La parziale illegittimità costituzionale dell’art. 459, 1° co., C.P.P. Il querelante non potrà più opporsi all’emissione del decreto penale di condanna

Quante volte noi avvocati civilisti e non, nel predisporre una querela per conto del nostro assistito, con il proposito di esercitare l’azione risarcitoria in sede penale, abbiamo inserito la preventiva dichiarazione di dissenso del cliente alla definizione del procedimento con emissione di decreto penale di condanna (come previsto dall’art. 459/1 C.P.P.) ? Ebbene, dopo la sentenza n. 23/2015 della Consulta, che qui si segnala, ciò non è più possibile.

Infatti, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 23 del 28/01/2015, depositata il 27/02/2015, dichiara l’illegittimità costituzionale di una parte del 1° comma dell’art. 459 C.P.P per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.

Il procedimento per decreto penale di condanna

L’art. 459 C.P.P intitolato “Casi di procedimento per decreto”, disciplina, appunto, le ipotesi in cui è possibile definire il procedimento penale con l’emissione del decreto penale di condanna.

Come noto, con il decreto penale di condanna il giudice per le indagini preliminari applica all’imputato, su richiesta del P.M., una pena pecuniaria ridotta fino alla metà, senza necessità di alcuna attivazione preventiva del contraddittorio.

L’imputato può presentare opposizione nei 15 gg successivi alla notifica del decreto, determinando l’instaurazione di un processo mediante il rito immediato o mediante altro rito speciale, quale il patteggiamento o il giudizio abbreviato.

Quello del procedimento per decreto è un rito speciale avente natura premiale (così come il patteggiamento previsto dall’art. 444 e ss. C.P.P e come il giudizio abbreviato previsto dall’art. 438 e ss. C.P.P) perché comporta diversi benefici: 1) riduzione della pena fino alla metà del minimo edittale; 2) esclusione delle pene accessorie; 3) esclusione delle spese processuali; 4) non ha efficacia di giudicato né nel giudizio civile, né in quello amministrativo; 5) estinzione del reato se decorsi cinque anni (per il delitto) oppure due anni (per la contravvenzione), l’imputato non commette altri reati della stessa indole. In quest’ultimo caso, tra l’altro, la condanna non è di ostacolo per la concessione di una successiva sospensione condizionale della pena.

Nella versione originaria, l’art. 459 C.P.P era previsto solo per i reati perseguibili d’ufficio. Successivamente, con la L. 16/12/1999 n. 479, è stato esteso anche ai reati procedibili a querela, purché, appunto, non vi si opponesse il querelante.

Precisamente, il citato 1° comma dell’art. 459 C.P.P., come modificato con la L. 479/1999, e vigente prima della pronuncia della Consulta che qui si segnala, testualmente disponeva:

«nei procedimenti per reati perseguibili di ufficio ed in quelli perseguibili a querela se questa è stata validamente presentata e se il querelante non ha dichiarato di opporvisi, il pubblico ministero, quando ritiene che si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva, può presentare al giudice per le indagini preliminari, entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato e previa trasmissione del fascicolo, richiesta motivata di emissione del decreto penale di condanna, indicando la misura della pena».

Dunque, nei reati procedibili a querela, il querelante (che, normalmente, coincide con la persona offesa), poteva opporsi (dichiarandolo, ad esempio, nell’atto di querela) a che il procedimento potesse essere definito con il decreto penale di condanna, che, in sostanza, poi significa, con una sanzione di natura solo pecuniaria (eventualmente anche in sostituzione di una detentiva).

La sentenza della Consulta

Ora, dopo la sentenza n. 23/2015 della Corte Costituzionale, questo non si può più fare: l’eventuale dissenso del querelante alla definizione del procedimento con emissione di decreto penale di condanna a pena pecuniaria, non ha più alcun effetto ostativo, non ha più alcuna rilevanza.

Esattamente con la citata sentenza n. 23/2015, la Consulta testualmente dichiara:

«l’illegittimità costituzionale dell’art. 459, comma 1, cod. proc. pen. […] nella parte in cui prevede la facoltà del querelante di opporsi, in caso di reati perseguibili a querela, alla definizione del procedimento con emissione di decreto penale di condanna».

La questione di illegittimità costituzionale è stata sollevata, su richiesta del Pubblico Ministero, dal GIP del Tribunale di Avezzano, in un caso in cui, appunto, il P.M., intendeva procedere con emissione di decreto penale di condanna, malgrado ci fosse il dissenso della p.o..

Le ragioni addotte a sostegno della questione di illegittimità costituzionale, sono quelle poi (in parte) condivise dalla stessa Consulta e che meritano di essere qui, anche solo sommariamente, richiamate perché di interesse generale sotto il profilo sistematico.

In sintesi, premesso che l’interesse del querelante/persona offesa alla punizione del responsabile, è comunque soddisfatto anche con l’emissione del decreto penale di condanna, e premesso, altresì, che l’interesse al risarcimento del danno può trovare soddisfazione nel separato giudizio civile, si sostiene che la norma censurata si ponga in contrasto con:

1) il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto la facoltà del querelante di opporsi alla definizione del procedimento con il decreto penale di condanna, non risulterebbe ragionevolmente giustificata rispetto alla diversità di trattamento esistente nel procedimento mediante patteggiamento (art. 444 C.P.P.) che non prevede un’analoga facoltà del querelante;

2) il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., perché la facoltà del querelante di opporsi alla definizione del procedimento tramite decreto penale di condanna, determinerebbe un ingiustificato allungamento dei tempi del processo ed ostacolerebbe l’effetto deflattivo legato proprio ai riti speciali.

Il GIP rimettente la questione di legittimità costituzionale, rinveniva il contrasto anche con il principio della obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., in quanto costituirebbe l’unico caso, nel nostro ordinamento, in cui l’ufficio del Pubblico Ministero risulta condizionato nella scelta della modalità di esercizio dell’azione penale.

La Consulta, tuttavia, non è scesa nel merito di questa ultima censura (art. 112 Cost.) ritenendola assorbita negli altri motivi di cui sopra.

Questo il riassunto della sentenza n. 23/2015 della Corte Costituzionale. Questo – come si suol dire – lo stato dell’arte.

Ora, come sappiamo, le sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale producono, pacificamente, un effetto ex tunc, ossia effetto retroattivo, solo per le norme di diritto sostanziale.

Non è altrettanto pacifico, invece, questo effetto per le norme di natura processuale come quella qui in discussione, anzi la giurisprudenza prevalente propende per escluderlo, e ciò in applicazione del principio del tempus regit actum.

Senza entrare nel merito della dibattuta ed annosa questione, qui ci si limita unicamente ad evidenziare che, qualora avesse effetto retroattivo, esso si applicherebbe comunque solo nei confronti dei procedimenti ancora pendenti, rimanendo senz’altro precluso qualunque effetto sui procedimenti già conclusi.

E limitando l’effetto solo ai procedimenti ancora pendenti, ci si domanda quali saranno, e/o dovranno essere, in caso di effetto retroattivo dell’incostituzionalità, gli effetti concreti di questa pronuncia: in particolare, laddove il procedimento sia pendente nella forma di giudizio ordinario o altro rito, proprio a causa dell’opposizione ex art. 459/1 C.P.P espressa dal querelante, si potrà/dovrà verificare la regressione del procedimento sino all’emissione del decreto penale di condanna che il P.M. avrebbe richiesto qualora non fosse stato ostacolato dal dissenso espresso dal querelante?

Documenti e materiali

Scarica la sentenza C.Cost,28/01/2015-27/02/2015, n.23

Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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