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CASS. CIV., SEZ. III, 09/04/2021, N. 9475
«La stipula del contratto di locazione abitativa in forma verbale non seguita da registrazione ne determina la nullità relativa azionabile dal conduttore, ma non dal locatore, né rilevabile d’ufficio dal giudice.
Con tale premessa, dunque, la nullità assoluta del contratto di locazione abitativa vede ridotto il proprio ambito di applicazione all’eventualità, alquanto remota nella pratica, del contratto non scritto ma registrato, in cui peraltro manca del tutto quella finalità di contrasto all’evasione fiscale che, secondo la sentenza delle Sezioni Unite, costituisce la ratio dell’assolutezza» (Massima non ufficiale)
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di [Omissis], pronunciando in controversia locatizia instaurata, con atto notificato il 16/12/2015, da [Omissis] (locatore) nei confronti di [Omissis] (conduttrice), con atto di intimazione di licenza per finita locazione di immobile adibito ad uso abitativo e contestuale citazione per la convalida, ha dichiarato la nullità del contratto stipulato tra le parti, nel 2012, per facta concludentia, conseguentemente condannando la [Omissis] al rilascio dell’immobile.
A tale declaratoria è pervenuta in applicazione della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346 (a mente del quale “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”), avendo ritenuto invece inapplicabile la norma di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 6, come sostituita dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 59, evocata dalla [Omissis] (norma che attribuisce al conduttore la facoltà di richiedere che la locazione “venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dall’art. 2, comma 1 ovvero dall’art. 2, comma 3” della L. n. 431 del 1998, anche “nei casi in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di cui al comma 1”): inapplicabilità predicata per ragioni di ordine temporale, in base al comma 7 medesima disposizione, secondo cui “le disposizioni di cui al comma 6 devono ritenersi applicabili a tutte le ipotesi ivi previste insorte sin dall’entrata in vigore della presente legge”, questa essendo stata identificata dalla corte di merito nella legge modificatrice (entrata in vigore il 1 gennaio 2016) e non in quella modificata (L. n. 431 del 1998, entrata in vigore il 30 dicembre 1998).
2. Avverso tale decisione la soccombente propone ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resiste l’intimato depositando controricorso.
Il controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con unico motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 13, comma 7, come sostituito dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 59.
Rileva che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello e secondo uniforme interpretazione della dottrina, tale ultima norma va interpretata nel senso che la nuova disciplina, più favorevole al conduttore, introdotta con la Legge Finanziaria 2016, e segnatamente la previsione già sopra ricordata di cui al nuovo comma 6 della L. n. 431 del 1998, art. 13 deve trovare applicazione per tutti i contratti insorti sin dall’entrata in vigore di quest’ultima legge.
Sostiene quindi che, se la Corte d’appello avesse applicato correttamente la L. n. 431 del 1998, art. 13 così come novellato, avrebbe dovuto concedere ad essa odierna ricorrente di usufruire della c.d. conversione giudiziale della locazione non registrata, al canone pacificamente accertato di Euro 80 mensili, e per una durata di anni 4+4 a partire dal luglio 2012, in mancanza di motivata disdetta, con il conseguente rigetto della domanda di rilascio per finita locazione.
2. La censura è fondata, nei termini appresso precisati.
2.1. La sentenza impugnata è viziata da error iuris là dove ha ritenuto inapplicabile alla fattispecie, ratione temporis, la L. n. 431 del 1998, art. 13 nel testo novellato dalla L. n. 208 del 2015 (c.d. legge Finanziaria 2016).
Diversamente da quanto opinato dal giudice a quo, il riferimento testuale, nella L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 7 come sostituito dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 59, alla “entrata in vigore della presente legge” (la cui entrata in vigore va considerata quale discrimine temporale tra i contratti sorti anteriormente e quelli invece successivi, questi ultimi soltanto soggetti alla disciplina di cui al comma 6) deve intendersi come rimandante alla data di entrata in vigore della legge modificata (L. n. 431 del 1998) e non a quella modificante (L. n. 208 del 2015).
Militano in tal senso convergenti argomenti di carattere testuale e logico.
2.1.1. Quanto al primo (argomento testuale) occorre rilevare che: a) la novella è stata introdotta con la tecnica della sostituzione della intera precedente disposizione (l’art. 13) della legge novellata, di modo che il nuovo testo di questa diviene parte del preesistente corpo normativo; b) la norma di diritto intertemporale è stata inserita nel nuovo testo dell’art. 13 e non in altra disposizione della legge di modifica, non destinata ad entrare nel testo normativo modificato.
Sul piano strettamente semantico, dunque, non può dubitarsi che l’aggettivo “presente” rimandi al corpo normativo all’interno del quale è inserita la frase che lo contiene, a nulla rilevando il fatto che esso vi sia stato solo successivamente inserito.
2.1.2. Sul piano logico (secondo argomento) pare agevole osservare che una tale disposizione rimarrebbe priva di senso, in quanto inutile, se riferita alla legge di modifica (anziché a quella modificata), discendendo l’effetto che ad essa si intende attribuire, nella qui respinta prospettiva esegetica, dalla regola generale di irretroattività della legge (art. 11 preleggi).
É del resto significativo, in tal senso, che la disposizione di che trattasi indica (quali disposizioni destinate ad applicarsi “a tutte le ipotesi (.) insorte sin dall’entrata in vigore della presente legge”) solo quelle di cui all’art. 13, comma 6 non anche quelle di cui ai precedenti commi. Ma tale selezione rimarrebbe priva di effetto, ossia non si avrebbe, se si dovesse ritenere che il riferimento resti comunque all’entrata in vigore della legge modificante, essendo ovvio che, anche le altre disposizioni innovative, in mancanza di diversa disposizione, troveranno applicazione, per il richiamato principio, solo per i contratti sorti successivamente alla legge di modifica.
2.2. Ciò precisato, la conseguenza che deriva dalla soggezione della fattispecie alla norma in questione (ripetesi, la L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 6, come sostituito dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 59), ancorché introdotta in data successiva alla instaurazione del giudizio, è che la stipula del contratto in forma verbale e la connessa mancata registrazione sono da ritenersi causa di nullità (solo) relativa del contratto, come tale dunque azionabile solo dal conduttore, non anche dal locatore, né rilevabile d’ufficio dal giudice, dovendosi pertanto considerarsi errata, in diritto, la decisione di primo grado, confermata in appello, che tale nullità ha rilevato d’ufficio.
Valgano in proposito le seguenti considerazioni.
La modifica introdotta dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 59, interviene a poco più di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 18214 del 17/09/2015 che aveva affermato, radicalmente innovando il precedente orientamento, il carattere assoluto della nullità per difetto di forma prevista dalla legge speciale in materia di locazioni di immobili urbani ad uso abitativo (L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1), con la sola eccezione dell’ipotesi prevista dal successivo art. 13, comma 5, della stessa legge (nel testo anteriore alla novella del 2015) in cui la forma verbale fosse stata abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso il contratto era da ritenersi affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore.
Questo, in sintesi, il percorso argomentativo alla base di quella decisione.
Secondo le Sezioni Unite, nella materia de qua, la prescrizione della forma scritta è volta “essenzialmente a tutelare l’interesse alla trasparenza del mercato delle locazioni in funzione dell’esigenza di un più penetrante controllo fiscale, esigenza avvertita in modo significativo in un settore dove, (.) a causa della precedente disciplina dirigistica, il fenomeno dell’evasione era divenuto inarginabile”.
Tale finalità osta ad un’interpretazione della comminatoria in termini di nullità relativa, volta alla protezione di una parte contrattuale nei confronti dell’altra, ma conduce piuttosto alla sua qualificazione in termini di nullità assoluta, tesa alla protezione di interessi pubblici, di rilievo anche costituzionale, che devono imporsi nei confronti di entrambe le parti.
Le Sezioni Unite hanno però individuato un’eccezione a tale regola per il caso in cui la mancanza della forma scritta fosse stata “pretesa” dal locatore.
In tale eventualità hanno ritenuto che la configurazione in termini di nullità relativa e protettiva fosse desumibile dalla peculiare azione di riconduzione che il legislatore aveva messo a disposizione del conduttore, con la previsione di cui all’art. 13, comma 5 (ovviamente, nel suo testo originario).
Quest’azione, infatti, “in deroga ai principi generali della insanabilità del contratto nullo”, consente al conduttore “non solo di fare salvi taluni effetti del rapporto locatizio prodottisi in passato, ma anche di fare in modo che il contratto stesso continui a produrre effetti in futuro, regolando, con le necessarie integrazioni, il rapporto fra le parti”.
Pertanto, poiché in questa particolare ipotesi l’inquilino, e soltanto lui, può sanare la nullità con l’azione di riconduzione, la sentenza ne deduce che in tal caso si abbia a che fare con un’invalidità relativa, finalizzata appunto alla protezione degli interessi specifici del contraente ritenuto più debole.
Questo essendo lo stato dell’arte al momento dell’entrata in vigore della novella, non può non desumersi che l’intentio legis sottostante alla riformulazione della c.d. “azione di riconduzione”, nei termini di cui all’art. 13, nuovo comma 6 e, comunque, l’effetto che obiettivamente ne deriva, sia quello di estendere la facoltà attribuita al conduttore di richiedere la “riconduzione del contratto a condizioni conformi” dalla ristretta ed eccezionale ipotesi in cui fosse stato il locatore a pretendere “l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto” a quella, più generale, in cui, “il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di cui al comma 1 presente articolo”: previsione evidentemente idonea ad abbracciare sia l’ipotesi in cui il contratto sia stato concluso verbalmente (e indipendentemente dal fatto che ciò sia dipeso da una imposizione del locatore) e non sia stato poi registrato, sia quella in cui il contratto, pur stipulato per iscritto, non sia stato poi registrato.
Ne discende che, se è vero che – come affermato nel menzionato arresto delle Sezioni Unite – il carattere protettivo della nullità si ricava dall’esperibilità dell’azione di riconduzione, non può non farsene coerentemente discendere che la legittimazione sia ormai divenuta relativa in tutte le ipotesi in cui detta azione è ammessa in base al testo modificato, cioè in tutti i casi di mancata registrazione; mentre la nullità assoluta vedrebbe ridotto il proprio ambito di applicazione all’eventualità, alquanto remota nella pratica, del contratto non scritto ma registrato, in cui peraltro manca del tutto quella finalità di contrasto all’evasione fiscale che, secondo la sentenza delle Sezioni Unite, costituirsce la ratio dell’assolutezza.
Il carattere relativo della nullità, per le ragioni esposte, è dunque predicabile nella fattispecie in esame, nella quale costituisce dato fattuale pacificamente acquisito, che si tratti di contratto verbale non registrato.
Tale carattere precludeva il rilievo officioso della nullità.
3. In ragione delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio della causa al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza; rinvia alla Corte di appello di [Omissis] in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.