Natura accusatoria del procedimento disciplinare e conseguenze sul regime della prova C.N.F., 29/07/2019, n. 67

By | 31/01/2020

C.N.F., 29/07/2019, N. 67

«Il procedimento disciplinare è di natura accusatoria, sicché va accolto il ricorso avverso la decisione del Consiglio territoriale allorquando la prova della violazione deontologica non si possa ritenere sufficientemente raggiunta, per mancanza di prove certe o per contraddittorietà delle stesse, giacché l’insufficienza di prova su un fatto induce a ritenere fondato un ragionevole dubbio sulla sussistenza della responsabilità dell’incolpato, che pertanto va prosciolto dall’addebito, in quanto per l’irrogazione della sanzione disciplinare non incombe all’incolpato l’onere di dimostrare la propria innocenza né di contestare espressamente le contestazioni rivoltegli, ma al Consiglio territoriale di verificare in modo approfondito la sussistenza e l’addebitabilità dell’illecito deontologico»

FATTO

1 II procedimento disciplinare prende le mosse, in danno dell’avv. [Omissis], dall’esposto presentato al COA di [Omissis] il 20.11.13 dalla sig.ra [Omissis], la quale, il precedente 12.11.13, aveva depositato anche atto di denuncia-querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di [Omissis].

Il COA di [Omissis], esaminato l’esposto e la documentazione allegata, inviate le comunicazioni di legge, ha aperto procedimento disciplinare a carico dell’avv. [Omissis] sulla base dei seguenti capi di incolpazione:

a) per essersi reso colpevole di condotte non conformi alla deontologia professionale, per avere, omesso di adempiere al mandato difensivo conferito al medesimo dalla sua cliente [Omissis], in una controversia contro la [Omissis] Assicurazioni s.p.a., non provvedendo ad iscrivere a ruolo una causa avanti al Giudice di Pace, pur avendo ottenuto adeguati compensi al riguardo;

b) per essersi reso colpevole di condotte non conformi alla deontologia professionale, per avere indebitamente (in)trattenuto la somma di €. 400,00 (anziché quella dovuta di €. 160,00) a lui consegnata dalla Cassiera della [Omissis] e destinate alla Signora [Omissis] (parte di un assegno da €. 1.000,00, di cui €. 160,00 per onorari professionali), ottenuta quale liquidazione in acconto di un danno da parte della [Omissis] s.p.a.;

c) per essersi reso colpevole di condotte non conformi alla deontologia professionale, per avere omesso di restituire i documenti e gli atti in suo possesso, pur a seguito della revoca del mandato e di formale richiesta;

d) per essersi reso colpevole di condotte non conformi alla deontologia professionale, per avere molestato telefonicamente e tramite sms la cliente [Omissis] inviando comunicazioni del seguente tenore: “non so perché ma pensavo alle tue labbra. fai fai ti aspetto in trepidante attesa. volevo dirti una cosa: io ti credo una donna non banale; non scontata; sempre interessante; se vuoi e se sei libera vorrei averti per pranzo e ti aspetto a studio alle 12,45. Se non ti sento resterò il tuo avvocato. PS come donna mi piaci da morire come persona credo che valga la pena di conoscerti meglio”. “porca [Omissis] ti chiamo io.”

Quanto sopra in violazione degli artt. 5 (doveri di probità e dignità), 6 (doveri di lealtà e correttezza), 8 (doveri di diligenza), 38 (inadempimento al mandato), 41 (gestione di danaro altrui), 42 (restituzione di documenti), 43 (richieste di pagamento) del Codice Deontologico Forense.

2 Con citazione notificata il 24.11.14 l’incolpato è stato invitato a comparire per l’udienza del 10.12.14 ed, in pari data, l’avv. [Omissis] ha depositato memoria difensiva nell’ambito della quale ha evidenziato la propria impossibilità a comparire ed ha affermato che: i) la mancata iscrizione a ruolo della causa promossa nei confronti di Assicurazione [Omissis] S.p.A. fu imposta dalla cliente il giorno prima dell’udienza (e quindi in data 21.5.13) in quanto, a suo dire, non era nelle condizioni economiche di anticipare le spese richieste; ii) la sig.ra [Omissis] rifiutò di mettere per iscritto la propria decisione ed “andò su tutte le furie”; iii) nell’occasione venne consegnato alla cliente il fascicolo anche se la stessa rifiutò di sottoscrivere la ricevuta; iv) non vi fu mai alcun comportamento “impositivo”, finalizzato a ricevere la somma di € 400,00 al momento dell’incasso dell’assegno di € 1.000,00, avvenuto presso la filiale di [Omissis] della [Omissis]: la somma fu spontaneamente versata dalla cliente per “le spese vive per l’iscrizione a ruolo, la relativa marca e le spese di notifica dell’atto di citazione”.

Alla successiva udienza del 18.12.14 la sig.ra [Omissis] ha confermato ogni passaggio del proprio esposto; l’avv. [Omissis], con pec in pari data, ha comunicato il proprio impedimento a comparire e, con allegata istanza, ha chiesto la sospensione del procedimento disciplinare, in pendenza del procedimento penale aperto nei suoi confronti (rubricato al R.G.N.R. [Omissis]J/2014) sulla base delle medesime circostanze di fatto evidenziate nell’esposto depositato all’Ordine; in via subordinata istruttoria, l’incolpato ha chiesto che venisse sentito il teste [Omissis],

Il COA:

– respinta la domanda di sospensione, in mancanza di prova dell’esercizio dell’azione penale e rigettate le istanze istruttorie, siccome irrilevanti;

– ritenuto che la responsabilità disciplinare dell’avv. [Omissis] emergesse “oltre ogni ragionevole dubbio” dalle prove documentali acquisite agli atti e dalla mancata contestazione degli sms inviati;

– richiamata la dottrina e la giurisprudenza attinenti ai molteplici comportamenti rilevati;

– ravvisata quindi la violazione degli artt. 5, 6, 8, 38, 41, 42 e 43 del Codice Deontologico Forense;

con decisione in data 18.12.14, depositata il 28.1.15, ha comminato all’incolpato la sanzione disciplinare della sospensione di mesi sei; il provvedimento è stato notificato il 25 febbraio 2015.

3 Con ricorso depositato il 17.03.2015 l’avv. [Omissis] ha proposto impugnazione argomentando:

a) difetto di competenza del COA, a favore di quella del CDD, a norma dell’art. 15 del Regolamento del CNF n. 1 del 31.1.14, entrato in vigore il 15.4.14 e quindi prima dell’udienza del 18.12.15, all’esito della quale è stata assunta la decisione impugnata.

b) Violazione di norme di legge, eccesso di potere ovvero omessa motivazione in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale del sig. [Omissis], suo cliente per pratiche non connesse, che avrebbe potuto smentire le circostanze sulle quali si fonda il riconoscimento dell’addebito di cui ai capi a) (mancata iscrizione a ruolo della causa promossa) e c) (avvenuta consegna degli atti e dei documenti) dell’incolpazione. In ordine alla prima violazione contestata, il ricorrente rileva anche il vizio logico che avrebbe portato il COA alla decisione assunta, osservando come, se la mancata iscrizione a ruolo della causa promossa con la incontestata notifica della citazione fosse stata il frutto di un suo inadempimento od errore, avrebbe potuto riassumere il giudizio, cosa che non è avvenuta proprio per la volontà contraria espressa dalla cliente.

La decisione riconducibile all’illegittima ritenzione di somme non dovutegli (capo b) di incolpazione), viene censurata evidenziando come i 400 euro di cui si tratta, non sarebbero altro che la somma dei 160 euro liquidatigli dalla assicurazione e degli € 242,85 per le spese vive da sostenere per la notifica della citazione ed iscrizione a ruolo della causa (€ 206,00).

Per quanto attiene alle frasi riportate nel capo d) di incolpazione, il ricorrente afferma che il primo messaggio fu inviato per errore al quale fecero seguito immediate scuse, mentre “l’imprecazione” derivò dalla esasperazione per le continue telefonate della [Omissis] (circa 10 al giorno) riconducibili a problematiche estranee al rapporto professionale conferitogli; tale situazione legittimerebbe la richiesta formulata in sede penale di acquisire agli atti l’intero traffico telefonico.

c) Il ricorrente insiste per la sospensione del presente giudizio, evidenziando come:

i) il procedimento penale a suo carico investa le medesime circostanze di fatto;

ii) solo attraverso l’indagine penale sarebbe possibile apprendere il nome della cassiera che ha cambiato l’assegno, al fine di assumerne la testimonianza;

iii) solo in sede penale si potrebbe acquisire l’intero traffico telefonico intercorso con la [Omissis].

Insiste anche per l’assunzione del teste sig. [Omissis], indicato anche avanti al COA, siccome in grado di chiarire il suo comportamento in ordine alle ragioni della mancata iscrizione a ruolo della causa ed alla avvenuta restituzione degli atti e dei documenti (a sostegno della domanda di sospensione viene citata giurisprudenza di legittimità e si invoca l’applicazione dell’art. 54 co. 2 L. 247/12).

4 II ricorrente ha depositato note difensive in data 20.6.17 nell’ambito delle quali richiama le prove testimoniali assunte nella causa civile dallo stesso promossa avanti al G.d.P. di [Omissis] n. 174/15, ove la convenuta sig.ra [Omissis] si è ritualmente costituita, svolgendo domanda riconvenzionale (la domanda dell’attore invocava la condanna della convenuta al pagamento della somma di € 720,000 oltre accessori “per l’attività prestata a suo favore”).

Vengono quindi prodotte le copia dei verbali di udienza e riportate le testimonianze rese dal sig. [Omissis] (teste dell’attore avv. [Omissis]) e della sig.ra [Omissis] (teste della convenuta [Omissis]):

– il primo (fuori dallo studio in attesa di essere ricevuto) ha dichiarato di aver sentito la cliente dell’avv. [Omissis] affermare: i) di non voler sottoscrivere alcuna dichiarazione; ii) di non avere disponibilità economiche per proseguire nella causa, che pertanto non doveva essere coltivata; iii) di voler ricevere in restituzione la propria documentazione. La cliente sarebbe poi uscita dallo studio sbattendo la porta.

– La teste sig.ra [Omissis] risponde alle domande formulatale in ordine alla somma di € 400,00 trattenuta dall’avv. [Omissis] affermando di ricordare come detta somma servisse per “mandare avanti la pratica del risarcimento dell’assicurazione per i danni subiti per un sinistro stradale”.

Il ricorrente argomenta quindi come la decisione del COA sia il frutto di una valutazione “frettolosa”, fondata esclusivamente sulle dichiarazioni dell’esponente, in aperta violazione della costante giurisprudenza del CNF.

Anche l’asserito tentativo da parte dell’incolpato di indurre in errore la cliente circa la avvenuta transazione del sinistro, sarebbe privo di qualsiasi sostegno probatorio in quanto la “accettazione offerta transattiva” 01 luglio 2013 (all. 9) è priva di sottoscrizione sia della cliente che del difensore e quindi si tratterebbe di un documento “che non esiste nella sua giuridica sussistenza e da me non redatto”.

Ricordato come l’invio del messaggio sia stato il frutto di un errore, l’avv. [Omissis] evidenzia che il P.M. avrebbe richiesto l’archiviazione del procedimento promosso a suo carico e che, in assenza di impugnazione da parte della [Omissis], si è in attesa della decisione del GIP dott. [Omissis].

Le conclusioni sollecitano una “rivisitazione integrale della decisione” e richiamano le domande formulate nel ricorso introduttivo del presente giudizio del 16-17 marzo 2015: – difetto di legittimazione del COA;

– sospensione del procedimento disciplinare;

– assunzione del teste [Omissis] ed, all’esito, dichiarare la insussistenza delle violazioni deontologiche di cui ai capi a) e c) del capo si incolpazione;

– infondatezza del capo b) di incolpazione e del capo d) “limitatamente all’errore di invio del sms”.

5 II 12 gennaio 18 il ricorrente ha fatto pervenire: a) copia della propria istanza di accesso agli atti del proc. pen. n. [Omissis]J/2014 aperto a suo carico su denuncia – querela della sig.ra [Omissis]; b) copia del provvedimento di archiviazione del GIP; c) avviso alla persona offesa ed omessa presentazione dell’eventuale opposizione; d) sommarie informazioni rese dalla esponente [Omissis]; e) sommarie informazioni rese dalla Sig.ra [Omissis],

Precisato come tale documentazione non fosse nella disponibilità al momento della impugnazione e del successivo deposito della memoria 20.6.17, ne chiede la acquisizione agli atti e, nel merito, invoca la “rivalutazione completa della vicenda anche alla luce degli elementi nuovi emersi”.

Nel corso dell’udienza dibattimentale del 25.10.18 l’avv. [Omissis] ha dichiarato di rinunciare alla eccezione in ordine al difetto di competenza del COA ed ha invocato la decisione nel merito ritenendo sufficiente la documentazione acquisita agli atti; solo in subordine ha insistito per la assunzione del teste indicato.

DIRITTO

Preso atto della rinuncia all’eccezione preliminare, ci si limita comunque ad osservare che, a norma dell’art. 15 co.1 del Regolamento CNF n. 1/2014, avrebbero dovuto essere trasferiti alle segreterie dei CDD, solo i procedimenti pendenti avanti ai COA alla data del 31.12.2014; nella fattispecie che ci occupa, la decisione è stata assunta, al termine dell’udienza dibattimentale, in data 18.12.14 e quindi, a quella data, il procedimento poteva ritenersi concluso indipendentemente dalla contestuale mancata lettura del dispositivo o dalla successiva data di deposito della decisione (per tutte: CNF n. 229/2013).

Nel merito, il ricorso risulta fondato.

La delibera impugnata è stata assunta sulla base dell’esposto e della documentazione dimessa dalla sig.ra [Omissis] senza dar corso alle prove richieste dal ricorrente, tese, non tanto a contestare la sussistenza delle circostanze di fatto, ma a prospettarne una diversa chiave di lettura.

Secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio Nazionale Forense, i fatti denunciati dall’esponente non sono, da soli, sufficienti a fondare la responsabilità disciplinare dell’avvocato, che può essere affermata solo a seguito di puntuali riscontri probatori (per tutte e da ultimo: Sent. 23.12.17 n. 230; 10.05.2017, nn. 52 e 55; 03.04.2017, n. 33).

Ricordato come “Il giudizio di fronte al CNF non è limitato alla verifica della legittimità del provvedimento, bensì esteso anche al merito, sicché nulla impedisce al CNF di prendere In esame, nella sua interezza, la documentazione prodotta nel corso del procedimento.” (CNF. Sent. n. 27 del 18.03.2014) si possono passare brevemente in rassegna le circostanze di fatto maggiormente significative:

a) afferma l’esponente, e si legge nel capo di incolpazione, che l’avv. [Omissis] sarebbe venuto meno ai propri doveri per non aver iscritto a ruolo la causa, dopo averla ritualmente instaurata con la notifica di atto di citazione; l’incolpato ha chiesto di dimostrare per testi come la mancata iscrizione a ruolo fosse riconducibile alla volontà della cliente; il COA non ha ritenuto di assumere la prova ma, quando la deposizione del sig. [Omissis] è stata comunque acquisita agli atti, attraverso la produzione di copia del verbale redatto dal G.d.P. di [Omissis] nell’ambito della causa n. [Omissis]/15, è emerso che sarebbe stata proprio la sig.ra [Omissis] ad affermare che non intendeva proseguire nella causa in quanto priva di sufficienti risorse economiche e che, al termine del colloquio si sarebbe allontanata “sbattendo la porta”.

Ne deriva che: i) viene meno la asserita negligenza del ricorrente il quale si sarebbe limitato a seguire le disposizioni della cliente; b) manca la prova piena (e quindi al di là di ogni ragionevole dubbio) della responsabilità dell’incolpato, nella ipotesi in cui non si volesse attribuire rilevanza assoluta alla deposizione del sig. [Omissis] (in tema di applicazione del principio “in dubio pro reo”, si veda, per tutte: CNF sen. N. 103 del 12.9.2018).

Quanto sopra vale anche per quanto attiene alla asserita mancata restituzione dei documenti; in argomento si osserva anche che la stessa sig.ra [Omissis] ha dichiarato alla Polizia Giudiziaria di aver ricevuto l’ulteriore somma di € 1.600,00 a titolo di risarcimento del danno, con l’assistenza del nuovo difensore; se ne deduce che era in possesso di quanto necessario a documentare la propria ragione creditoria.

b) La violazione di cui al secondo capo di incolpazione (aver indebitamente trattenuto la maggior somma di € 400,00 anziché € 160,00 riconosciti dalla assicurazione) trova ancora una volta una contraddizione, nella descrizione del modus operandi, fra quanto esposto dalla [Omissis] e quanto riferito dalla teste [Omissis], presente alla consegna del denaro, assunta nell’ambito della causa civile succitata – ove la [Omissis] era ritualmente costituita – e dalla Polizia Giudiziaria in sede di sommarie informazioni, come da verbale 18.9.14 agli atti del presente procedimento.

Il rapporto fra l’avvocato e la cliente viene descritto dalla teste (cassiera della banca che ha cambiato l’assegno) senza particolari momenti di tensione tanto che la sig.ra [Omissis] riferisce che proprio ” [Omissis] mi riferì di aver consegnato 400 euro all’avvocato su sua richiesta”‘, comportamento non censurabile ove si consideri che € 160 gli erano destinati dalla Compagnia di Assicurazione che aveva effettuato il pagamento ed il residuo poteva trovare giustificazione nella stesura e notifica dell’atto di citazione di cui dà atto anche la [Omissis] nell’ambito della querela 12.11.13.

Il Coa non disponeva di tali prove; l’incolpato non era in grado di indicare il nome della cassiera, che era invece conosciuta dalla esponente; la richiesta di sospensione del procedimento disciplinare in attesa di conoscere l’esito o gli atti del procedimento penale non fu accolta; la decisione impugnata si fonda quindi sulla narrativa offerta dalla esponente che, nel corso dei due giudizi successivi (Causa civile G.d.P. e proc. Penale n. [Omissis]/2014 R.G. Notizie di reato), è stata sostanzialmente smentita o, quanto meno, non ha trovato conferma, nel senso che la maggior somma fu realmente corrisposta ma con modalità e finalità non rilevanti sotto il profilo deontologico.

Ancora una volta la mancanza di prova piena in ordine alla sussistenza della violazione, deve condurre alla dichiarazione di non colpevolezza.

c) La molestia telefonica va valutata non alla luce delle due frasi riportate nel capo di incolpazione, ma alla luce dell’intero scambio di messaggi che, come documentato dalla sig.ra [Omissis] è intercorso dal 23 maggio al settembre 2013.

É indubbio che il rapporto avesse superato i limiti del mandato professionale, ma risulta anche evidente come, dapprima, agli inviti dell’uno si sovrapponessero quelli dell’altra e come alle manifestazioni di affetto dell’uno non si sia mai contrapposto un rifiuto od un chiarimento da parte della esponente.

Poi il “feeling” è venuto meno ed i reiterati messaggi della [Omissis], a distanza di un minuto uno dall’altro, hanno portato il ricorrente alla imprecazione del 28 agosto ore 18,45; comportamento sicuramente deprecabile, ma che non risulta rilevante sotto il profilo deontologico, in quanto, non solo estraneo al rapporto professionale, ma, inquadrato nel contesto, frutto di una irritazione momentanea e personale nei confronti della persona che aveva catturato il suo affetto, chiaramente manifestato.

É da ritenere pertanto che nessun degrado o pregiudizio sia derivato alla dignità dell’avvocatura da tale manifestazione di intolleranza.

Si potrebbe rimarcare la inopportunità che l’avvocato consenta al rapporto professionale con la cliente di scivolare in un diverso rapporto decisamente personale, ma dagli scambi di messaggi allegati dalla esponente alla propria querela, non traspare alcuna molestia od oppressione da parte dell’avvocato, il quale manifesta i propri sentimenti, senza peraltro ricevere sdegno o smentite od inviti contrari a coltivare il rapporto, nonostante la china sulla quale stava od era scivolato (se mai, ed al contrario, l’invito ad un aperitivo nel locale indicato dalla esponente).

Nell’ambito della decisione impugnata si legge anche la disapprovazione per la decisione dell’avv. [Omissis] di promuovere azione civile avanti al G.d.P. di [Omissis] avente ad oggetto la liquidazione del proprio compenso per l’opera svolta: non si ha notizia se la causa sia poi andata a sentenza o meno; rimane comunque il fatto certo che l’azione ha consentito al ricorrente di raccogliere, in contraddittorio con la sig.ra [Omissis], e di dimettere nel presente giudizio, quelle prove testimoniali che non erano state ammesse nell’ambito del procedimento disciplinare e che hanno portato ad una diversa interpretazione dei fatti.

Da ultimo si osserva come anche l’indagine in sede penale, aperta sulla base delle medesime circostanze di fatto, sia sfociata in un provvedimento di archiviazione per mancanza di circostanze penalmente rilevanti.

Il procedimento disciplinare ha una propria autonomia decisionale rispetto a quello penale, ma la circostanza sopra ricordata avvalora l’interpretazione dei fatti che ha portato il Consiglio ad assumere la propria decisione.

Non può quindi dirsi raggiunta la prova piena e rassicurante della sussistenza di un comportamento deontologicamente scorretto da parte dell’incolpato.

P.Q.M.

visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;

Il Consiglio Nazionale Forense accoglie il ricorso e annulla l’impugnata deliberazione; dispone che, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

Documenti & materiali

Scarica C.N.F., 29/07/2019, n. 67

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.