzione telematica della parte convenuta.
Vale la pena segnalare che, nella specie, la (sfortunata) parte convenuta è stata – sì – invitata a costituirsi in giudizio nuovamente in via cartacea, ma con la contemporanea espressa declaratoria della decadenza da tutte le eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio.
Il caso deciso da Trib. Padova, 03/09/2014: inammissibilità
Anche il Tribunale di Padova, poi, accoglie un’eccezione di inammissibilità della costituzione telematica del convenuto, sulla base, tuttavia, di un percorso argomentativo più ampio e complesso di quelli (piuttosto sbrigativi) appena visti i cui passaggi essenziali sono così riassumibili:
- l‘art. 16 bis del D.L. 18/10/2012, n. 179 (conv. in L. 221/2012) – che testualmente consente il deposito telematico solo alle parti già costituite – non prevede la costituzione in giudizio per via telematica, ma neppure la proibisce espressamente;
- il deposito telematico degli atti introduttivi, dunque, in quanto modalità idonea al raggiungimento dello scopo previsto dalla legge processuale, resta una facoltà delle parti, cui esse possono tuttavia ricorrere solo in presenza di una specifica previsione autorizzativa del decreto DGSIA ex art. 35, 1° co., D.M. 21/02/2011, n. 44, in mancanza della quale tale modalità di deposito è priva di valore legale;
- dunque, mancando nella specie la predetta specifica autorizzazione DGSIA, gli atti di costituzione in giudizio avrebbero potuto legittimamente essere depositati in cancelleria su supporto cartaceo (art. 166 e 167 C.P.C.) e la costituzione telematica svolta dal convenuto è dichiarata inammissibile (con i conseguenti effetti, non esplicitati, ma ben immaginabili).
Il caso (particolare) deciso da Trib. Milano, Sez. Lav., 08/02/2013: inammissibilità
Veniamo, poi, alla Sezione Lavoro del Tribunale di Milano, dove la fattispecie della costituzione telematica in giudizio viene affrontata in una prospettiva diversa da quelle appena viste.
Non, cioè, nell’ottica della legittimità o meno del ricorso a tale tipo di costituzione secondo la normativa tecnica vigente, come nelle decisioni sino ad ora esaminate, bensì in quella della compatibilità con il principio del contraddittorio dei limiti posti all’attività delle parti a causa di carenze tecniche del sistema informatico, nonché nell’ottica di individuare il soggetto su cui deve ricadere il rischio dell’esistenza di tali limiti.
In un procedimento giuslavoristico la parte ricorrente si costituisce telematicamente e quella resistente, comparsa in prima udienza, eccepisce l’inammissibilità della costituzione telematica dell’avversario per violazione del diritto alla difesa.
Il resistente, infatti, assume di non aver potuto accedere telematicamente al fascicolo e, dunque, di non aver potuto prendere visione di atti e documenti nei termini previsti (in effetti, la possibilità di accedere al fascicolo per le parti non costituite è una conquista tecnica recente, risalente, se non si va errati, al rilascio dell’aggiornamento specifiche tecniche deposito atti del 25/06/2014; sul punto si veda pure il punto 11 della circolare Min. Giustizia 27/06/214).
Il giudice, richiamato l’art. 76 disp. att. C.P.C., secondo cui «le parti o i loro difensori regolarmente costituiti possono esaminare gli atti e i documenti inseriti nel fascicolo d’ufficio e in quelli delle altre parti e farsene rilasciare copia pur senza prendere alcuna posizione sulla possibilità o meno per le parti di ricorrere alla costituzione telematica», dichiara nulla «la costituzione del ricorrente e di conseguenza l’improcedibilità dell’azione» per «violazione del principio del contraddittorio addebitabile ad un vizio del sistema informatico».
La ratio (peraltro discutibile) della decisione del giudice milanese, dunque, sembra poter essere così riassunta:
- i limiti posti da eventuali carenze del sistema informatico all’attività difensiva delle parti non sono compatibili con il principio del contraddittorio;
- il rischio dell’esistenza di tali rischi ricade sulla parte che vi ha dato causa avvalendosi del sistema stesso (adde: potendo non farlo, ovverosia in regime di non obbligatorietà del ricorso al PCT, come attualmente accade nel caso della iscrizione a ruolo).
Il caso deciso da Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014: rinvio
Mentre si stava concludendo la stesura della terza parte di questo articolo (pubblicata il 17/10/2014), si è rinvenuto il precedente di Trib. Vercelli, Sez. Civ., ordinanza 04/08/2014, che opera un completo ribaltamento dell’orientamento sopra esaminato e si segnala, altresì, per chiarezza, sinteticità e solidità di visione giuridica.
In ordine a tale precedente si rinvia a quanto si dirà nel paragrafo conclusivo della predetta terza parte.
Cinque su sei. Non c’è male: qualche prima considerazione
Le pronunce appena esaminate (tranne l’ultima) sono state commentate in modo alquanto severo da diverse voci, ma non se ne può certo prescindere se non si vuole cadere in una trappola: esaminare il dato reale (che nel nostro caso è la norma vivente nell’interpretazione giurisprudenziale data) come si vorrebbe che fosse piuttosto che com’è .
Pur condividendo, dunque, l’ansia di favorire il più possibile l’utilizzo del mezzo informatico liberando la strada da ostacoli di natura tecnico/formale, l’atteggiamento non certo favorevole alla costituzione telematica in giudizio che si va manifestando in giurisprudenza impone, almeno a parere di chi scrive, di ricorrere ad un approccio più critico e prudente alla questione.
Un primo passo in tale direzione passa attraverso la constatazione che, quando si parla di processo civile telematico, le considerazioni di tipo giuridico si scontrano inevitabilmente, ed in qualche modo cedono il passo, ad esigenze di natura puramente tecnica e che sono queste ultime, dunque, a volte a prevalere nei fatti.
Ciò, in assenza di una piena e matura consapevolezza degli operatori (ed in primo luogo dei giudici) in ordine ai nuovi problemi che l’avvento del processo telematico pone loro, rischia di portare ad un’applicazione formale e pedissequa di regole e regolette di natura meramente tecnica, con effetti potenzialmente disastrosi sull’attività giuridica (nullità, inammissibilità, improcedibilità, decadenze etc.) delle parti.
E poiché la regola tecnica è per sua natura dettagliata e pedante (e, proprio per tale natura, è affidata alla normazione di rango secondario), il tutto rischia di far regredire il sistema al tempo delle legis actiones, ove i processi si perdevano per la sola ragione di non aver utilizzato l’esatta terminologia prescritta e che – scomodando Gaio – «a poco a poco vennero in odio, ed infatti per l’eccessiva pignoleria degli antichi, i quali fondarono il diritto, la cosa giunse al punto che chi avesse commesso un errore minimo perdeva la lite».
Non è certo questo ciò che l’avvento del PCT si proponeva di realizzare. Anzi: è esattamente il contrario di quanto il legislatore aveva in mente nell’introdurre la metodologia telematica.
Vero ciò, dunque, gli atteggiamenti esasperatamente formalistici che si sono sopra visti, oltre a porsi in chiaro contrasto con alcuni principi processuali (primo tra tutti quello del raggiungimento dello scopo) e, almeno in alcuni casi, anche con considerazioni di elementare buon senso, contrastano la stessa ratio dell’intero sistema: essi, dunque, sono ragionevolmente destinati ad essere superati con il progredire della consapevolezza giuridica in ordine ai problemi posti dalle nuove “eccezioni telematiche” di cui stiamo trattando.
Ma questa è una previsione (o, almeno, un auspicio) e, come tale, vale solo de futuro. Che fare, invece, qui e ora?
L’avviso di chi scrive è che la situazione data suggerisca di “andare sul sicuro”:
- approfondendo attentamente le fonti del PCT (non solo quelle settoriali, che non sono poche, ma anche quelle deputate a risolvere i conflitti tra norme di rango diverso, prima tra tutte, l’ art. 17 della L. 23 agosto 1988, n. 400);
- evitando, comunque, di ricorrere “spensieratamente” alle facoltà processuali informatiche e, nel dubbio (come nel caso della costituzione telematica, ma anche in altri sui quali avremo occasione di intervenire in futuro) se possibile evitare di farvi ricorso. E’ bene ricordare che la tecnica potrà anche essere invisa ai più, ma possiede una caratteristica preziosa: evolve immancabilmente. Dunque, ciò che oggi è dubbio (leggi, ad es.: limite massimo di capienza della busta telematica pari a 30 mb), domani, grazie alla patch che sicuramente arriverà, sarà perfettamente possibile.
E, posto che quest’ultimo aspetto è frutto del livello di precauzione/prudenza che alberga nell’animo di ciascuno di noi e, dunque, è rimesso alla discrezionalità di ciascuno di noi, nella seconda parte dell’articolo (di prossima pubblicazione) ci concentreremo nell’analizzare, per quanto possibile, le fonti rilevanti in materia di costituzione telematica e cercando di trarne alcune possibili indicazioni operative.
Avviso “Replay”
Questo articolo è stato pubblicato in data 12/09/2014 ed è stato uno dei più letti del nostro blog. Non costituisce un aggiornamento e viene nuovamente pubblicato nella sua stesura originaria per la serie “Replay” di agosto 2015.