REPLAY. La Cassazione sul deposito telematico degli atti introduttivi: la ragione, infine, prevale Cass. Civ., Sez. I, 12/05/2016, n. 9772

By | 29/08/2016

La Suprema Corte, con una decisione (Cass. Civ., Sez. I, 12/05/2016, n. 9772) che si segnala per completezza di argomenti utilizzati e condivisibilità delle conclusioni tratte, interviene ex professo – finalmente, anche se tardivamente, posto che, come si vedrà, nel frattempo il legislatore ha provveduto a risolvere in radice la questione – sul tema del deposito telematico degli atti introduttivi, fattispecie che ha dato in passato la stura a pronunce alquanto controverse, come si era già evidenziato negli articoli del 12/09/2014, 22/09/2014, 17/10/2014 e 17/02/2015.

Il caso

Tizio oppone un decreto ingiuntivo e, indi, iscrive a ruolo il procedimento di opposizione per via telematica.

Il Tribunale investito del procedimento, preso atto del tenore testuale del 1° comma dell’art. 16-bis, 1° co., D.L. 179/2012 (che, come noto, prevede il deposito telematico degli atti processuali solo a cura delle parti «precedentemente costituite»), rilevato che il decreto DGSIA emanato nel Foro in questione richiamava «la comparsa di risposta ed altri atti endoprocessuali» (omettendo, dunque, ogni riferimento alla citazione introduttiva), ritenuta, infine, la mancanza di «una disciplina giuridica ammissiva del deposito telematico degli atti introduttivi», dichiarava con decreto l’inammissibilità dell’opposizione.

L’opponente ricorreva avverso il decreto in questione dinanzi alla Corte di Cassazione ex art. 111 Cost., ma si vedeva dichiarare inammissibile il gravame in quanto, come rileva la sentenza in esame,

«nell’opposizione a decreto ingiuntivo, che introduce un ordinario giudizio di cognizione, il decreto di inammissibilità dell’opposizione, adottato per il riscontrato difetto di rituale costituzione dell’opponente, assume valore sostanziale di sentenza ed è pertanto suscettibile di impugnazione mediante appello».

Senonché, nonostante l’inammissibilità, la Corte stante la particolare importanza della questione, decideva comunque di affrontarla ex art. 363, 3° co., C.P.C., emanando una decisione che, prese le mosse dalla problematiche del deposito telematico dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, giunge ad enunciazioni di principio valevoli per l’intero tema del deposito telematico degli atti introduttivi.

La valenza intertemporale della decisione

Prima di procedere all’analisi della fattispecie,la Suprema Corte ha cura di precisare che il rilievo della medesima appartiene, ormai, al novero delle questioni di diritto intertemporale.

Ed infatti, la vicenda di specie si è svolta sotto l’impero del combinato disposto del 1° e 4° comma dell’art. 16-bis, D.L. 179/2012  – anteriormente all’intervento dell’art. 19, 1° co., lett. a., n. 1 D.L. 27/06/2015, n. 83, conv. in L. 06/08/2015, n. 132 (di cui appresso) – in virtù del quale il deposito telematico sembrava, quantomeno testualmente, limitato ai soli atti endoprocessuali, con apparente esclusione, dunque, della possibilità di ricorrere a tale forma di deposito per gli atti introduttivi del giudizio, ivi compresa l’opposizione a decreto ingiuntivo (ex 4° co. D.L. 179/2012 cit. che a sua volta prevedeva l’obbligo di deposito telematico di tutti gli atti del procedimento monitorio tranne, appunto, la citazione in opposizione).

Ciò, poi, senza, contare l’ulteriore dubbio interpretativo relativo al fatto che il deposito telematico dovesse o meno essere “abilitato” dal prescritto decreto DGSIA ai sensi dell’art. 35, 1° co., D.M. 21/02/2011, n. 44, secondo il quale

«l’attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio».

L’intervento del sopra menzionato art. 19, 1° co., lett. a., n. 1 D.L. 27/06/2015, n. 83, conv. in L. 06/08/2015, n. 132, che ha introdotto, nel corpo dell’art. 16-bis,  D.L.179/2012 , un nuovo comma 1-bis, secondo il quale «è sempre ammesso il deposito telematico di ogni atto diverso da quelli previsti dal comma 1 e dei documenti che si offrono in comunicazione», ha risolto una vota per tutte la questione, ma, ciononostante, la rilevanza della questione permane rispetto alle fattispecie pregresse all’entrata in vigore della riforma, ove continua a porsi l’esigenza di capire, come osserva la Suprema Corte nella decisione in commento se:

  • «il deposito per via telematica dell’atto introduttivo del giudizio (a) rientri, pur in difetto di apposita autorizzazione ex art. 35 del decreto ministeriale 21 febbraio 2011, n. 44» rientri «tra le facoltà del difensore che intenda in tal modo costituirsi in giudizio»;
  • «oppure (b) sia inammissibile».

La soluzione offerta dalla Suprema Corte

La Corte affronta la problematica osservando, intanto, che l’atto introduttivo depositato telematicamente anziché in modo cartaceo, raggiunge indiscutibilmente il suo scopo, consistente nella «presa di contatto fra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è instaurata e nella messa a disposizione delle altre parti processuale», con la conseguenza che la particolare modalità (telematica anziché cartacea) del deposito degrada al rango di mera:

«imperfezione non viziante la costituzione in giudizio dell’attore e non idonea ad impedire al deposito stesso di produrre i suoi effetti tipici tutte le volte che l’atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16-bis, comma 7».

Una tale conclusione, inoltre – continua la Corte – non è in alcun modo impedita dall’assenza del provvedimento ricognitivo/abilitativo della DGSIA previsto dal già citato art. 35, 1° co., D.M. 21/02/2011, n. 44, in considerazione del fatto che tale disposizione

«si limita a conferire al decreto dirigenziale del Ministero il compito di accertare l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio. Non rientra, pertanto, in quest’ambito di potere accertativo di funzionalità tecniche l’individuazione, altresì, del novero degli atti depositabili telematicamente, la quale discende dalla normativa primaria».

Dunque, secondo la Corte Suprema, il deposito telematico degli atti introduttivi del procedimento è pienamente legittima.

Qualche considerazione

La sentenza oggi in commento porta a definitivo compimento quanto era già emerso nella giurisprudenza di merito più avvertita sul tema (per tutte, si rammenta , anzitutto, Trib. Vercelli, ordinanza 04/08/2014, ma anche Trib. Roma, Sez. II, 24/01/2015, Trib. Genova, Sez. Lav., ordinanza 01/12/2014, Trib. Milano, Sez. IV, ordinanza 07/10/2014, Trib. Brescia, Sez. Lav. ordinanza 07/10/2014, Trib. Bologna, Sez. Lav., ordinanza 16/07/2014) e contribuisce a riaffermare un fondamentale principio recentemente espresso dalla stessa Suprema Corte a Sezioni Unite in materia di notifiche PEC (v. articolo del 28/04/2016), secondo cui:

«la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l’interesse all’astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione».

Anche il precedente in esame, infatti, giunge alle proprie condivisibilissime conclusioni ribadendo che, in difetto di una espressa comminatoria ex lege della nullità del deposito telematico degli atti introduttivi (nullità, in effetti, non comminata da alcuna norma),

«la questione va risolta considerando che, secondo il principio cardine di strumentalità delle forme desumibile dal combinato disposto degli artt. 121 e 156 cod. proc. civ. (cfr. Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726; Sez. Un., 18 aprile 2016, n. 7665), le forme degli atti del processo non sono prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma sono previste come lo strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come l’obiettivo che la norma disciplinante la forma dell’atto intende conseguire».

Un principio del tutto congruente con la considerazione che il nostro sistema processuale, limitando al massimo i casi di nullità formale tramite l’operare del principio del raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 C.P.C., persegue il fine di decrementare i casi in cui «il processo civile si conclude con una pronuncia di carattere meramente processuale, incapace di definire il merito della lite con una distribuzione del torto e della ragione tra le parti».

E di queste lapidarie riaffermazioni di principi fondamentali si sentiva davvero il bisogno in un quadro giurisprudenziale spesso incapace di comprendere che le rigide tecnicalità informatiche cui il PCT ci ha ormai abituato sono fondamentali nel relativo ambito tecnico di riferimento, dove ogni segno o cifra che si digita sulla tastiera deve essere esatta e possiede la stessa fondamentale importanza in una sequenza di programmazione che “funziona” solo se è perfetta in ogni sua parte.

Al contrario esse non possono rilevare, se non eccezionalmente, quando diventano parte del sistema giuridico. Un sistema diverso, fatto di principi elastici, che ammettono deroghe, eccezioni, zone grigie ed ambiti di incertezza ricollegati alla stessa natura della giustizia, congegno umano creato per adattarsi alle infinite sfaccettature dei casi concreti senza ciononostante tradire il proprio originario ed intimo significato.

Il principio del raggiungimento dello scopo, incredibilmente dimenticato da buona parte della giurisprudenza di merito dopo l’avvento del PCT (al pari di quello di gerarchia delle fonti, smarrito in mezzo ad un mare di decreti ministeriali, circolari e provvedimenti tecnici, spesso richiamati in modo del tutto improprio), è appunto uno dei mezzi che appronta l’ordinamento processuale per attenuare la rigidità della propria regolamentazione necessariamente formale: se non vi è sostanziale violazione del contraddittorio, ci dice quella regola, vuol dire che il processo può continuare anche se il tecnicismo non è rispettato o è stata violata la formalità.

La decisione Cass. Civ., Sez. I, 12/05/2016, n. 9772 in commento, quantomeno a parere di chi scrive, si pone nel giusto solco di quanti, anche nel quadro rivoluzionato dal PCT, hanno sempre tenuto ben saldo il principio secondo cui qualsiasi processo ha come proprio predicato naturale quello dell’essere “giusto”: essere, cioè, costituito di una serie di regole formali rilevanti non già in quanto tali, ma in quanto parte costitutiva di un meccanismo giuridico complessivo deputato a rendere giustizia a chi la richiede.

Documenti & materiali

Scarica Cass. Civ., Sez. I, 12/05/2016, n. 9772
Scarica Cass. Civ., SS.UU., 18/04/2016, n. 7665
Scarica Trib. Vercelli, ordinanza 04/08/2014
Scarica Trib. Roma, Sez. II, 24/01/2015
Scarica Trib. Genova, Sez. Lav., ordinanza 01/12/2014
Scarica Trib. Milano, Sez. IV, ordinanza 07/10/2014
Scarica Trib. Brescia, Sez. Lav. ordinanza 07/10/2014
Scarica Trib. Bologna, Sez. Lav., ordinanza 16/07/2014

Avviso “Replay”

Questo articolo è stato pubblicato in data 24/05/2016 ed è stato uno dei più letti del nostro blog. Non costituisce un aggiornamento e viene nuovamente pubblicato nella sua stesura originaria per la serie “Replay” 2016.

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Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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