Il concetto di casa familiare


L’assegnazione della casa familiare, come noto, è questione che si pone solo in presenza di figli. Essa, infatti, prevista dall’art. 337 sexies C.C. (prima del D.LGS 28/12/2013, n. 154, art. 155 quater C.C.)  viene disposta ad uno dei due genitori “tenendo conto prioritariamente dell’interesse dei figli“.

Dunque, nel caso di coniugi senza prole, in ordine alla casa familiare (eventualmente anche in comproprietà) nulla quaestio (se non, talvolta, in maniera indiretta per quantificare l’assegno di mantenimento, si veda per tutte Cass. Civ., Sez. I, 20/04/2011, n. 9079)

Va chiarito, poi, che oggi, per effetto del D.LGS 28/12/2013, n. 154, la questione dell’assegnazione della casa familiare riguarda, non solo i coniugati, ma anche i conviventi more uxorio, sempre che, naturalmente, vi sia prole.

La norma (art. 337 sexies C.C.) indica un criterio – l’interesse dei figli – sulla base del quale stabilire a quale dei genitori dovrà essere attribuito il godimento dell’abitazione coniugale. Tuttavia essa non determina le caratteristiche identificative di tale peculiare destinazione, per cui se può risultare agevole desumere dalla norma che la casa familiare sia assegnata al genitore collocatario dei figli minori (o maggiorenni non autosufficienti) o affidatario esclusivo, più complessa può apparire la qualificazione giuridica di un immobile come abitazione familiare in tutte le ipotesi in cui non risulti in modo inequivoco che la situazione preesistente al conflitto giudiziale sia caratterizzata da una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso come abitazione del nucleo familiare, composto dai genitori e dai figli minori o maggiorenni ma non autosufficienti. Le situazioni di confine possono essere molteplici.

La casa acquistata ma non abitata

Tendenzialmente le criticità sorgono quando il conflitto sia sorto prima della stabilizzazione del nucleo familiare, costituito dai genitori e dal figlio, nell’immobile. I criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, tuttavia, contengono indicatori anche per le situazioni che possano apparire d’incerta soluzione.

Sotto questo profilo, si segnala una recente pronuncia della Corte di Cassazione, Cass. Civ., Sez. I, 19/02/2016, n. 3331, ove si afferma che:

«in primo luogo deve escludersi che possa essere qualificata “casa familiare” l’immobile in cui la coppia coniugata o non coniugata non abbia mai convissuto prima della nascita del figlio ».

Dunque, per la Cassazione, la mera destinazione dell’immobile ad un progetto di coabitazione è insufficiente a fondarne il godimento in funzione del prioritario interesse del minore, quando nè i genitori nè quest’ultimo vi abbiano mai abitato.

All’interno di questa ipotesi, però, la Corte di legittimità (Sez. I, 19/02/2016, n. 3331) distingue il caso in cui, pur non avendo abitato l’immobile dopo la nascita del figlio, tuttavia, i coniugi/genitori l’abbiano occupato stabilmente prima di tale evento con lo scopo di destinarvi la famiglia, per poi lasciarla dopo la nascita del figlio per l’insorgere del conflitto.

Precisamente la Corte nella sentenza n. 3331/20016 si riferisce all’ipotesi in cui:

«i genitori del minore abbiano non solo destinato di comune accordo e con impegno economico comune un immobile a loro abitazione familiare ma vi abbiano anche convissuto stabilmente prima del conflitto, deflagrato con la nascita del figlio.
In questa ipotesi la casa familiare preesisteva alla nascita del figlio minore ed il temporaneo allontanamento dovuto al conflitto del nucleo genitori figli non ha mutato tale preesistente destinazione ».

Secondo la Cassazione, quindi, l’abitazione nella quale la coppia di genitori ha convissuto stabilmente prima della nascita del figlio, costituisce

«l’habitat domestico, ovvero il “centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui sì esprime e si articola la vita familiare“».

Ne consegue che la destinazione a casa familiare deve ritenersi univocamente impressa all’immobile dalle parti non solo in astratto (per esempio, con l’acquisto in comproprietà) ma anche in concreto per mezzo della loro convivenza.

La casa di dimensioni superiori alle necessità (accessori come mansarda, dependance, etc..)

Ma come ci si deve regolare allorché la casa familiare abbia dimensioni eccessive o comunque superiori alle normali necessità della prole (ad esempio, 300/400 mq in presenza di due figli),  oppure, ancora, quando la casa familiare sia costituita, oltre che dall’appartamento vero e proprio abitato dalla famiglia, anche da unità accessorie (mansarda, taverna, dependance, ed altro) che, anche se non autonome e distinte dalla casa familiare da un punto di vista urbanistico, tuttavia costituiscano unità a sè stanti? e magari, il genitore non assegnatario della casa non ha altro immobile ove trasferirsi per vivere?

La giurisprudenza è di fatto orientata ad estendere il concetto di ‘casa familiare’ anche a quelle pertinenze come il garage, o il box auto, che, appunto, costituiscono accessori dell’unità principale – casa familiare, sui cui si possono ritenere estese anche le abitudini della convivenza del nucleo familiare.

Tuttavia, altra questione è l’esistenza, oltre alla casa coniugale, di altro immobile (mansarda, taverna,  un intero piano allo stato grezzo, etc) che pur non costituendo un’unità distinta da un punto di vista urbanistico, tuttavia, per la sua natura, per la sua ubicazione, nonché per gli stessi usi della famiglia, non può considerarsi, quantomeno in modo automatico, costituente la casa familiare.

La casa delle vacanze

Un altro aspetto da esaminare è se la ‘casa familiare’ suscettibile di assegnazione deve ritenersi comprensiva anche della ‘casa delle vacanze’ o comunque di altro immobile abitato ed occupato dalla famiglia solo occasionalmente per il tempo libero o per le vacanze.

Su questo si richiama un’importante pronuncia chiarificatrice (Cass. Civ., Sez. I, 04/07/2011, n. 14553) della Suprema Corte con la quale è stata esclusa la destinazione a casa familiare di un immobile acquistato allo stato di rustico e solo occasionalmente utilizzato per il periodo estivo dal nucleo familiare:

«sono requisiti imprescindibili, per l’assegnazione della casa “familiare” ad uno dei genitori separati o divorziati, la sussistenza di tale requisito – nel senso di habitat domestico, ossia di luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia durante la convivenza dei suoi membri – e l’affidamento a questo di figli minorenni o la convivenza con figli maggiorenni, incolpevolmente privi di adeguati mezzi autonomi di sostentamento.
L’assegnazione della casa familiare prevista dall’art. 155 c.c., comma 4, [ora art. 337 sexies C.C. n..d.r.] rispondendo all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui s’esprime e s’articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a quell’immobile che abbia costituito il centro d’aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione d’ogni altro immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità».

 

Documenti & materiali

Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 20/04/2011, n. 9079
Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 19/02/2016, n. 3331
Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. I, 04/07/2011, n. 14553

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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