Fondi Ue ai professionisti: solo se esercitano attività di impresa? nota a Consiglio di Stato n. 258/2016 - Sezione V giurisdizionale


L’accessibilità ai fondi europei da parte dei professionisti è sicuramente tra le questioni di più attualità e interesse che riguardano, per l’appunto, le professioni. In merito avevamo, infatti, a suo tempo segnalato l’approvazione del Piano d’azione per le libere professioni da parte della precedente Commissione europea nel 2014, il cui obiettivo era proprio quello di consentire anche ai professionisti l’accesso ai fondi di finanziamento erogati dall’Unione Europea, secondo l’equazione di base professionisti=imprenditori.

Più recentemente poi, la questione sembrava aver preso, con non poche difficoltà a dire il vero, la retta via attraverso l’espressa equiparazione tra professioni e piccole medie imprese contenuta all’interno della legge di stabilità (a si veda l’art. 1, comma 821, L. 208/2015).

Nelle more della pubblicazione dei nuovi bandi in favore dei professionisti da parte dell’Unione o di qualsivoglia altra misura indetta anche a livello nazionale e/o regionale come più volte annunciato, si inserisce nel vivo della questione la recente pronuncia del Consiglio di Stato (sentenza n. 258/2016), la quale, in senso diametralmente opposto rispetto alle politche legislative nazionali ed europee, ha negato l’accesso ai fondi europei ad uno studio legale che ne aveva fatto richiesta in considerazione della mancanza di una struttura aziendale attività esercitata in forma non imprenditoriale.

La vicenda risale al lontano 2003 ma è interessante ripercorrerne le tappe per comprendere cosa abbia indotto il Consiglio di Stato a negare l’accesso ai predetti contributi.

Il caso

Lo studio legale Tizio & Co. si vedeva negata la propria domanda di ammissione ad un contributo erogato dall’Unione Europea attraverso un bando di concorso regionale. Contro il provvedimento di diniego, il predetto studio legale proponeva ricorso al Tar, il quale tuttavia rigettava il ricorso.

La decisione del Consiglio di Stato

Chiamato a pronunciarsi sull’appello proposto dallo studio legale soccombente in primo grado, il Consiglio di Stato, dopo aver escluso l’inammissibilità del ricorso decisa in primo grado, entra nel merito della controversia.

In primo luogo, il Consiglio di Stato afferma che per accedere al bando in questione occorreva verificare se l’attività libero professionale svolta in concreto dal richiedente potesse, o meno, costituire attività di impresa. Ciò in quanto, continua, il Supremo Collegio, la predetta equiparazione è resa possibile tanto dal bando in questione quanto secondo i principi generali dell’ordinamento. Sul punto viene infatti citato un precedente della Corte di Cassazione dal seguente tenore.

Uno studio di avvocato può presentare, in concreto, una organizzazione imprenditoriale, ma il concetto di imprenditore non può estendersi tout court al libero professionista. Nell’ipotesi in cui il professionista intellettuale rivesta la qualità di imprenditore commerciale per il fatto di esercitare la professione nell’ambito di un’attività organizzata in forma d’impresa, deve trattarsi di una distinta e assorbente attività che si differenzia da quella professionale per il diverso ruolo che riveste il sostrato organizzativo – il quale cessa di essere meramente strumentale – e per il differente apporto del professionista, non più circoscritto alle prestazioni d’opera intellettuale, ma involgente una prevalente azione di organizzazione, ossia di coordinamento e di controllo dei fattori produttivi, che si affianca all’attività tecnica ai fini della produzione del servizio. In tale evenienza l’attività professionale rappresenta una componente non predominante, per quanto indispensabile, del processo operativo, il che giustifica la qualificazione come imprenditore.” (Cass., sez. lav, 16092/2013).

Appurato ciò, la questione principale attiene, dunque, al fatto se lo studio legale «appellante avesse in concreto quelle peculiarità organizzative e strutturali tali da poterlo assimilare ad una “impresa”». Lo studio in questione, si legge nella sentenza, è dotato di due sedi più un archivio distaccato, è costituito da cinque avvocati, quattro impiegati ed un altro dipendente non altrimenti qualificato [sarebbe interessante, ma ad altri fini, conoscere ruolo, mansioni e titolo di studio del tal “dipendente non altrimenti qualificato”]. Inoltre, la descrizione delle attività dello studio si presentava nei seguenti termini: “L’Organizzazione produttiva svolge le attività tipiche degli studi legali e, quindi, rende servizi in favore di imprese, operatori economici o privati aventi ad oggetto consulenze legislative, giudiziarie e normative di varia natura o attività di assistenza e supporto controversie giudiziali o stragiudiziali”.

Considerate, pertanto, le caratteristiche organiche possedute dallo studio legale appellante, nonchè il tipo di attività esercitata, il Consiglio di Stato giunge alla conclusione che esso non possa essere equiparato ad un impresa, in quanto «rientra tra quelle “attività di professionisti” escluse dai contributi perché prive di quella struttura aziendale che è l’ossatura dell’impresa e consistente in un’associazione di esercenti una professione intellettuale derivante dalla sommatoria delle prestazioni professionali dei singoli avvocati: in breve nulla che abbia a che fare con una piccola impresa».

In conclusione nessun contributo europeo – riferito a quel bando di concorso, preme precisare – potrà essere erogato al malcapitato studio.

Conclusioni

La sentenza in commento fa riferimento ad un bando piuttosto datato (2003), tuttavia, considerate le precisazioni ivi contenute in merito alla struttura organizzativa che gli studi legali devono possedere per essere equiparati alle imprese, si auspica che i recenti interventi legislativi, nonché i futuri bandi di concorso più volte annunciati a favore dei professionisti, possano superare tale arresto, di certo poco incline alle esigenze delle professioni. Oggi più che mai anche le attività libero professionali necessitano di poter usufruire, al pari di ogni altra categoria, dei contributi messi a disposizione dell’Unione Europea, se non altro, anche per il fatto che, pare doveroso dirlo, tali contributi sono “finanziati” anche dalle tasse pagate dai professionisti.

Documenti & Materiali

Scarica il testo della L. 208/2015 – legge di stabilità 2016

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Author: Avv. Claudia Gianotti

Avvocato, nata a Pesaro il 08 settembre 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2011. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione fiscale di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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