Responsabilità medica: manleva della struttura sanitaria e nullità della clausola assicurativa di esclusione della solidarietà Trib. Monza, Sez. II, 31/01/2022

By | 04/11/2022

TRIB. MONZA, SEZ. II, 31/01/2022

«La clausola del contratto di collaborazione tra medico e struttura sanitaria in virtù della quale il primo è tenuto a manlevare la seconda per qualsiasi responsabilità derivante dalla sua attività nell’esecuzione del contratto stesso‭ ‬addebitabile a colpa,‭ ‬colpa grave o dolo è nulla per indeterminatezza dell’oggetto, per carenza di causa e perché non supera il vaglio di meritevolezza.

Laddove il medico, nonostante il contratto di collaborazione professionale autonoma, risulti di fatto dipendente della struttura sanitaria presso cui presta la propria attività in base ad indici che dimostrino la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, la struttura stessa sarà tenuta a manlevare il professionista, senza possibilità di rivalsa, se non nei casi di dolo o colpa grave il base al vigente CCNL.

La clausola del contratto di assicurazione della r.c. professionale in virtù della quale la copertura assicurativa viene garantita nei soli limiti della responsabilità diretta, con esclusione di qualsiasi responsabilità derivantegli in via di solidarietà è nulla perché inficia la stessa causa del contratto di assicurazione della responsabilità civile,‭ ‬la cui funzione economico-sociale consiste nel tenere indenne il patrimonio dell’assicurato dalle conseguenze che derivano dall’esperimento in suo danno dell’azione risarcitoria ed è altresì vessatoria ex art. 1341 c.c.» (Massima non ufficiale)

MOTIVAZIONE

La signora [Omissis] ha promosso giudizio avverso gli Istituti Clinici [Omissis] ed avverso il dott. [Omissis], nelle forme previste all’art.702-bis c.p.c. e seguenti, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’intervento di protesi all’anca destra cui è stata sottoposta in data 31 maggio 2016, eseguito dal dott. [Omissis] presso la struttura ospedaliera convenuta.

La controversia è stata preceduta da ricorso promosso dall’attrice ex art.696-bis c.p.c.

Con ordinanza a verbale del 3 novembre 2020 è stata disposta la conversione del rito considerata la complessità delle questioni.

Il dott. [Omissis] è stato autorizzato a chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice[Omissis] S.p.A., che si è costituita.

La perizia resa in sede di ATP dal collegio peritale nominato composto dal dott. D., specialista in medicina legale e delle assicurazioni, e dal dott. T., specialista in ortopedia è stata ritenuta sufficiente in questo giudizio riguardo alle questioni di natura tecnica, senza necessità di un supplemento o rinnovazione della perizia.

La signora [Omissis] è stata sottoposta in data 31 maggio 2016 a intervento chirurgico di artroprotesi anca destra, per coxalgia destra artrosica.

Il collegio peritale ha descritto la tipologia di intervento come “gold standard” per la risoluzione della patologia artrosica e ha chiarito trattarsi di una tipologia di intervento molto comune, anche all’estero, che si esegue routinariamente in ambiente ospedaliero in regime di ricovero. Ha inoltre chiarito che l’intervento fosse indicato nel caso concreto, in presenza di un quadro sintomatologico invalidante, come si legge nella cartella clinica di ricovero “deambula con dolore (fino a 100mt circa). Limitazione del movimento anca destra.

La scelta dell’impianto è lasciata alla discrezionalità del chirurgo e il dr. [Omissis] ha applicato un impianto protesico di anca (THA) biologico press-fit con accoppiamento ceramica- polietilene tra quelli approvati dal ministero e disponibili sul mercato all’epoca dei fatti.

Nella radiografia di controllo effettuata breve tempo dopo l’operazione è stata riscontrata la presenza di deficit nel territorio del nervo sciatico, deficit che è indicato permanere in data 3 giugno e 4 giugno. Il 6 giugno l’attrice è stata trasferita presso struttura di riabilitazione con diagnosi alla dimissione di artrosi localizzata primaria anca. Traumatismo del nervo peroneale. Sempre nella lettera di dimissioni si legge ancora che il decorso post-operatorio è stato complicato dall’insorgenza di stupor del nervo sciatico popliteo esterno.

Nella visita neurologica eseguita il 14 giugno è stato prescritto esame EMG di controllo eseguito il 4 luglio deponente per neuropatia degenerativa assai grave del nervo sciatico destro e a seguito di nuova EMG di controllo eseguita il 21 giugno non eccitabile il nervo peroneo e tibiale destro. Il collegio peritale ha qualificato l’EMG come lo studio diagnostico più importante per la valutazione del danno del nervo periferico. Ha ritenuto che il decorso post-operatorio abbia confermato la lesione nervosa periferica destra a carico del nervo sciatico nella sua componente peroneale (SPE) e tibiale (SPI).

La signora [Omissis] è stata poi visitata all’istituto [Omissis] di Milano il 23 febbraio 2017 e a seguito della visita è stata messa in lista per intervento con prescrizione di farmaci e FKT. Successivamente è stata visitata presso il [Omissis] di Milano, che non ha consigliato l’intervento neurochirurgico. La lesione è stata confermata nella EMG di controllo del 10 agosto 2017.

Il collegio peritale a seguito di esame personalmente condotto ha riscontrato un deficit motorio pressoché totale per quanto attinente lo SPE, oltre a ROT ipovalidi per achilleo e plantare e deficit motorio pari al 50% per quanto riguarda lo SPI.

Si concorda con le conclusioni del collegio peritale, adeguatamente motivate sulla base del diario clinico, dei rilievi obiettivi effettuati nell’immediatezza e dei numerosi e coerenti rilievi sia strumentali che clinici nel periodo successivo.

Si ritiene in conclusione provato che la lesione del nervo sia causalmente ricollegabile al periodo peri-operatorio.

L’incidenza complessiva delle lesioni al nervo durante interventi di protesi all’anca è indicata dal collegio peritale nella misura tra l’1% e il 2%. Nella perizia si legge:

“Le lesioni intraoperatorie sono generalmente causate da errori nel posizionamento del paziente sul letto operatorio o da eccessive azioni di trazione, compressione, lussazione, inserimento e estrazione degli elementi protesici, o anche lesione durante le manovre chirurgiche, da scarsa attenzione nella gestione dei divaricatori, estrusione intrapelvica del cemento (con compressione dell’otturatorio), intrappolamento accidentale di strutture nervose nel corso del posizionamento di viti e cerchiaggi, esposizione delle strutture nervose durante l’accesso chirurgico, in particolare del nervo sciatico, soprattutto in caso di accesso posteriore, del nervo femorale per la via anterolaterale e del gluteo superiore per quella trans-glutea.

Per tali lesioni, in caso di deficit neurologici importanti, la comparsa di una sintomatologia specifica è pressoché immediata.”… “In circa il 40% dei casi la causa del pregiudizio rimane sconosciuta (ovvero non si evidenzia una causa diretta) e si ascrive alla compressione che il nervo può aver subito”.

Il Collegio peritale ha ritenuto, nel caso in esame, che “appare più probabile che non, che la lesione nervosa assonotmesica del nervo ischiatico fu provocata o da eccessiva trazione sui divaricatori o da scorretto posizionamento dei divaricatori. Si specifica inoltre, che entrambe tali momenti lesivi sono riconducibili al primo operatore che posiziona i divaricatori e dispone la entità della divaricazione tissutale.”

Si concorda con le conclusioni del collegio peritale, secondo cui è più probabile che non che l’evento infausto ricollegabile all’operazione fosse prevedibile e prevenibile con un corretto utilizzo dei divaricatori.

Il modello di consenso informato è stato consegnato con ampio anticipo rispetto all’intervento e riportava anche, fra le più frequenti complicanze, la possibilità di lesione del nervo sciatico.

Sulla attribuzione di responsabilità fra struttura ospedaliera e medico

Preliminarmente, i fatti di cui si discute si sono verificati in data 31/05/2016 e dunque in epoca anteriore all’entrata in vigore della cd. Legge Gelli-Bianco, con la conseguenza che anche l’azione coltivata nei confronti del medico è da qualificarsi come di natura contrattuale.

La struttura ospedaliera si è costituita in giudizio proponendo domanda di regresso nei confronti del dott. [Omissis] per l’intera somma dovesse essere costretta a pagare alla ricorrente, ritenendosi esente da responsabilità per essere la lesione conseguenza del solo operato del medico convenuto primo operatore, senza che vi sia alcun addebito da muovere alla struttura essendovi indicazione all’intervento ed essendo la protesi applicata fra quelle approvate dal Ministero.

Ha sostenuto che l’azione di regresso può essere esercitata in via anticipata/condizionata (v. Cass. N. 13087/2010) – nella norma ex art. 1299 e 2055 c.c. (Trib. Milano G.U. Dr. Spera, 24.6.2010 n. 8333) ed ha conseguentemente richiesto il differimento della prima udienza per l’estensione del contraddittorio nelle forme della chiamata di terzo salvo ritenuta superflua.

Il dott. [Omissis] ha eccepito il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’attrice, in quanto rimarrebbe non dimostrato (ma semplicemente ritenuto “più probabile che non”) che la lesione fosse ascrivibile ad una precisa manovra chirurgica effettuata dal dott. [Omissis] o più in generale alla fase operatoria/assistenziale.

A sua volta ha proposto domanda riconvenzionale trasversale di rivalsa nei confronti degli Istituti Clinici [Omissis]., previo accertamento della loro responsabilità esclusiva o concorrente.

Dovendosi qualificare la responsabilità di entrambe i convenuti come contrattuale, una volta individuato l’inadempimento professionale qualificato considerato come causa della lesione, la struttura sanitaria e il medico sono onerati, ai fini di esimersi da responsabilità, di provare che il comportamento professionale qualificato oggetto di censura non si sia verificato o non sia loro riferibile o imputabile o non abbia dato causa all’evento.

La valutazione del collegio peritale secondo cui il danno si sarebbe verificato a causa di una eccessiva trazione sui divaricatori o per uno scorretto posizionamento degli stessi, sia pur effettuata secondo la regola di natura civilistica del “più probabile che non” consente di ritenere provata la circostanza.

Parti convenute non hanno addotto alcuna circostanza a sostegno invece dell’avvenuto corretto posizionamento dei divaricatori, per cui non hanno assolto all’onere della prova a loro carico.

Sulla clausola di esonero da responsabilità

L’art. 7.7 del contratto di incarico libero professionale tra il dott. [Omissis] e gli Istituti Clinici [Omissis]. (doc. A n. 3) così recita: “Il professionista si obbliga a tenere l’Istituto sollevato da ogni e qualsiasi responsabilità civile e/o penale per eventuali danni da lui provocati a sé stesso e/o a terzi nell’esecuzione del presente contratto, addebitabili a colpa, colpa grave o dolo.

Il medico è personalmente ed esclusivamente responsabile degli eventuali danni causati agli assistiti in conseguenza delle prestazioni professionali dallo stesso personalmente svolte, con esclusione di ogni responsabilità in capo alla struttura. In relazione a quanto sopra, a copertura dei relativi rischi, il professionista si impegna a stipulare con un primario istituto assicurativo, prima dell’effettivo inizio dell’attività una o più polizze assicurative annuali a primo rischio sulla responsabilità civile e professionale, con la previsione di un massimale unico non inferiore ad €750.000,00 per ogni sinistro. …”

Il dott. [Omissis] ha eccepito la nullità del patto di manleva contenuto nel contratto di collaborazione coordinata e continuativa vigente tra le parti.

All’eccezione di nullità ha aderito la terza chiamata[Omissis].

Il tribunale aderisce al citato orientamento giurisprudenziale che ritiene la nullità della clausola per i seguenti motivi:

– per indeterminatezza dell’oggetto in quanto è impossibile individuare a priori le conseguenze patrimoniali da esso scaturenti, la clausola non soddisfa il requisito di determinabilità sancito dall’art. 1346 c.c.

– per carenza di causa: esso si caratterizza per un evidente squilibrio in favore della Struttura e per l’assenza di un apprezzabile interesse per il Sanitario, che assume in via preventiva un obbligo indefinito senza alcuna diretta contropartita; per converso risulta unicamente finalizzato a traslare sulla parte debole del rapporto le conseguenze patrimoniali della responsabilità della parte forte.

– perché non supera il vaglio di meritevolezza ex art. 1322 c.c., che viceversa richiede che il contratto miri a soddisfare gli interessi (meritevoli) di entrambe le parti l’unico rischio d’impresa assunto dalla struttura sarebbe rappresentato esclusivamente dal rischio di insolvenza del professionista

La domanda di manleva presentata dalla struttura sulla base di tale clausola conseguentemente deve venire rigettata.

Sulla gradazione delle responsabilità

In assenza di prova (il cui onere grava sulla struttura sanitaria adempiente) in ordine all’assorbente responsabilità del medico intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile “malpractice”, dovrà, pertanto, farsi applicazione del principio presuntivo di cui sono speculare espressione l’art. 1298, secondo comma, c.c. e l’art. 2055, terzo comma, cod. civ”. (Corte di Cassazione 11 novembre 2019 n. 28987)

La ratio sottesa all’orientamento giurisprudenziale citato è che l’eventuale condotta negligente del medico non può essere isolata dal complesso delle scelte operate dalla struttura di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi.

Il sottoscritto giudice condivide pienamente questo orientamento. Infatti, non sono indifferenti nella determinazione del margini percentuali di errore, ad esempio, molti aspetti difficilmente quantificabili e tuttavia riferibili sicuramente alla struttura quali gli orari di lavoro (siano prefissati ovvero indirettamente determinati dalle condizioni contrattuali) e la conseguente eventuale stanchezza dei medici e dei sanitari, il numero di operazioni che devono venire eseguite nella giornata e pertanto la velocità con la quale ciascuna deve in media concludersi, il numero e le qualifiche del personale che assiste il chirurgo sia al momento dell’operazione sia nell’organizzazione complessiva del servizio, la qualità degli strumenti posti a disposizione etc.

È evidente, come massima di comune esperienza, che un professionista riposato, che abbia tutto il tempo a disposizione per eseguire l’operazione a regola d’arte e che non debba preoccuparsi di null’altro che di eseguirla correttamente perché può fare affidamento su una organizzazione impeccabile commetterà in media meno errori rispetto a un professionista che operi all’interno di un’organizzazione che non garantisca condizioni ideali di lavoro.

Sulla sussistenza di un rapporto di sostanziale dipendenza – conseguenze

Il dott. [Omissis] ha eccepito la propria sostanziale dipendenza dalla struttura, con la quale è formalmente legato da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa ed ha conseguentemente chiesto di venire equiparato, nelle tutele, alla categoria dei lavoratori dipendenti.

Il dott. [Omissis] ha argomentato nel senso che gli Istituti Clinici [Omissis]., essendo associati AIOP (Associazione Italiana di Ospedalità Privata), sarebbero obbligati ex art. 25 del CCNL (prodotto sub doc. B n.4), a tenere indenne i medici suoi dipendenti mediante la stipula di polizza assicurativa a copertura del rischio collegato allo svolgimento delle loro prestazioni professionali.

Ha pertanto concluso nel senso che eventuale danno da “malpractice” dovrà essere sostenuto dalla struttura e coperto, in primo rischio, esclusivamente dall’assicurazione eventualmente stipulata dagli Istituti Clinici [Omissis].

L’assicurazione terza chiamata ha aderito alla prospettazione del dott. [Omissis], sostenendo che il rapporto fra le parti non avesse natura libero-professionale (come risulterebbe dal nomen iuris del contratto) bensì nella sostanza natura subordinata e ne ha chiesto l’accertamento incidenter tantum.

Parte attrice ha eccepito l’inammissibilità della domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro tra il dott. [Omissis] e gli Istituti Clinici [Omissis]. per difetto di competenza per materia.

In via preliminare, l’eccezione di inammissibilità sollevata da parte attrice non merita accoglimento, trattandosi di questione esaminata solo incidenter tantum.

Nel merito, la prospettazione del dott. [Omissis] e della sua compagnia assicuratrice sono fondate. Ricorrono infatti nel caso concreto tutti gli indici sistematici valorizzati in giurisprudenza per ritenere sussistere un rapporto di dipendenza tra medico e struttura sanitaria quali “la collaborazione sistematica e non occasionale, l’osservanza di un orario predeterminato, il versamento, a cadenze fisse, di una retribuzione prestabilita, il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro, l’assenza, in capo al lavoratore, di una sia pure minima struttura imprenditoriale e di rischio economico” (Cass. 27 maggio 2013, n. 13106).

Il dott. [Omissis] lavorava esclusivamente per l’Istituto convenuto, in forza di clausola contrattuale che vietava attività in concorrenza, e veniva remunerato con un compenso annuo lordo erogato sotto forma di mensilità posticipate, indipendentemente dal numero o dalla qualità delle operazioni chirurgiche effettuate.

Era obbligato a garantire pronta reperibilità secondo le indicazioni del Direttore Sanitario e sottostava a turni di servizio coordinandosi con gli altri medici sotto la supervisione della Direzione Sanitaria. Le modalità organizzative erano modificabili solamente previa pattuizione per iscritto con il direttore dell’Istituto. Doveva garantire un numero minimo di ore settimanali di presenza.

Il CCNL (doc. 3) stipulato dall’AIOP (“Associazione Italiana di Ospedalità Privata”), ente a cui aderiscono gli Istituti Clinici [Omissis]. (doc. 4), con riferimento al tema della responsabilità professionale del medico, all’art. 25 prevede che:

“Le Strutture Sanitarie debbono garantire il medico, relativamente all’attività di servizio, mediante polizza di assicurazione adeguata alla tipologia della Struttura presso una società assicuratrice di importanza nazionale, per la responsabilità civile derivante da eventuali azioni giudiziarie promosse da terzi, ivi comprese le spese globali di giudizio, fino a copertura assicurativa, senza diritto di rivalsa, salvo il caso di colpa grave o dolo decretati con sentenza passata in giudicato”.

L’evidenza della esclusione di rivalsa è di questo giudice, trattandosi di previsione di centrale importanza, anche in questo giudizio.

La clausola riconduce nel normale rischio di impresa della struttura i sinistri causati da colpa lieve dei dipendenti, in quanto sostanzialmente, nei grandi numeri, ineliminabili come dimostrano le statistiche anche estere.

Sotto diverso profilo, il mancato assolvimento da parte della Struttura sanitaria dell’obbligo di procurare al medico una adeguata garanzia assicurativa per la r.c. terzi non esime la stessa da responsabilità nei confronti del medico né tantomeno consente alla stessa di agire in rivalsa nei suoi confronti al di fuori delle ipotesi previste, di responsabilità connotata da dolo o colpa grave che abbia formato oggetto di accertamento con sentenza passata in giudicato.

La conseguenza di tale inadempimento non potrà che essere la responsabilità in proprio della struttura.

Nel caso concreto non è ravvisabile colpa grave del medico né tantomeno dolo (che oltre a sottostare a ben altro onere probatorio non è mai stato allegato).

L’accertamento del nesso causale nel presente giudizio è avvenuto in applicazione del criterio del “più probabile che non” pertanto con accertamento presuntivo, anche riferito all’elemento soggettivo.

Inoltre, è evidente che la complicanza concretamente verificatasi, pur se prevedibile, non sia semplice da prevenire nel 100% dei casi, altrimenti non continuerebbe a verificarsi in media nel 1-2% delle operazioni chirurgiche.

Trattandosi di operazioni molto comuni, tali percentuali devono considerarsi elevate in quanto significano che molto difficilmente, nella vita professionale di un chirurgo, sarà possibile evitare di provocare una lesione nervosa ed anzi, sarà probabile che un chirurgo, pur rimanendo nella media e quindi in assenza di qualunque anomalia, produrrà nel corso pluridecennale della sua attività professionale, più di una lesione.

Tali considerazioni di per sé escludono di poter qualificare come colpa grave il non corretto posizionamento dei divaricatori indicato come probabilmente accaduto.

In altri termini, pur essendo le singole operazioni chirurgiche qualificabili come non di particolare complessità e routinarie, osservando i numeri percentuali risultanti dalle perizie e non contestati risulta essere estremamente difficile, nel corso di una carriera, evitare di commettere almeno un errore con conseguenze analoghe a quelle oggetto del presente giudizio.

Escludere la manleva del chirurgo (sia dalla propria assicurazione professionale sia per effetto della partecipazione dell’Istituto) significherebbe esporlo a vedere annullato il compenso per l’attività professionale essenziale e di elevata competenza dallo stesso svolta nel corso della sua vita professionale.

In conclusione, il dott. [Omissis] – tenuto al risarcimento in virtù della solidarietà nei confronti della danneggiata – ha il diritto di venire pienamente manlevato di quanto fosse costretto a corrispondere all’attrice dalla struttura convenuta, per aver agito senza dolo o colpa grave.

Sull’eccezione sollevata da[Omissis] spa: polizza a secondo rischio

La terza chiamata ha sollevato eccezione di inoperatività della polizza se non a secondo rischio, citando la seguente clausola contrattuale:

2) Qualora l’attività del Medico assicurato sia svolta in regime di dipendenza e/o intramoenia allargata all’interno di ASL, Casa di Cura, Ente Ospedaliero o altra struttura sanitaria, tenuti egualmente in responsabilità, la presente garanzia si intende operante in secondo rischio, oltre il massimale assicurato dall’Ente stesso ovvero, in mancanza di copertura assicurativa dell’Ente, per la sola ipotesi di insolvenza del medesimo Ente.

3) In caso risultino stipulate altre assicurazioni con altri Assicuratori dall’Assicurato e/o da strutture pubbliche o private abilitate all’erogazione dell’assistenza sanitaria, la presente polizza opera in eccedenza ai massimali pagati dalle altre assicurazioni e sino a concorrenza dei massimali garantiti dalla presente polizza.

4) Nel caso la ASL, la Casa di Cura o l’Ente Ospedaliero, ovvero i relativi assicuratori, agiscano in rivalsa nei confronti del Medico assicurato per danni da questi involontariamente cagionati per colpa grave, la presente assicurazione si intende operante in primo rischio limitatamente alla rivalsa”.

La inoperatività della polizza è eccepita a prescindere dall’esistenza o meno di una polizza della Struttura sanitaria valevole a favore del dott. [Omissis]

L’eccezione non è meritevole di accoglimento in quanto il dott. [Omissis] ha legittimamente confidato nella sussistenza di copertura e ha provveduto a corrispondere i relativi premi che sono stati quantificati unilateralmente dall’assicurazione in rapporto al rischio più elevato corrispondente all’apparente contratto di collaborazione e non in rapporto al minor rischio corrispondente a un contratto di lavoro dipendente.

Escludere la copertura assicurativa in conseguenza dell’accertamento incidenter tantum qui condotto della sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente si risolverebbe altrimenti in una locupletazione ingiustificata da parte dell’assicurazione che avrebbe ricevuto i premi più elevati rapportati a una assicurazione libero professionale “a primo rischio” e poi, solo dopo il verificarsi del sinistro, eccepirebbe il beneficio della copertura di lavoratore dipendente “a secondo rischio”.

La domanda di manleva proposta dal dott. [Omissis] nei confronti della propria compagnia assicuratrice deve pertanto ritenersi fondata.

Irrilevanza della questione relativa alla sussistenza di polizza degli Istituti [Omissis].

La difesa di parte convenuta Istituti Clinici [Omissis]. S.p.A. ha affermato l’esistenza di una polizza con AIG operante anche a favore del personale medico, dipendente. Tuttavia, non ha chiesto di venire autorizzata a chiamarla in giudizio, verosimilmente per la previsione di una franchigia di 2 milioni di euro.

La questione circa l’esistenza (o meno) di una polizza della struttura è pertanto irrilevante. Quanto rileva è l’esclusione del diritto di rivalsa verso il proprio assicurato nei casi di colpa lieve.

Sull’eccezione di limitazione di copertura per via della solidarietà

Il dott. [Omissis] ha eccepito l’invalidità della clausola contenuta all’art. 16 comma 3 n. 1 delle condizioni di contratto, secondo cui l’assicurazione vale per la sola quota di responsabilità diretta dell’assicurato con esclusione di ogni responsabilità derivantegli in via solidale”

Tale clausola è sostanzialmente ripresa all’art.18 ove si legge che “l’assicurazione è limitata alla sola quota di responsabilità diretta dell’assicurato con esclusione di qualsiasi responsabilità derivantegli in via di solidarietà.”

Tali clausole, poste nell’esclusivo interesse della compagnia assicuratrice, nella sostanza possono privare di concreta tutela l’assicurato.

Nel caso di più soggetti obbligati in solido al risarcimento ex art. 2055 c.c. (per l’unicità del fatto dannoso) ovvero in quanto coobbligati in solido in forza della medesima obbligazione di natura contrattuale (quale il contratto di spedalità) ciascun coobbligato è responsabile per l’intero verso il danneggiato.

L’assicuratore di uno dei coobbligati è tenuto a manlevare il proprio assicurato per l’intero della obbligazione risarcitoria sullo stesso ricadente che costituisce la misura dell’esposizione dell’assicurato nei confronti del danneggiato.

Quanto l’assicurato deve corrispondere al danneggiato rappresenta la diminuzione patrimoniale che il contratto di assicurazione è finalizzato ad indennizzare.

Escludere la copertura assicurativa inficia la stessa causa del contratto di assicurazione della responsabilità civile, la cui funzione economico-sociale consiste nel tenere indenne il patrimonio dell’assicurato dalle conseguenze che derivano dall’esperimento in suo danno dell’azione risarcitoria.

La Suprema Corte nel 2012 nelle sentenze nn. 8686 e 20322 ha affrontato la questione e reso il seguente principio di diritto “In tema di assicurazione della responsabilità civile, nel caso in cui l’assicurato sia responsabile in solido con altro soggetto, l’obbligo indennitario dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato non è riferibile alla sola quota di responsabilità dell’assicurato operante ai fini della ripartizione della responsabilità tra i condebitori solidali, ma si estende potenzialmente a tutto quanto l’assicurato deve pagare al terzo danneggiato nei limiti del massimale, atteso che una diversa interpretazione contrasterebbe con il tenore letterale dell’art. 1917 c.c. e priverebbe di concreta tutela l’assicurato rispetto alla quota di responsabilità posta a carico del condebitore solidale, nel caso in cui quest’ultimo sia insolvibile o di difficile solvibilità”.

Il caso all’esame della Corte di legittimità era un infortunio sul lavoro e la responsabilità era stata ripartita in percentuali diverse fra datore di lavoro e committente. La Corte d’Appello aveva riconosciuto all’impresa il diritto alla garanzia assicurativa non per l’intero importo ma solo relativamente alla quota di responsabilità a lei attribuita. Nella motivazione ha dato rilievo al fatto che l’assicurata avrebbe comunque il diritto di rivalersi nei confronti dell’altro responsabile.

La Corte di Cassazione ha ritenuto la pronunzia di merito violasse l’art.1917 c.c., secondo cui nell’assicurazione della responsabilità civile “l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi deve pagare a un terzo in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto” senza porre alcuna distinzione limitativa.

Ha inoltre sottolineato come la diversa interpretazione censurata priverebbe di concreta tutela l’assicurato nel caso in cui il corresponsabile fosse insolvibile o di difficile solvibilità.

Ha richiamato l’art.1916 c.c. che consente alla società assicuratrice di rivalersi sul corresponsabile non assicurato esercitando diritto di regresso ex artt.1299 o 2055 c.c.

In senso conforme, la sentenza resa dalla Corte di legittimità nel medesimo anno, n.20322/2012 nella quale ha ribadito il medesimo principio motivandolo più approfonditamente e chiarendo che si estende anche alle spese legali che l’assicurato abbia corrisposto al danneggiato vittorioso, in quanto accessorie all’obbligazione risarcitoria.

L’obbligazione indennitaria dell’assicurazione ha la medesima estensione e natura dell’obbligazione principale e deve venire conformata sull’obbligazione dell’assicurato.

Nella motivazione della sentenza n.20322/2012 si ritiene che “l’estensione dell’obbligo indennitario dell’assicuratore all’intero importo dell’obbligazione solidale dell’assicurato derivi direttamente dalla funzione del contratto di assicurazione, come oggettivata nella lettera dell’art. 1917 cod. civ”.

La Corte ha collegato esplicitamente tale principio, con estesa motivazione, alla causa del contratto vale a dire alla funzione del contratto di assicurazione, come oggettivata nella lettera dell’art. 1917 cod. civ.: “Il contratto di assicurazione della responsabilità civile, nell’ambito delle assicurazioni contro il danno al patrimonio, svolge la funzione di liberare il patrimonio dell’assicurato dall’obbligazione di risarcimento; con la conseguenza che l’assicuratore risponde delle somme che l’assicurato è tenuto a corrispondere, quale responsabile ai sensi di legge, al terzo per i danni arrecati. Per assolvere a tale funzione la prestazione di garanzia dell’assicuratore dedotta nel contratto non può non essere conformata dall’obbligazione stessa dell’assicurato che, nel caso di risarcimento da illecito imputabile a più persone, è solidale (art. 2055, primo comma cod. civ.).

La copertura assicurativa non può che riferirsi alla obbligazione assicurata, venendo meno, altrimenti, la stessa causa del contratto di assicurazione, restando l’assicurato privo di tutela per la quota di responsabilità a carico del condebitore solidale, cui è tenuto per legge, sia per l’anticipo sia per il caso in cui il condebitore sia insolvibile o di difficile solvibilità. Infatti, la sola prestazione dell’assicuratore in grado di realizzare la funzione del contratto di assicurazione di responsabilità civile è proprio quella di liberare il patrimonio dell’assicurato dall’obbligazione di risarcimento.

Nel caso in esame alla Corte, la compagnia assicuratrice aveva sostenuto che la ricomprensione per intero dell’obbligazione solidale nella copertura assicurativa sarebbe qualificabile come un “ampliamento della copertura assicurativa”, possibile solo in presenza di espressa previsione contrattuale, in quanto comporterebbe una alterazione del rischio dedotto in contratto.

La Corte sul punto ha formulato una importante considerazione che qui si condivide: non sussiste alcun ampliamento della copertura assicurativa, al contrario, l’ipotesi “normale” di rischio è proprio quella di responsabilità dell’assicurato per l’intero danno e l’ipotesi di una corresponsabilità altrui può unicamente “giocare preventivamente nella direzione della riduzione del rischio”.

Diversamente opinando, la tutela dell’assicurato verrebbe a dipendere dalla scelta dell’attore: nei casi in cui l’attore ha citato in giudizio solo uno dei corresponsabili, può chiedere a questi l’intero danno e un accertamento di corresponsabilità di terzi è necessariamente escluso, in assenza di contraddittorio, per cui la domanda di manleva proposta dall’assicurato potrebbe venire accolta sull’intera somma (salve diverse eccezioni).

D’altro canto, nei casi in cui l’attore ha scelto di chiamare in causa anche uno o più altri soggetti e questi vengano ritenuti in sentenza corresponsabili, la medesima domanda di manleva sarebbe accolta solo in parte, defalcando la percentuale attribuita ai corresponsabili non assicurati.

La conseguente irragionevole disparità di trattamento è evidente.

Sotto diverso profilo, ritenere valida la clausola di esclusione di responsabilità da solidarietà comporta un’ulteriore conseguenza contraria ai principi del giusto processo: quando è chiamato in causa solo uno dei possibili corresponsabili questi, per timore di perdere la propria copertura assicurativa, ben si guarderà di chiedere di venire autorizzato a chiamare in causa eventuali terzi.

La dissuasione alla chiamata in causa di tutti i corresponsabili per un medesimo danno è un ostacolo al giusto processo, volto ad accertare il fatto nella sua completezza e a distribuire le responsabilità secondo il grado di colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Ritenere valida la clausola di limitazione della responsabilità per solidarietà inoltre favorisce strategie processuali che concentrino l’azione contro l’unico responsabile assicurato (sovente il professionista, soprattutto in materia di appalti), con sostanziale esenzione dei responsabili non assicurati, in violazione sia pure indiretta del principio di eguaglianza delle parti di fronte alla legge.

Un inciso non strettamente pertinente ma rilevante per quanto segue: meglio sarebbe se assicurazione e assicurato individuassero i soggetti che si possano agevolmente prevedere sarebbero corresponsabili di un eventuale azione risarcitoria quando – come di frequente – gli stessi siano noti a priori, quali la struttura sanitaria presso la quale opera in prevalenza il medico ovvero, negli appalti, l’impresa costruttrice e il committente. L’affidabilità di tali soggetti potrebbe entrare nella valutazione preventiva di rischio e nella conseguente scelta a contrarre da parte del professionista e nella quantificazione del premio.

Ne conseguirebbero probabilmente anche benefici ai fini della giusta durata del processo in quanto molte controversie si potrebbero prevenire e definire in via stragiudiziale. Infatti, le compagnie assicuratrici hanno a loro disposizione strumenti ben più efficaci e sofisticati di quelli normalmente a disposizione dei privati per valutare i rischi di una possibile collaborazione e il professionista loro cliente assicurato potrebbe beneficiare di tale valutazione nella sua scelta dei soggetti con i quali collaborare. Ad esempio, il DL beneficerebbe di valutazione del rischio delle imprese con le quali lavora e, in caso fosse elevato, potrebbe pretendere che le stesse si assicurassero a loro volta, prima di accettare l’incarico.

Infine, ritornati ad una valutazione più strettamente attinente a questo caso, il giudice nella interpretazione delle clausole contrattuali quando permanga un dubbio è tenuto a riportarsi ai principi generali dell’ordinamento. Principi che, come noto, evolvono nel tempo sia grazie alle pronunce giurisprudenziali sia a seguito di riforme legislative.

L’interpretazione cui si presta adesione qui è suffragata dai principi di cui alla riforma Gelli Bianco che, sia pur non direttamente applicabile, ha nondimeno posto in essere una modifica profonda del sistema normativo, volta a limitare i casi di corresponsabilità dei professionisti e ad aumentare la copertura assicurativa per le strutture sanitarie.

La Corte non ha nelle citate pronunzie non ha affrontato direttamente la questione della derogabilità convenzionale tuttavia, secondo i principi generali, il vizio funzionale costituito dalla mancanza di causa non è sanabile e comporta la nullità di qualunque clausola contraria. Questa appare la soluzione più coerente con il sistema.

Nel presente caso vi è una ulteriore ragione di inefficacia della clausola in quanto la stessa, ove non si ritenesse nulla, sarebbe indubbiamente vessatoria.

Il contratto assicurativo fra il dott. [Omissis] e[Omissis] è stato concluso secondo clausole unilateralmente determinate dalla compagnia assicuratrice e nel caso in esame non risulta che l’assicurato abbia espresso un consenso effettivo e informato alla limitazione di responsabilità derivante dalla solidarietà. Perché di limitazione della responsabilità si tratta e non di individuazione del rischio assicurato, come sopra motivato, il condebitore solidale è responsabile al 100% e l’esclusione di integrale copertura per il caso venga riconosciuto altro corresponsabile è una limitazione della “normale” responsabilità dell’assicuratore, che come tale va chiarita ed accettata.

Si osserva che nella intestazione della polizza sono evidenziati gli articoli espressamente approvati ai sensi degli artt.1341 e 1342 c.c., fra cui non sono ricompresi né l’art.16 né l’art.18, contenenti la clausola di limitazione della responsabilità in conseguenza della solidarietà.

Questo sarebbe di per sé sufficiente ad escludere l’operatività della clausola, di indubbia natura vessatoria.

IMMAGINE [Omissis]

Si osserva, inoltre, che la compagnia assicuratrice non ha chiarito il significato e le conseguenze della limitazione in termini normalmente comprensibili a un assicurato che sia professionista in tutt’altro settore rispetto a quello legale: la previsione è scarna e non ne sono chiarite ipotesi applicative e conseguenze.

Infine, non è offerta al contraente alcuna scelta di optare per una copertura anche per il caso in cui vi siano altri corresponsabili, a fronte di un diverso premio.

La clausola per tutte le considerazioni che precedono non è efficace e deve conseguentemente venire accolta la domanda di manleva proposta dal dott. [Omissis]

Sulla quantificazione del danno non patrimoniale

La durata dell’inabilità temporanea totale di origine iatrogena è da quantificarsi come segue:

60gg al 100%

30gg al 75%

30gg al 50%

60gg al 25%

La sofferenza temporanea è da valutarsi pari a 4 in una scala da 1 a 5.

Il Collegio peritale ha indicato come di origine iatrogena l’intera inabilità temporanea assoluta, pur se la signora [Omissis] anche a seguito di un decorso post-operatorio senza complicanze avrebbe comunque dovuto affrontare un periodo di invalidità temporanea e di rieducazione motoria.

Il grado di sofferenza nelle lesioni al sistema nervoso, come noto e come valutato in perizia, è elevato.

Il Tribunale considerati entrambe gli aspetti, nella scelta del valore all’interno dei parametri comunemente applicati, pur riconoscendo un livello di dolore elevato, non liquida il danno da invalidità temporanea nella misura massima consentita ma nella misura di €120,00 giornaliere.

A titolo di danno biologico di natura temporanea vengono in conclusione liquidate le seguenti somme:

60gg al 100% = 60×120 = €7.200,00

30gg al 75% =30 x 90 = €2.700,00

30gg al 50% =30×60 = €1.800,00

60gg al 25% =60×30 =€1.800,00

In totale =€13.500,00

Il Collegio peritale ha valutato il danno biologico permanente di natura iatrogena in misura pari al 19-20% con sofferenza permanente pari a 3 in una scala da 1 a 5. É pertanto residuata, oltre a una difficoltà a deambulare autonomamente, anche una situazione di sofferenza nevralgica. Tale sofferenza fisica è stata valutata nella perizia come danno biologico per cui costituirebbe una duplicazione risarcitoria ingiustificata tenerne conto anche in sede di c.d. personalizzazione del danno, considerato il fatto che nella quantificazione del danno è già ricompresa la sofferenza menomazione – correlata.

Parti convenute hanno chiesto di determinare l’incidenza del pregresso stato morboso della signora [Omissis] in termini di differenziale, con conseguente delimitazione del quantum del risarcimento.

Tuttavia, i periti hanno già espresso le loro valutazioni in termini di “danno di natura iatrogena” per cui per le loro competenze specifiche in materia medico-legale non si ha motivo di ritenere che tale scorporo non sia già stato effettuato dai Consulenti.

La signora [Omissis] all’epoca dei fatti (2016) aveva 78 anni.

Della particolare gravosità di perdere l’autonomia mantenuta sino alla età delicata a ridosso degli ottant’anni e soffrire dolori superiori a quelli normali nella vecchiaia, si considera la lesione pari al 20% tenendo conto della particolare sofferenza menomazione correlata, fra i due valori indicati dai CTU (19-20 %). In applicazione delle tabelle elaborate dall’Osservatorio per la Giustizia civile presso il Tribunale di Milano, il risarcimento deve liquidarsi nella misura complessiva di €54.832,00 (di cui €14.514,00 per sofferenza menomazione-correlata).

Parte attrice ha chiesto anche venga applicata la c.d. “personalizzazione del danno”. La mera incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni non costituisce tuttavia una conseguenza anomala o eccezionale ma l’ordinario effetto ricollegabile secondo l’id quod plerumque accidit a una diminuzione attorno al quinto della propria integrità psicofisica.

Della sofferenza intesa come dolore correlato alle lesioni, già si è motivato nel senso che il risarcimento sia ricompreso nella misura di base e come si sia scelto fra i due valori di infermità permanente indicati dai CTU quello più elevato.

Si ritiene pertanto che la somma sopra liquidata sia comprensiva di tutte le voci di danno per le quali è chiesto il risarcimento.

In conclusione, circa il danno non patrimoniale, è dovuta alla signora [Omissis] la somma complessiva di €68.332,00, (pari a €13.500,00 + €54.832,00).

Su tale somma, liquidata all’attualità, devalutata all’epoca del sinistro e via via rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura legale fino alla data della pubblicazione della presente sentenza. Sulla somma così complessivamente determinata sono dovuti gli interessi legali dalla pubblicazione al saldo.

Sul danno patrimoniale

Le spese mediche documentate e riconosciute dal collegio peritale ammontano ad € 1.196,65 (doc. E).

La signora [Omissis] successivamente all’intervento ha acquistato una nuova autovettura, anticipando l’importo di € 5.000,00 e stipulando un contratto di finanziamento per il residuo importo di € 10.900,00 (cfr. doc. A, sub doc. 14 – contratto di finanziamento).

Ha chiesto di venire risarcita dell’intera somma spesa per tale acquisto sostenendo che lo stesso si sia reso necessario per consentirle di guidare nonostante le lesioni, non potendo modificare il veicolo di sua proprietà alla luce delle caratteristiche tecniche dello stesso (cfr. doc. G – libretto di circolazione).

Ha inoltre chiesto la rifusione dei costi sostenuti per adattare la nuova vettura alle sue mutate condizioni fisiche, quantificati in € 738,40 (cfr. doc. A, sub doc. 15 – fattura del 24.01.2018). La domanda di rimborso delle spese sostenute per l’acquisto di una nuova autovettura deve venire rigettata. Infatti, quale corrispettivo del pagamento del prezzo l’attrice gode della proprietà di un veicolo nuovo, oltre a poter disporre quantomeno quale valore economico della vettura precedentemente utilizzata.

Costituisce invece un danno risarcibile il costo sostenuto e documentato per adattare la nuova vettura, pari ad €738,40 in quanto in connessione causale diretta con il sinistro come riconosciuto anche dai periti.

È altresì risarcibile il costo del corso di Scuola Guida per acquisire la specifica patente per l’utilizzo del nuovo veicolo, così come modificato, per un totale di 9 ore di guida, come documentato per complessivi €360,00 (cfr. doc. A, sub doc. 13 – ricevuta n. 1 del 01.03.2018). Pertanto, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale va riconosciuta la complessiva somma di €2.295,05 (composta da €1.196,65 + €738,40 + €360,00).

Su tale somma, trattandosi di debito di valore, sono dovuti interessi e rivalutazione che, in via equitativa, si calcolano unitariamente con decorrenza dal 1° settembre 2016.

Sulla domanda di condanna ex art.96 c.p.c.

Non sussistono i presupposti per tale condanna, ravvisandosi l’esistenza di questioni controverse fra le parti non di natura pretestuosa e affatto semplici da dirimere.

Le parti convenute e terze chiamate hanno esercitato il loro diritto di difesa sollevando complesse eccezioni in una materia in continua evoluzione normativa e giurisprudenziale.

Sulle spese

Le spese legali sostenute dall’attrice, necessarie per ottenere soddisfazione del suo diritto, seguono la soccombenza e vengono poste a carico dei convenuti in solido fra loro e liquidate come da dispositivo.

Anche sulle spese legali va accolta la domanda di manleva proposta dal dott. [Omissis] nei confronti della sua compagnia assicuratrice e la ripartizione della responsabilità interamente a carico degli Istituti [Omissis] nei rapporti interni.

Non risulta provata la spesa indicata dalla signora [Omissis] per la relazione medica stragiudiziale del dott. [Omissis], pari a €2.440,00, mentre il collegio peritale ha rinvenuto spesa di €250,00 per parere medico legale;

È dovuta la refusione delle spese sostenute dalla signora [Omissis] nel procedimento di ATP, in quanto funzionali alla tutela del diritto dell’attrice. Risultano provati costi per la consulenza tecnica di parte nel procedimento ex art. 696bis cpc, pari a € 2.013,00 (come da fattura n.1/2019 dott. M.E. per assistenza medico-legale prodotta doc. C); compenso del Collegio peritale come liquidato dal tribunale nella misura complessiva di €4.873,97 (€3.995,06 oltre accessori di legge ai due periti come da decreto prodotto sub doc. D);

La liquidazione delle spese legali avviene secondo i nuovi parametri del D.M. 55/2014 recante determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art.13 comma 6 della legge 31 dicembre 247. Non si ritiene di applicare l’aumento per manifesta fondatezza in quanto la resistenza in giudizio, come sopra motivato, era oggettivamente complessa e nella determinazione del valore si tenuto conto del fatto che l’attività di studio svolta in sede di ATP per l’aspetto medico fosse sovrapponibile.

[Omissis] è tenuta a rifondere le spese legali sostenute dal dott. [Omissis] suo assistito, secondo il principio della soccombenza.

Le spese legali vengono compensate fra le altre parti, considerata la relativa novità delle questioni.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1. Condanna Istituti Clinici [Omissis]. e dott. [Omissis], in solido tra loro, al pagamento in favore della signora [Omissis] della somma di €68.332,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre a interessi calcolati come in motivazione;

2. Condanna Istituti Clinici [Omissis]. e dott. [Omissis], in solido tra loro, al pagamento in favore della signora [Omissis] della somma di €2.295,05 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre a interessi e rivalutazione calcolati come in motivazione;

3. Condanna gli Istituti Clinici [Omissis]. a rifondere il dott. [Omissis] integralmente per quanto avesse corrisposto alla signora [Omissis] in esecuzione della presente sentenza a titolo risarcitorio e per spese;

4. Condanna altresì Istituti Clinici [Omissis]. e dott. [Omissis] a rimborsare alla signora [Omissis] le spese di lite e tecniche sostenute sia per il procedimento di istruzione preventiva che si liquidano in €250,00 per parere medico legale, €2.013,00 per CTP ed €4.873,97 per CTU

€286,00 per spese ed €6.885,00 per compensi; sia per il presente procedimento contenzioso ordinario, che si liquidano in €406,50 per spese ed €13.430,00 per compensi. Per entrambe i procedimenti, oltre a rimborso spese generali nella misura del 15% ed oltre a i.v.a. e c.p.a. se dovute come per legge.

5. In accoglimento della domanda di manleva proposta dal dott. [Omissis] nei confronti di[Omissis] spa – Compagnia di Assicurazioni condanna quest’ultima a tenere indenne il dott. [Omissis] di quanto eventualmente corrisposto in esecuzione della presente sentenza a titolo sia risarcitorio che di spese legali e tecniche;

6. Condanna[Omissis] a rifondere al dott. [Omissis] le spese legali sostenute che si liquidano in €13.430,00 per compensi, oltre spese generali 15%, IVA e CPA;

7. Dichiara compensate le spese di lite tra le residue parti;

Documenti & materiali

Scarica Trib. Monza, Sez. II, 31/01/2022

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