Volontaria giurisdizione e ricorribilità per cassazione: l’esonero dell’esecutore testamentario Cass. Civ., SS.UU., 16/04/2021, n. 10107

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CASS. CIV., SS.UU., 16/04/2021, N. 10107

«In tema di esonero dell’esecutore testamentario dal suo ufficio, in considerazione dell’espresso richiamo all’art. 710 c.c., contenuto nell’art. 750 c.p.c., u.c., il provvedimento del presidente del tribunale è reclamabile davanti al presidente della corte d’appello e la decisione assunta da quest’ultimo non è impugnabile in cassazione con ricorso straordinario ex art. 111 Cost» (Massima non ufficiale)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

[Omissis], cittadino [Omissis], da anni residente in Italia, è deceduto in [Omissis] e con testamento pubblico raccolto dal notaio [Omissis] (Olanda), redatto in lingua olandese, istituiva eredi universali le figlie [Omissis] e [Omissis], entrambe residenti in Italia, nominando esecutore testamentario il Dott. [Omissis], che era stato il suo commercialista e consulente fiscale. Il testamento all’art. 2 prevede espressamente che la successione sia regolata dal diritto ereditario dei Paesi Bassi, ed oltre all’istituzione come eredi delle due figlie, espressamente risulta la diseredazione degli altri figli non riportati al punto 7.1 del testamento, disponendo che, ove la successione in favore delle figlie non sortisse effetto, la stessa è devoluta “con rappresentazione nella successione” alle sorelle, nominativamente indicate nello stesso art. 7.

Con ricorso indirizzato al Tribunale di [Omissis], e depositato in data 29/06/2018, le eredi testamentarie hanno chiesto la sospensione e la revoca dell’incarico di esecutore testamentario del [Omissis], denunciando gravi scorrettezze ed irregolarità nell’adempimento dell’incarico e nella gestione della massa ereditaria, anche avuto riguardo alle condizioni economiche delle ricorrenti, studentesse in giovane età e prive di autonome risorse economiche.

Si è costituito l’esecutore testamentario che ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano a favore di quello olandese a norma dell’art. 6 del Reg. UE n. 650/2012 in materia di successioni transnazionali, contestando nel merito la fondatezza delle accuse rivoltegli.

Il Tribunale, con decreto del 3 dicembre 2018, ha dichiarato la propria incompetenza ai sensi della previsione invocata dal resistente, ritenendo che il giudice olandese fosse più adatto alla decisione della causa, giudice da individuarsi territorialmente sulla base della legge olandese prescelta dal testatore.

In particolare, deponevano a favore di tale scelta la redazione del testamento in Olanda, l’accettazione dell’eredità perfezionatasi in Olanda, la confezione del testamento in lingua olandese, la collocazione di parte dei beni relitti, oltre che in Italia, in Olanda, e tra questi quelli di maggior valore, le consistenti pretese erariali dell’autorità fiscale olandese, la redazione in Olanda del certificato successorio Europeo, la particolare complessità oggettiva dell’eredità.

Avverso tale decreto le ricorrenti hanno proposto reclamo insistendo per l’accoglimento della originaria domanda.

Nella resistenza dell’esecutore, la Corte d’Appello di [Omissis], in persona del Presidente, con Decreto 29 luglio 2019, n. 1356, ha rigettato il reclamo, condannando le reclamanti al pagamento delle spese del procedimento di reclamo.

Ad avviso della Corte d’Appello la questione prioritaria da affrontare era quella della competenza a decidere del giudice italiano o olandese, apparendo condivisibile la soluzione già assunta dal Tribunale in favore del giudice straniero.

La scelta fatta dal testatore di redigere il testamento in lingua olandese assoggettando la successione alla legge di tale paese, inducevano a radicare, nel rispetto della volontà testamentaria, la controversia in Olanda, ricorrendo le condizioni per derogare al criterio generale di determinazione della competenza legato alla residenza del de cuius.

Non necessariamente la scelta della legge applicabile alla successione coinvolge anche quella del foro, ma la necessità per il giudice italiano, ove chiamato a decidere la causa, di dover applicare un diritto straniero, creerebbe notevoli problemi di gestione del contenzioso.

Tale circostanza emergeva dalle stesse difese delle reclamanti che evidenziavano la loro stessa mancata conoscenza della lingua paterna e le difficoltà di rapporti con l’esecutore testamentario, difficoltà che sarebbero esasperate ove la cognizione restasse in capo al giudice italiano.

Questi, oltre ad avere poca dimestichezza con la lingua ed il diritto stranieri, avrebbe anche la necessità di far ricorso a traduttori per rendere comprensibile una notevole mole di documenti redatti in olandese, con il rischio di fraintendimenti e difettose interpretazioni delle sfumature linguistiche e tecniche degli atti.

Il Regolamento in tema di successione ha tenuto conto di tale eventualità, consentendo al giudice dello stato di residenza, per ragioni di opportunità, di declinare la propria competenza, essendo l’individuazione come giudice competente di quello della legge scelta per la disciplina della successione, un criterio di carattere non eccezionale da applicare in modo restrittivo, bensì uno strumento volto ad assicurare la convergenza tra la legge sostanziale applicabile ed il foro dinanzi al quale radicare la controversia (come appunto confermato dal 27 considerando del regolamento).

La coerenza che deve tendenzialmente esistere tra forum e ius può avere delle controindicazioni, ad esempio nella ubicazione dei beni caduti in successione, ma nella specie questa non ricorre, in quanto, a prescindere dal valore intrinseco dei beni, il patrimonio in Italia è costituito essenzialmente da immobili, facilmente gestibili ed alienabili tramite un emissario qualificato in loco, mentre in Olanda ha sede una società di capitali della quale il de cuius era unico socio, che richiede ben maggiori attenzioni.

Né può inficiare tale valutazione la deduzione secondo cui tale società sarebbe priva di valore, posto che diviene ancor più opportuno che l’amministrazione ovvero la liquidazione avvengano a cura di un professionista locale, nel caso di specie scelto dal testatore.

Quanto alle incombenze tributarie, le stesse si presentano in entrambi gli stati, sicché non può costituire un criterio orientativo della scelta il fatto che i beni in Italia siano sottoposti a tassazione, in quanto chiunque sarà chiamato a gestire il patrimonio dovrà inevitabilmente confrontarsi con le due legislazioni tributarie.

É pur vero che per le ricorrenti sarebbe più vantaggioso relazionarsi con un giudice italiano, ma avuto riguardo all’orizzonte soggettivo della successione, l’intervenuta diseredazione di due delle figlie naturali del testatore, entrambe residenti e radicate in Olanda, pone la necessità di dover tenere conto delle aspettative successorie delle stesse, vantando in base alla legge olandese, un diritto di credito privilegiato nei confronti dell’asse.

Al rigetto del reclamo ha quindi fatto seguire le regolazione delle spese di lite, in base al principio della soccombenza.

Per la cassazione del decreto della Corte d’Appello di [Omissis] hanno proposto ricorso le originarie parti istanti sulla base di un unico articolato motivo.

[Omissis] ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memoria.

Il ricorso è stato quindi esaminato in Camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art.

23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo di ricorso si denuncia l’erronea statuizione della Corte d’Appello quanto al difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore dell’autorità giudiziaria dei Paesi Bassi, con la violazione degli artt. 4 e 6 del Reg. UE n. 650/2012.

Si evidenzia che il decreto impugnato ha fatto applicazione della previsione di cui all’art. 6, lett. a) del citato Regolamento che, con una deroga alla previsione di cui all’art. 4, secondo cui “Sono competenti a decidere sull’intera, successione gli organi giurisdizionali dello Stato membro in cui il defunto aveva la residenza abituale al momento della morte”, prevede che “Quando la legge scelta dal defunte(per regolare la sua successione conformemente all’art. 22 è la Legge di uno Stato membro, l’organo giurisdizionale adito ai sensi dell’art. 4 o dell’art. 10:

a) può, su richiesta di una delle parti del procedimento, dichiarare la propria incompetenza se ritiene che gli organi giurisdizionali dello Stato membro della legge scelta siano più adatti a decidere sulla successione tenuto conto delle circostanze pratiche di quest’ultima, quali la residenza abituale delle parti e il luogo in cui sono situati i beni; ..”.

Con tale disposizione il legislatore comunitario ha cristallizzato un’ipotesi normativa dell’istituto del “forum non conveniens” di derivazione anglosassone, che permette al giudice di declinare la propria giurisdizione ovvero di sospendere il procedimento affinché possa essere deciso da altro giudice ritenuto più idoneo a decidere.

Trattasi di un istituto che nell’applicazione giurisprudenziale, nel contesto giuridico in cui è sorto, ha conosciuto l’individuazione di una serie di criteri limitativi della sua applicazione quali elaborati nei paesi di common law, che devono rispecchiare la valutazione comparativa tra le posizioni e gli interessi delle parti.

Si aggiunge che l’istituto è stato a lungo ritenuto incompatibile con i principi del diritto comunitario, come evidenziato dall’arresto della Corte di Giustizia nella sentenza C-281-02, che l’ha relegato nell’ambito del diritto eccezionale.

É pur vero che una previsione di forum non conveniens è stata introdotta anche nel Reg. CE n. 2201/2003 all’art. 15, in materia matrimoniale e responsabilità genitoriale, laddove è previsto lo spostamento della competenza in via eccezionale ad un’autorità giurisdizionale “più adatta” a trattare il caso, ma sempre con la volontà di relegarla al rango di norma eccezionale.

Anche la relazione esplicativa al Reg. n. 650/2012 consente di affermare che la previsione di cui all’art. 6 lett. a) vada limitata a casi eccezionali (come ad esempio nell’ipotesi in cui il de cuius si fosse trasferito nel paese in cui aveva preso la residenza solo da poco tempo, mantenendo tuttavia forti legami con il proprio paese di origine).

E ciò è confermato dal rapporto di regola ed eccezione che si pone tra l’art. 4 e l’art. 6.

Rilevano le ricorrenti che gli elementi valorizzati dalla Corte d’Appello per giustificare la decisione di spogliarsi della controversia sono privi di significatività, e nella sostanza travisano la ratio sottesa alla norma, essendo stata supportata la decisione con una motivazione del tutto apparente, risolvendosi in un vero e proprio diniego di giustizia.

Anzi gli stessi elementi esaminati (natura ed ubicazione dei beni, incombenze tributarie, residenza delle eredi testamentarie) confortano la correttezza del radicamento della giurisdizione in Italia.

Inoltre, la decisione ha omesso di considerare le precarie condizioni economiche delle ricorrenti, non potendosi attribuire rilievo alla circostanza che la dichiarazione di capienza resa dall’esecutore non sia stata contestata dinanzi al giudice olandese.

In via subordinata si chiede di effettuare il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di Giustizia affinché quest’ultima possa individuare la corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 6 lett. a) del Regolamento n. 650/2012.

In via ancora più subordinata si chiede che la Corte di Cassazione enunci il principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363 c.p.c.

2. Il ricorso è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che (cfr. da ultimo Cass. n. 24218/2018) in tema di esonero dell’esecutore testamentario dal suo ufficio, in considerazione dell’espresso richiamo all’art. 710 c.c., contenuto nell’art. 750 c.p.c., u.c., il provvedimento del presidente del tribunale è reclamabile davanti al presidente della corte d’appello e la decisione assunta da quest’ultimo non è impugnabile in cassazione con ricorso straordinario ex art. 111 Cost.

Tale conclusione, cui ha aderito anche la prevalente dottrina, è, come detto, consolidata presso questa Corte, avendo in termini identici deciso, tra le molte, Cass. n. 1764/2008; Cass. n. 8259/2016; Cass. n. 5930/2016; Cass. n. 26473/20131 che chiarisce che il provvedimento reso è però impugnabile con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., ma per il solo capo relativo alle spese di lite.

Nella motivazione di Cass. n. 8259/2016 e di Cass. n. 18468/2014 viene altresì espressamente ribadito che alcuna incidenza può avere a favore della ricorribilità del provvedimento la denuncia di un vizio del procedimento che ne possa determinare in via riflessa la dedotta invalidità, posto che, in tanto può essere fatta valere innanzi al giudice di legittimità l’invalidità derivata del provvedimento conclusivo di un procedimento, in quanto tale atto sia ex se ricorribile per cassazione ai sensi dell’art.

111 Cost.

2.1 Trattasi di regola che va ribadita anche nel caso in cui il vizio processuale denunciato attenga alla giurisdizione o alla competenza, ritenendo la Corte di dover dare continuità al principio affermato da Cass. S.U. n. 11026/2003 nonché da Cass. S.U. n. 3073/2003, secondo cui quando il provvedimento impugnato sia privo dei caratteri della decisorietà e definitività in senso sostanziale, il ricorso straordinario per cassazione di cui all’art. 111 Cost., comma 7, non è ammissibile neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione, ed in particolare del diritto al riesame da parte di un giudice diverso, in quanto la pronunzia sull’osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e, pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quell’atto sia privo, stante la natura strumentale della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione sul merito.

La motivazione di Cass. S.U. n. 11026/2003 fa poi espresso riferimento tra i vizi processuali, che un diverso orientamento riteneva invece in grado di essere dedotti con ricorso straordinario, anche a quelli attinenti alla competenza o alla giurisdizione (si veda tra le varie, Cass. n. 3079/1992; Cass. n. 1493/1999, o ancora Cass. n. 6233/1985 che sostiene che la decisione resa su tali questioni faccia assumere al provvedimento di volontaria giurisdizione carattere di sentenza autonomamente ricorribile), ritenendo di dover però dare prevalenza all’orientamento restrittivo, che correla all’assenza dei caratteri della decisorietà in senso sostanziale del provvedimento l’inammissibilità del ricorso straordinario per cassazione, e ciò in quanto la pronuncia sull’inosservanza di norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e, pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, se di tale carattere l’atto giurisdizionale sia privo, stante la strumentalità della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel merito.

2.2 La stessa difesa delle ricorrenti appare consapevole della non ricorribilità in cassazione dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, ma le argomentazioni spese in ricorso per sollecitare un ripensamento di tale orientamento non appaiono convincenti.

Nella fattispecie, manca per l’appunto il carattere della decisorietà, atteso che, oltre a restare impregiudicata la possibilità per le ricorrenti di poter reiterare la domanda di esonero dell’esecutore testamentario, anche alla luce di eventuali circostanze sopravvenute o dell’indicazione di fatti pregressi non allegati in questa sede, che possano se del caso incidere anche sulla valutazione in merito all’individuazione dell’autorità giurisdizionale ritenuta maggiormente idonea a trattare la controversia, non è precluso alle stesse ricorrenti il far valere in sede di cognizione ordinaria il pregiudizio patrimoniale derivante dalla asserita condotta negligente o scorretta dell’esecutore testamentario, in violazione dei doveri di mandatario ovvero di titolare di un ufficio di diritto privato (così Cass. n. 6143/1996), e ciò senza che la decisione emessa in punto di giurisdizione dal giudice della volontaria giurisdizione possa assumere carattere vincolante.

Non può poi richiamarsi a sostegno dell’ammissibilità del ricorso quanto affermato da Cass. S.U. n. 11849/2018, in relazione al decreto con cui la Corte di appello rigetta o dichiara inammissibile la domanda di separazione dei beni mobili del defunto da quelli dell’erede, ex art. 517 c.c., essendosi in quella occasione evidenziato che, pur essendo un provvedimento di volontaria giurisdizione, l’impugnabilità con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, si giustificava in quanto il provvedimento era idoneo, una volta decorso il termine di decadenza di cui all’art. 516 c.c., ad incidere definitivamente in maniera negativa sul diritto del creditore del “de cuius” a costituirsi un titolo di preferenza, sui beni oggetto della garanzia patrimoniale su cui aveva fatto affidamento, rispetto ai creditori particolari dell’erede.

Nella fattispecie, a differenza della vicenda esaminata nel precedente ora richiamato, manca il carattere della decisorietà, anche in ragione dell’assenza di termini perentori o decadenziali cui si ricollega l’iniziativa dell’erede volta a conseguire l’esonero dell’esecutore, ed è in relazione alla decadenza – che è correlata al decorso del termine di cui all’art. 516 c.c., che non può essere impedita, pur a fronte della riproposizione della domanda di separazione dinanzi al Giudice straniero in carenza di un meccanismo della translatio iudicii fra giudici di diversi paesi, e che implica quindi la sostanziale negazione del diritto alla separazione – che appaiono spese le considerazioni circa i rapporti tra l’autorità giudiziaria italiana e quella straniera.

Il precedente invocato dalle ricorrenti, lungi dall’ampliare in maniera indiscriminata l’ammissibilità del ricorso straordinario, conferma invece che i casi di ammissibilità si pongono come eccezioni rispetto alla regola generale, e ciò solo quando, in ragione della peculiarità della disciplina del singolo procedimento, il rigetto della domanda di volontaria giurisdizione possa riverberarsi sulla stessa conservazione del diritto.

Nella fattispecie, anche a voler sorvolare circa il fatto che, come si ricava dalla lettura dell’art. 7 del Reg. n. 650/2012 (“Gli organi giurisdizionali dello Stato membro la cui legge sia stata scelta dal defunto conformemente all’art. 22, sono competenti a decidere sulla successione: a) se un organo giurisdizionale preventivamente adito ha dichiarato la propria incompetenza nella stessa causa ai sensi dell’art. 6; ..”) e come opinato dalla più attenta dottrina, il regolamento, pur non avendo previsto un meccanismo di translatio iudicii tra giudici di diversi Stati membri, tuttavia assicura la vincolatività della designazione quale giudice competente effettuata dal giudice originariamente adito (il che eliderebbe il paventato pericolo di trovarsi di fronte ad un diniego di giustizia da parte del giudice straniero, senza avere rimedi esperibili), non sono previsti termini decadenziali per la reiterazione della domanda di esonero dell’esecutore, né per un’eventuale azione a cognizione piena a tutela dei diritti delle eredi eventualmente pregiudicati dalla condotta infedele dell’esecutore.

3. Vanno poi disattese sia la richiesta di rinvio interpretativo pregiudiziale alla Corte di Giustizia sia quella di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363 c.p.c.

Quanto a quest’ultima rileva la circostanza che l’enunciazione del principio di diritto, in caso di inammissibilità del ricorso, nel caso in cui la Corte ritenga che la questione sia di particolare importanza, ha come implicito presupposto che sussista un’incertezza interpretativa o una novità della questione che impone un intervento chiarificatore da parte della Corte, onde orientare in futuro chi avrà a confrontarsi con la norma.

Viene quindi a manifestarsi un’attività di interpretazione della norma che, in caso di fonti di derivazione comunitaria è però riservata alla Corte di Giustizia, giusta la previsione di all’art. 267 TFUE. Se si ritenga che la questione giustifichi l’enunciazione del principio di diritto sembra evidente alla Corte che si è al cospetto di una norma la cui interpretazione non sia ancora consolidata, anche in ragione del breve lasso di tempo dalla sua entrata in vigore, di modo che l’affermazione del principio avverrebbe allorquando non esiste ancora una consolidata interpretazione, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte ovvero un’evidenza dell’interpretazione, (cd. “acte claire”), venendosi la Corte di Cassazione a sostituire nella sua attività interpretativa al giudice cui l’impianto comunitario ha inteso devolvere tale compito.

Quanto invece alla richiesta di procedere al rinvio pregiudiziale, in presenza di una conclamata declaratoria di inammissibilità del ricorso, si paleserebbe con evidenza il difetto di rilevanza della questione stessa.

Ed, infatti, come di recente ribadito dalla Corte di Giustizia nella causa C-621/18 del 10 dicembre 2018, la Corte può rifiutarsi di statuire su domande in via pregiudiziale se è manifesto che l’interpretazione richiesta non ha rapporto con l’effettività o l’oggetto del giudizio principale.

Ancorché secondo una giurisprudenza consolidata. le domande in via pregiudiziale godono di una presunzione di rilevanza, il rinvio pregiudiziale preceduto dalla evidenziazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso in questa sede proposto equivarrebbe ad una esplicitazione da parte del giudice a quo dell’assenza della rilevanza, che legittimerebbe quindi la Corte di Giustizia a disattendere la richiesta stessa (in tal senso si rileva che, secondo una giurisprudenza costante, la ratio del rinvio pregiudiziale non consiste nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, ma risponde all’esigenza di dirimere concretamente una controversia sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C-72/15, punto 194 e giurisprudenza citata; sentenze del 16 dicembre 1981, Foglia, 244/80, punto 18, e del 12 giugno 2008, Gourmet Classic, C458/06, punto 26).

Non appare poi pertinente rispetto alla possibilità di compiere un rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia, in vista dell’enunciazione del principio di diritto, il richiamo al precedente di questa Corte (Cass. S.U. ord. int. n. 20661/2014) secondo cui la rilevanza della questione di legittimità costituzionale può essere affermata dalla Corte di cassazione anche quando la norma denunciata sia destinata a trovare applicazione nell’enunciazione del principio di diritto, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, in quanto la funzione nomofilattica sottesa alla pronuncia nell’interesse della legge non si esaurisce nella dimensione statica della legalità ordinaria, stante la diversa finalità che assume il rinvio interpretativo rispetto a quello di legittimità costituzionale.

In questa seconda ipotesi la Corte Costituzionale è chiamata a vagliare la conformità della legge alle norme della Costituzione, potendo anche pervenire alla sua declaratoria di incostituzionalità, esito questo precluso al giudice di legittimità.

Viceversa, il rinvio pregiudiziale interpretativo, una volta svincolato dalla necessità di dover decidere una specifica controversia, nel caso in esame si risolverebbe nella sollecitazione alla Corte di Giustizia a pronunciare proprio il principio di diritto che la Corte dovrebbe poi emettere ex art. 363 c.p.c., sicché anche alla luce di tale considerazione, la richiesta non può aver seguito.

Il ricorso è quindi inammissibile.

Attesa la novità delle questioni trattate, in relazione alla applicazione del Reg. UE n. 650/2012, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del presente giudizio.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

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