Trasferimento: il rifiuto del lavoratore ex art. 1460 cc deve essere proporzionato Nota a Cass. Civ., Sez. Lav., 29/02/2016, n. 3959


«In caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., il rifuto del lavoratore di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all’inadempimento datoriale ai sensi dell’art. 1460, comma 2, c.c., sicchè lo stesso deve essere accompaganto da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria, configurandosi altrimenti l’arbitrarietà dell’assenza dal lavoro».

In applicazione del principio sopra enunciato, la Corte di Cassazione, con la sentenza annotata (Cass. Civ., Sez. Lav., 29/02/2016, n. 3959), ha cassato la decisione di merito che aveva omesso di valutare il rifiuto del lavoratore, trasferito da Roma e Milano e, poi da Milano a Torino, di prestare servizio presso la sede originaria, ove lavorava da oltre cinque anni.

La vicenda trae origine, infatti, dalla domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento da parte di un lavoratore trasferito in altra sede (da Roma a Torino prima per un’asserita trasferta durata 5 anni e, poi, da Torino a Milano per trasferimento) a seguito di una fusione per incorporazione della società datrice di lavoro.

Il lavoratore aveva indi opposto il proprio rifiuto, non presentandosi di fatto nella nuova sede di lavoro (Milano) e neppure nella vecchia sede (Roma). In primo e secondo grado, quest’ultimo era risultato vittorioso, essendo stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento, con conseguente ordine di reintegrazione del medesimo sul posto di lavoro.

La Cassazione, adita dalla ricorrente datrice di lavoro, nella pronuncia in esame, si è soffermata sull’analisi della proporzionalità del rifiuto del lavoratore a rendere la prestazione lavorativa a fronte dell’ordine di trasferimento: uno dei motivi di censura sollevati dalla ricorrente riguardava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. (eccezone di inadempimento).

Ad avviso della ricorrente, infatti, nel giudizio di merito risultava comprovato che il rifiuto del lavoratore a rendere la prestazione lavorativa era stato totale in quanto quest’ultimo aveva rifiutato di lavorare non solo nella nuova sede assegnata (Torino), ma anche nella sede originaria di lavoro (Roma).

Il motivo è stato ritenuto fondato, in quanto chiarisce la Corte:

«il trasferimento realizzato in assenza delle prescritte ragioni tecniche, organizzative e produttive, legittima il rifiuto del dipendente di assumere servizio nella sede diversa cui sia stato destinato […] tuttavia il secono comma dell’art. 1460 c.c., con il richiamo alla nozione di buona fede, intende esprimere il concetto di equivalenza tra l’inadempimento altrui e e l’adempimento che viene rifiutato, sicché il primo giustifichi il secondo».

In tal senso, la Corte procedendo ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti ha ritenuto che, nel caso di specie, il rifiuto del dipendente non risultava accompagnato da una seria ed effettiva manifestazione di disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria, diversamente configurandosi l’arbitrarietà dell’assenza dal lavoro (in specie, infatti, il dipendente aveva rifiutato di prestare lavoro, non solo nella sede ove era stato destinato, ma anche nell’originaria sede di lavoro ove lo stesso era stato occupato per più di cinque anni ed ove sembrava risultare possibile la sua collocazione).

Sotto quest’ultimo profilo, dunque, il rinvio operato dalla Cassazione alla Corte d’appello, in diversa composizione, dovrà concentrarsi – alla luce dei principi sopra espressi – sul relativo approfondimento, onde valutare la legittimità dell’eccezione di inadempimento e, quindi, del comminato licenziamento,

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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