La Corte Costituzionale sulle unioni omossessuali: aspettando Godot

By | 20/06/2014

I matrimoni tra persone dello stesso sesso continuano a tenere la scena della nostra giurisprudenza e proprio non ne vogliono sapere di rassegnarsi al ruolo di figli di un dio minore che il “diritto vivente” persevera ad assegnare loro.

Breve riassunto delle puntate precedenti

 Un esame di massima dell’evoluzione di pensiero in ordine alla legittimità dei matrimoni in questione era già stato svolto con un post del 30/05/2014.

In sintesi, si era visto come la giurisprudenza nazionale, partita da una posizione di fondamentale inconcepibilità naturalistica e culturale del matrimonio tra persone dello stesso sesso (v. Tar Venezia, Sez. I, 27/08/2007, n. 2786 e v. pure, sia pure con sfumature diverse C. Cost. 15/04/2010, n. 138), dopo che la CEDU, con la fondamentale pronuncia S. and K v. Austria, n. 30141/04, 24/06/2010 aveva finalmente ritenuto «artificiale mantenere l’orientamento secondo il quale, a differenza di una coppia di sesso diverso, una coppia dello stesso sesso non può godere di una “vita familiare” per gli effetti di cui all’art. 8», aveva a propria volta mutato orientamento, riconoscendo anch’essa «superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per cosi dire “naturalistico”, della stessa “esistenza” del matrimonio» (Cass.Civ, Sez. I, 15/03/2012, n. 4184).

Senonché, tale innovazione non portava con sé alcuna conseguenza sul piano concreto (l’unico che giustamente interessa le persone in carne ed ossa, troppo spesso ignorate dai giuristi).

Va infatti ricordato che la CEDU, sul presupposto dell’obiettiva complessità della struttura europea nella quale si affiancano paesi con tradizioni anche molto diverse tra loro, pur escludendo che il diritto al matrimonio ex art. 12  Convenzione Europa dei Diritti dell’uomo dovesse «in ogni caso essere limitato al matrimonio tra due persone di sesso diverso», aveva tuttavia lasciato ai  singoli paesi la valutazione delle conseguenze giuridiche di tale conclusione.

Su questo presupposto, la stessa pronuncia Cass. Civ. 184/2012 che si è sopra ricordata, pur innovando in linea di principio, aveva poi comunque negato la possibilità di trascrivere allo stato civile italiano un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero, stante l’inidoneità di tali unioni «a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano».

Tutto cambia perchè nulla cambi, dunque, anche se, in questa gattopardesca situazione si sono di recente evidenziate anche posizioni d’avanguardia quali quella del Tribunale di Grosseto (ord. 09/04/2014 che ha ordinato la registrazione allo stato civile italiano di un matrimonio contratto all’estero tra due uomini), e dal Sindaco di Fano (che, nella generale stupefazione, sul finire del maggio 2014 ha direttamente proceduto alla registrazione di un matrimonio di analogo genere).

Il caso rimesso alla Corte Costituzionale

 Quello sopra tracciato, dunque, è il quadro in cui si innesta la decisione C.Cost. 11/06/2014, n. 170 che oggi si commenta.

Il caso concreto è molto particolare. Nel corso di un “normale” matrimonio tra un uomo ed una donna, il primo decide di cambiare sesso ed, in effetti, lo fa, diventando donna.

Ciò, tuttavia, nei voti della coppia non comporta alcuna conseguenza sul loro rapporto: entrambi, infatti, intendono continuare la loro vita matrimoniale pregressa come se nulla fosse accaduto.

Gli incauti, tuttavia, non hanno fatto i conti con il Leviatano, il quale procede d’ufficio al “divorzio imposto” e, in applicazione degli arrt. 2 e 4 L.14/04/1982, n. 164, annota allo stato civile la cessazione degli effetti del loro matrimonio.

Di qui il rituale dei ricorsi e impugnazioni (tutti respinti), sino all’approdo  alla Suprema Corte che, considerando il “divorzio imposto” un istituto in contrasto, nell’ordine:

  • «con il diritto ad autodeterminarsi nelle scelte relative alla identità personale, di cui la sfera sessuale esprime un carattere costitutivo»;
  • «con il diritto alla conservazione della preesistente dimensione relazionale, quando essa assuma i caratteri della stabilità e continuità propri del vincolo coniugale»;
  • «con il diritto a non essere ingiustificatamente discriminati rispetto a tutte le altre coppie coniugate, alle quali è riconosciuta la possibilità di scelta in ordine al divorzio»;
  •  «con il diritto  dell’altro coniuge di scegliere se continuare la relazione coniugale»;

rimette il tutto alla Corte Costituzionale.

La decisione della Corte

 La Corte Costituzionale con la pronuncia in esame accoglie il rilievo di incostituzionalità prospettatole, ancorché, quantomeno a parere di chi scrive, in modo insoddisfacente in linea di principio e, sul piano pratico, privo di chiarezza operativa.

Il punto di riferimento non è l’art. 29 Cost.

Nell’argomentare la propria decisione  la Corte Costituzionale parte dal ribadire il proprio precedente del 2010 che si è sopra citato (C. Cost. 15/04/2010, n. 138).

Secondo la Corte, infatti, nel valutare la questione della rilevanza giuridica dell’unione tra persone dello stesso sesso, il punto di riferimento non può rinvenirsi nell’art. 29 Cost., posto che (con buona pace, peraltro, dell’affermazione di principio del tutto opposta di cui alla sopra esaminata sentenza CEDU  S. and K v. Austria, n. 30141/04, 24/06/2010):

«la nozione di matrimonio presupposta dal costituente (…) è quella stessa definita dal codice del 1942 che “stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso” (sentenza n.138 del 2010)» (C. Cost. 15/04/2010, n. 138).

Il punto di riferimento è l’art. 2 Cost.

 Il punto di riferimento, invece, ad avviso della Corte deve essere rivenuto nell’art. 2 Cost., nel quadro, cioè, delle «formazioni sociali» giuridicamente rilevanti.

La fattispecie di una coppia dello stesso sesso che, prima della modifica di genere di uno dei due coniugi, fosse stata una famiglia “normale”, infatti,

«reclama di essere, comunque, tutelata come “forma di comunità”, connotata dalla “stabile convivenza tra due persone”, “idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione” (sentenza n. 138 del 2010)» (C. Cost. 15/04/2010, n. 138).

Ci penserà il legislatore……

 Ciò posto, conclude la Corte, poiché è comunque impensabile procedere ad una

«pronuncia manipolativa, che sostituisca il divorzio automatico con un divorzio a domanda, poiché ciò equivarrebbe a rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti del medesimo sesso, in contrasto con l’art. 29 Cost.» (C. Cost. 15/04/2010, n. 138),

ci penserà il legislatore ad individuare l’idoneo regime giuridico (frattanto inesistente) di tale genere di coppia.

Va infatti accolto il profilo di illegittimità costituzionale in esame, ma solo nella parte in cui gli artt. 2 e 4 della L. 14/04/1982 n. 164 non prevedono che il mutamento di sesso di uno dei coniugi:

«consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore» (C. Cost. 15/04/2010, n. 138).

Aspettando Godot

 Così, dopo tanto argomentare, si torna al punto da cui si era partiti: al legislatore l’ardua sentenza.

E mentre giudici, avvocati e parti in causa aspettano Godot, nel nostro paese migliaia di persone, colpevoli solo di volersi bene, continuano a restare senza riconoscimento e, soprattutto, senza tutela: «e non ho altro da dire su questa faccenda» (Forrest Gump).

Documenti & materiali

scarica C.Cost. 11/06/2014, n. 170
scarica Tar Venezia, Sez. I, 27/08/2007, n. 2786
scarica C. Cost. 15/04/2010, n. 138
scarica CEDU, I, S. and K v. Austria, n. 30141/04, 24/06/2010
scarica Cass.Civ, Sez. I, 15/03/2012, n. 4184
scarica C. App. Milano, Sez. Lav., 31/08/2012, n. 7176
scarica Trib Grosseto, ord. 09/04/2014

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