Morte dell’animale d’affezione e danno non patrimoniale: risarcibilità e onere della prova Trib. La Spezia, 31/12/2020, n. 660

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TRIB. LA SPEZIA, 31/12/2020, N. 660

«Il rapporto tra padrone ed animale da affezione deve essere oggi ritenuto espressione di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e, quindi, come vero e proprio bene della persona, tutelato dall’art. 2 della Costituzione, con la conseguenza che, laddove allegato, provato e dotato dei necessari requisiti di gravità, il danno non patrimoniale da perdita o lesione dell’animale d’affezione può e deve essere risarcito.

Ed infatti il danno non patrimoniale non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno risarcibile con la lesione del diritto ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, per il quale non vi è copertura normativa. Ne consegue che il danneggiato che ne chieda il risarcimento è tenuto a provare di avere subito un effettivo pregiudizio in termini di sofferenza patita in dipendenza della perdita dell’animale d’affezione, potendosi a tal fine avvalere anche di presunzioni gravi, precise e concordanti, sulla base però di elementi indiziari diversi dal fatto in sé del decesso dell’animale.

(Nella specie è stata rigettata, sotto il profilo in esame, la domanda della coppia proprietaria dell’animale di specie, ma è stata accolta quella della loro figlia minore sulla base di una relazione psicodiagnostica di parte ritenuta sufficiente a fornire al giudice gli elementi indiziari idonei a far ritenere presuntivamente provata la sussistenza di un concreto pregiudizio risarcibile)» (Massima non ufficiale)

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato in data 15 maggio 2015 [Omissis] e [Omissis], in proprio ed in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla minore [Omissis], convenivano in giudizio la Clinica Veterinaria [Omissis], esponendo che il proprio cucciolo di cane di razza rottweiler denominato [Omissis] veniva ricoverato presso la Clinica convenuta la mattina del 22 novembre 2014, a causa di forti dolori all’addome e vomito.

In quella data il cane veniva sottoposto ad una semplice RX addominale, senza essere sottoposto ad alcuna ulteriore indagine, e quindi dimesso riferendo ai proprietari che non aveva nulla di grave.

La notte successiva l’animale aveva altri fenomeni di vomito, sicché la mattina del 23 novembre veniva portato nuovamente in Clinica, ove veniva somministrato un mix di farmaci, senza effettuazione di ulteriori accertamenti.

La mattina del 24 novembre lo stato di salute del cane si aggravava e nel primo pomeriggio veniva riportato in Clinica, ove giungeva agonizzante e moriva, a causa di una “peritonite con perforazione dell’intestino per presenza di corpi estranei (n. 5 tettarelle in gomma)”.

Ciò premesso, gli attori, evidenziato come il decesso dell’animale sarebbe stato evitabile se il personale della convenuta avesse trattato il caso con la dovuta perizia, lamentavano di avere subito sia danni patrimoniali (per il valore venale dell’animale, i compensi ingiustamente versati alla clinica, le spese mediche per la figlia e per la redazione di un parere di parte), sia danni non patrimoniali (per la perdita dell’animale di affezione, che aveva cagionato disturbi psicologici alla figlia minore).

Concludevano quindi per il riconoscimento dell’esclusiva responsabilità della Clinica [Omissis] per la prematura morte del cane [Omissis], con condanna della predetta al risarcimento dei danni patrimoniali sofferti da [Omissis] (quantificati in euro 1.500,00 per il rimborso del valore venale del cane, euro 80,00 per il rimborso dei compensi corrisposti, euro 207,90 per le spese affrontate per il trattamento psicologico della figlia minore ed euro 750,00 per gli onorari corrisposti per il parere medico-veterinario richiesto), nonché al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti da tutti gli attori (quantificato in complessivi euro 5.000,00, di cui euro 1.500,00 a favore di ciascuno dei genitori ed euro 2.000,00 a favore della figlia).

[Omissis] e [Omissis], in qualità di titolari dello studio associato Clinica Veterinaria [Omissis], si costituivano in giudizio contestando la sussistenza di una propria responsabilità, dal momento che la prestazione professionale era stata resa da un medico veterinario (la dr.ssa [Omissis]) che non era alle dipendenze dello studio associato e che chiedevano quindi di poter chiamare in causa, onde essere manlevati dall’eventuale accoglimento delle pretese avversarie.

Quanto alla ricostruzione dei fatti, rilevavano che i parametri del cucciolo al momento della visita erano nella norma, non emergendo dagli esami svolti la presenza di corpi estranei a livello gastroenterico. Nella giornata del 23 novembre il cane venne ricondotto presso la clinica ed il [Omissis] affermò che stava meglio, mentre la sera dello stesso giorno l’attore contattò la dr.ssa [Omissis] riferendo che il cane aveva defecato la tettarella di un biberon. La dottoressa chiese quindi al [Omissis] di accompagnare l’animale in clinica la mattina successiva, ma l’attore vi si recava solamente al pomeriggio, dopo il decesso dell’animale.

I convenuti evidenziavano quindi che il cane era deceduto per avere ingerito ben sei tettarelle di gomma, per cui non era ravvisabile alcuna responsabilità del veterinario, che aveva esperito tutte le manovre cliniche necessarie, integrandosi per contro una esclusiva responsabilità della controparte, che non aveva vigilato sulla povera bestiola.

Contestata altresì sussistenza e prova dei danni ex adverso allegati, concludevano per il rigetto delle domande attoree, previa autorizzazione alla chiamata in causa della dr.ssa [Omissis].

La chiamata non veniva autorizzata per ragioni di economia processuale.

La domanda risarcitoria svolta dagli attori è parzialmente fondata, nei limiti che si vanno ad esporre.

La responsabilità del veterinario per errata diagnosi, negligenza o imperizia è – al pari della responsabilità medica – di natura contrattuale.

Trovano pertanto applicazione tanto i principi generali dettati in tema di responsabilità contrattuale (per cui il creditore deve provare la fonte del suo diritto, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento), quanto gli specifici principi dettati in materia di responsabilità medica (per cui “incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia – o l’insorgenza di una nuova malattia – e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza”, v. Cass., n. 26700/2018).

Nel caso di specie, è pacifico che gli attori si fossero rivolti alla clinica convenuta per la diagnosi e cura di una patologia dalla quale risultava affetto il proprio cane.

I medesimi attori hanno poi allegato uno specifico inadempimento della struttura astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, lamentando l’insufficienza dell’unico esame effettuato (semplice RX addominale) e sostenendo – con il conforto di una perizia di parte – che l’effettuazione di ulteriori accertamenti avrebbe potuto consentire di rilevare i corpi estranei e di procedere ad operazione per l’asporto degli stessi, con probabile successo clinico.

È stata quindi esperita CTU medico-veterinaria, al fine di accertare la sussistenza degli inadempimenti allegati dagli attori ed il nesso di causa tra le omissioni addebitate alla clinica convenuta ed il decesso del cane.

Il perito, ricostruiti gli interventi diagnostici e curativi eseguiti sull’animale, ha osservato, con riferimento alla conformità della prestazione resa, che “L’esame obbiettivo generale … appare svolto solo parzialmente, e soprattutto mancano riferimenti alla palpazione dell’addome, a giudizio della scrivente imprescindibile con un segnalamento (un cucciolo di 4 mesi) ed una anamnesi (vomito acuto e dolore addominale) come quelli di [Omissis] perché con questa manovra semeiologica, se svolta in modo accurato, il veterinario può accertare la presenza o meno di dolore addominale e spesso anche la regione addominale coinvolta, la eventuale presenza di aria, e in alcuni casi può palpare masse anomale, come corpi estranei (eventualità non così remota nel caso di un cucciolo di taglia grande di 4 mesi che ingerisce 6 tettarelle).

La Dr.ssa [Omissis] a seguito dell’esame obbiettivo decide di eseguire un esame radiografico dell’addome di [Omissis]. La scrivente è totalmente d’accordo sulla decisione dell’esecuzione dell’indagine radiografica, in virtù del segnalamento ed anamnesi di [Omissis] anche in assenza di rilievi clinici all’esame obbiettivo, peraltro, come sopra esposto, svolto in modo molto parziale. … Comunque, pur con le limitazioni sopra citate che impediscono di fatto una lettura più accurata dell’immagine, la scrivente è d’accordo con la descrizione fornita dalla Dr.ssa [Omissis] nella sua dichiarazione “L’esame evidenziava la presenza di materiale fecale a livello del colon discendente e del retto e meteorismo nei tratti prossimali dell’intestino.”

La scrivente dissente invece dall’interpretazione data dalla Dr.ssa [Omissis]) rispetto al quadro radiografico descritto; nella testimonianza del 20/09/2017 la stessa dichiara “…ho fatto radiografia ma non c’era nulla…”. In realtà la Dr.ssa [Omissis] quando parla di “meteorismo nei tratti prossimali dell’intestino” sta descrivendo una dilatazione segmentale o regionale, quadro radiografico compatibile con occlusione intestinale, parziale o totale, che in un animale giovane vede come principali diagnosi differenziali l’intussuscezione intestinale ed i corpi estranei.

A parere della scrivente la radiografia in oggetto, sebbene non diagnostica di per sé anche in virtù della qualità non buona dell’immagine come sopra descritto, è suggestiva della presenza di una possibile occlusione, e quindi della necessità di approfondimenti diagnostici.

Il C.T.P. di parte attrice, Dr. [Omissis], nella sua relazione peritale del 13/03/2015 … suggerisce “un’altra proiezione radiografica avrebbe aiutato in una diagnosi più certa, un esame emocromocitometrico avrebbe potuto evidenziare uno stato di infezione o infiammazione, un ‘ecografia forse avrebbe messo in risalto i corpi estranei magari confermati da una radiografia con mezzo di contrasto… di fatto i suggerimenti del C.T.P. di parte attrice … sono assolutamente condivisibili a parere della scrivente, anche se una conferma diagnostica avrebbe potuto essere ottenuta, più banalmente, ripetendo l’indagine radiografica nella medesima proiezione laterolaterale a distanza di qualche ora, per valutare l’evoluzione del quadro di meteorismo del tratto intestinale prossimale.

Il giorno seguente il cane [Omissis] torna nuovamente alla clinica [Omissis], sia durante la mattinata che nel pomeriggio … Ciò che emerge dalle parole della Dr.ssa [Omissis] è la completa mancanza di rivalutazione del soggetto, né clinica né radiografica, nemmeno dopo che il proprietario riferisce episodi di vomito durante la notte … Un cane con una ostruzione intestinale completa presente ormai da diverse ore (come è certo fosse il caso di [Omissis] perché altrimenti non sarebbe morto il giorno seguente per una peritonite da perforazione dell’intestino, come esposto più sotto) alla palpazione dell’addome mostra un dolore intenso, a meno che non sia talmente prostrato da non reagire neanche ad una stimolazione algica; nella relazione della Dr.ssa [Omissis] non si fa cenno ad alcun tipo di valutazione clinica di tantomeno alla palpazione dell’addome. …

Il ricovero di un animale non è di per sé un presidio terapeutico, ma è una decisione che segue un ragionamento clinico-diagnostico-terapeutico; [Omissis] il giorno 23/11/2014 non avrebbe avuto bisogno di un ricovero, avrebbe avuto bisogno di una diagnosi e di una chirurgia per la rimozione delle tettarelle dal tratto gastro intestinale.

A parere della scrivente avrebbe avuto più senso il ricovero del cane il giorno 22, per il monitoraggio dell’evoluzione della situazione clinica e l’esecuzione di approfondimenti diagnostici (anche solo la ripetizione della radiografia nella medesima proiezione per valutare l’evoluzione del quadro radiografico).

Per quanto sopradescritto la scrivente ritiene che l’attività diagnostica e terapeutica svolta dal personale sanitario operante presso la clinica convenuta non sia stata svolta secondo la diligenza esigibile dal veterinario sulla base dello stato della tecnica e delle conoscenze scientifiche al momento in cui è stata effettuata; il procedimento corretto avrebbe previsto approfondimenti diagnostici, che avrebbero portato ad una diagnosi di occlusione intestinale e quindi una terapia chirurgica con rimozione della causa della stessa (in questo caso le tettarelle in gomma)”.

Quanto al nesso di causa tra le omissioni riscontrate ed il decesso dell’animale, il CTU ha evidenziato che “L’esordio della sintomatologia di [Omissis] si è verificato nella notte fra il 21 ed il 22 novembre 2014, ed il cane è deceduto il 24 novembre pomeriggio, quindi dopo circa 3 giorni: in un momento fra l’esordio della sintomatologia ed il decesso si è verificata la perforazione intestinale e quindi l’esordio della peritonite settica che avrebbe portato l’animale a morte e che avrebbe cambiato la prognosi anche in presenza di un adeguato trattamento.

La scrivente ritiene, in base alla documentazione pervenuta, di poter collocare tale momento nella giornata del 23 perché la sintomatologia della peritonite settica, con peggioramento delle condizioni generali del paziente, si verifica qualche ora dopo la perforazione intestinale, in quanto il materiale intestinale, una volta libero in addome scatena la reazione infiammatoria peritoneale ed il coinvolgimento sistemico, ma questo processo, pur veloce (ore) non è immediato (minuti), e le condizioni di [Omissis] mostrano un deciso peggioramento in un momento compreso fra la notte e la mattina del 24/11 …

In base a quanto sopraesposto la scrivente ritiene che se il cane [Omissis] avesse ricevuto una corretta diagnosi di ostruzione intestinale da corpo estraneo ed una tempestiva terapia chirurgica di rimozione dello/degli stesso/i il giorno 22 oppure nella mattina del giorno 23 la prognosi per [Omissis] sarebbe stata buona, con un tasso di sopravvivenza fra l’83 ed il 99%”.

Il perito ha quindi concluso nel senso che “il decesso del cane [Omissis] si sarebbe potuto evitare attraverso una corretta diagnosi e di conseguenza una corretta cura essendo la prognosi della patologia da cui il cane era effetto buona, con tassi di sopravvivenza elevati, in caso di presentazione precoce del paziente, diagnosi ed intervento tempestivi; il ricovero nel pomeriggio del 23 non avrebbe fornito al cane [Omissis] maggiori chances di sopravvivenza, in assenza di una diagnosi e terapia appropriate e tempestive”.

Non si ravvisano vizi nella CTU, le cui conclusioni, ampiamente motivate e non contestate dal CT di parte convenuta, possono essere condivise ed acquisite.

Va pertanto ritenuta la responsabilità della struttura convenuta nella determinazione del decesso del cane, atteso che il procedimento corretto avrebbe previsto approfondimenti diagnostici, che avrebbero portato ad una diagnosi di occlusione intestinale e quindi ad un’operazione di rimozione dei corpi estranei che avrebbe evitato l’evento letale, secondo il criterio del “più probabile che non”.

Non può poi condividersi l’assunto della convenuta, per cui la responsabilità del decesso sarebbe esclusivamente ascrivibile al medico veterinario che aveva avuto in cura l’animale, stante lo svolgimento di prestazioni occasionali in favore della Clinica senza alcun vincolo di dipendenza.

Ed invero, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c., è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi che ricorre non solo in caso di lavoro subordinato, ma anche quando per volontà di un soggetto (committente) un altro (commesso) esplichi un’attività per suo conto (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12283 del 15/06/2016; nello stesso senso, v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 21685 del 09/11/2005, per cui “Per la sussistenza della responsabilità dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. non è necessario che le persone che si sono rese responsabili dell’illecito siano legate all’imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, ed abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore”, com’è pacificamente avvenuto nel caso di specie).

Risulta invece irrilevante nell’eziologia del decesso la circostanza (allegata dalla convenuta e non contestata dagli attori) per cui [Omissis], invitato la sera del 23 novembre a condurre il cane in clinica la mattina successiva, vi si sarebbe recato solamente nel pomeriggio del 24 novembre. Il CTU ha infatti accertato che le chances di sopravvivenza del cane [Omissis], pur in presenza di una diagnosi corretta e di una terapia appropriata, la mattina del 24 non avrebbero superato il 10-15%.

D’altro canto, è pacifico che il cane degli attori è deceduto per una patologia cagionata dall’ingestione di ben sei tettarelle di gomma. Tale circostanza è senz’altro addebitabile a responsabilità colposa degli attori, che non hanno sorvegliato adeguatamente il cucciolo, né si sono avveduti della sparizione degli oggetti ingeriti dall’animale.

Ciò posto, si osserva che, in presenza di fatti imputabili a più persone, coevi o succedutisi nel tempo, dev’essere riconosciuta a tutti un’efficacia causativa del danno, ove abbiano determinato una situazione tale che, senza l’uno o l’altro di essi, l’evento non si sarebbe verificato, mentre deve attribuirsi il rango di causa efficiente esclusiva ad uno solo dei fatti imputabili quando lo stesso, inserendosi quale causa sopravvenuta nella serie causale, interrompa il nesso eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ovvero quando il medesimo, esaurendo sin dall’origine e per forza propria la serie causale, riveli l’inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al livello di occasioni estranee (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 92 del 04/01/2017).

Nella specie, va riconosciuta efficacia causativa del danno sia alla condotta colposa dei danneggiati (rilevante ex art. 1227, comma 1 c.c.), sia alla condotta omissiva del personale della clinica convenuta, atteso che, senza l’una o l’altra, l’evento di danno non si sarebbe verificato. Né può ritenersi che l’errore medico veterinario possa assurgere a causa sopravvenuta autonomamente sufficiente a determinare l’evento, stante la riconducibilità eziologica della patologia – per la quale il cane era stato affidato alle cure della convenuta – a fattori causali preesistenti, addebitabili a responsabilità dei danneggiati.

Poiché, dunque, la produzione dell’evento dannoso appare riconducibile alla concomitanza di più fattori causali, ognuno di questi deve essere autonomamente apprezzato per determinare in che misura abbia contribuito al verificarsi del danno (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 22801 del 29/09/2017). Inoltre, trattandosi di concorso colposo del danneggiato, va altresì valutata la gravità delle rispettive colpe, ex art. 1227, comma 1, c.c.

Nel valutare l’efficienza delle concause nel dinamismo eziologico del danno, la morte del cucciolo può imputarsi in misura pari alla condotta degli attori ed a quella del convenuto, stante – da un lato – la gravità della patologia cagionata dall’ingestione di numerosi corpi estranei (addebitabile ai danneggiati) e – dall’altro lato – le elevate probabilità di esito fausto dell’intervento nel caso di tempestiva diagnosi (omessa per responsabilità della convenuta).

Anche nella valutazione dell’elemento soggettivo la gravità della colpa delle controparti appare equivalente, stante l’evidente omissione di sorveglianza del cucciolo da parte degli attori e l’altrettanto evidente sottovalutazione del quadro patologico da parte dei sanitari.

Dall’esame congiunto di tutti gli elementi suindicati appare quindi equo stimare una responsabilità paritaria delle parti nella determinazione del decesso dell’animale e dei conseguenti danni, non ravvisandosi un maggior grado di incidenza eziologica, né di gravità della colpa, a carico dell’una o dell’altra parte.

In punto an va pertanto ritenuta provata la responsabilità della struttura convenuta nella causazione del danno per esecuzione imperita della prestazione medica nella misura del 50%, mentre il restante 50% può essere addebitato al concorso colposo dei danneggiati ex art. 1227 c.c.

In ordine al quantum, può anzitutto ritenersi che l’attore [Omissis] abbia subito un danno patrimoniale pari al valore venale dell’animale, stante l’intervenuto decesso.

A tale proposito, il CTU ha stimato detto valore in una forbice compresa tra euro 1.000,00 ed euro 2.000,00, per cui può essere acquisito il valore di euro 1.500,00, allegato dagli attori in atto di citazione sulla scorta del parere reso dal proprio perito di parte.

Altra voce di danno patrimoniale è data dai costi sopportati dal medesimo attore per il pagamento del compenso m favore della clinica convenuta, ammontante ad euro 80,00. A tale proposito, con riguardo a prestazioni erroneamente eseguite, si ritiene di dover svincolare il diritto del committente alla restituzione dei compensi già pagati dalla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, ben potendosi considerare quale componente del danno complessivamente subito dal cliente l’esborso di denaro per una prestazione inutile.

Infine, vanno ricomprese tra le spese risarcibili quelle affrontate dalla parte per accertamenti medico legali (v. Cass. 84/2013 e 4357/2003), ammontanti nella specie ad euro 750,00 per la perizia prodotta in corso di causa (v. fattura in all. 7 att.), oltre ad euro 426,09 per la consulenza resa dal CTP nel contraddittorio peritale (v. fattura allegata al foglio di precisazione delle conclusioni), somme da ritenersi congrue alla luce delle prestazioni svolte dal perito di parte.

Non possono invece farsi rientrare tra le voci di danno risarcibili le spese sostenute per il trattamento psicologico della figlia minore, difettando la prova del nesso di causa tra il decesso dell’animale e la necessità di affrontare gli esborsi in questione. Non risulta infatti allegato (ed appare in ogni caso francamente inverosimile) che la minore abbia subito un danno biologico permanente a seguito della morte del cucciolo, in considerazione sia dell’età della bambina al momento dell’evento (meno di due anni e quattro mesi), sia della limitata permanenza dell’animale in famiglia (circa un mese e venti giorni).

Venendo infine all’esame dei danni non patrimoniali allegati dagli attori, lo scrivente giudice condivide l’orientamento giurisprudenziale di merito che sottolinea come il rapporto tra padrone ed animale da affezione debba essere oggi ritenuto espressione di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e, quindi, come vero e proprio bene della persona, tutelato dall’art. 2 della Costituzione. Con la conseguenza che, laddove allegato, provato e dotato dei necessari requisiti di gravità, il danno non patrimoniale da perdita o lesione dell’animale d’affezione può e deve essere risarcito (Trib. Torino, 29 ottobre 2012, n. 6296).

Il medesimo art. 2 Cost. è stato poi richiamato, in tempi più recenti, da pronunce che hanno condannato il veterinario al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal padrone in conseguenza di un’errata diagnosi che ha condotto al decesso dell’animale, sul presupposto che ritenere che la perdita de qua sia futile e “non integri la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata, non sembra più rispondente ad una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori” (v. Trib. Pavia, sez. III civ., 16 settembre 2016, n. 1266, in senso analogo Trib. Vicenza, 3 gennaio 2017, n. 24).

Nondimeno, si ritiene – sulla scorta della più recente giurisprudenza della Suprema Corte – che il danno non patrimoniale non possa ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno risarcibile con la lesione del diritto ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, per il quale non vi è copertura normativa. Ne consegue che il danneggiato che ne chieda il risarcimento è tenuto a provare di avere subito un effettivo pregiudizio in termini di sofferenza patita in dipendenza della perdita dell’animale d’affezione, potendosi a tal fine avvalere anche di presunzioni gravi, precise e concordanti, sulla base però di elementi indiziari diversi dal fatto in sé del decesso dell’animale (v., da ultimo, Cass., sez. 3, Ordinanza n. 19434 del 18/07/2019 e Ordinanza n. 4005 del 18/02/2020).

Nella specie, gli attori [Omissis] e [Omissis] non hanno offerto alcuna allegazione (diversa dal decesso del cane) tale da essere valutata quale elemento indiziario per la prova presuntiva del danno lamentato.

La domanda risarcitoria in parte qua va pertanto respinta, in assenza di prova di un concreto pregiudizio patito dai genitori.

Per contro, può ritenersi provato il danno non patrimoniale allegato con riferimento alla figlia minore [Omissis] avendo gli attori prodotto una relazione psicodiagnostica di parte (v. all. 8) che, se non è tale (per i motivi già indicati) da dimostrare l’insorgenza di un danno biologico permanente a carico della minore, risulta tuttavia sufficiente a fornire al giudice quegli elementi indiziari idonei a far ritenere presuntivamente provata la sussistenza di un concreto pregiudizio risarcibile.

Nella quantificazione del danno in esame, dovrà tenersi conto sia della tenera età della bambina al momento del fatto (due anni e quattro mesi, laddove, notoriamente, i primi ricordi che resteranno vividi anche in età adulta incominciano a fissarsi nella memoria del bambino intorno ai tre anni di vita), sia della ridotta permanenza del cucciolo in famiglia (circa un mese e venti giorni, sicuramente sufficienti per affezionarsi alla bestiola, ma di durata troppo limitata perché possa dirsi instaurato un rapporto affettivo particolarmente intenso).

Sulla scorta degli elementi suindicati, appare equo liquidare il danno non patrimoniale sofferto dalla minore [Omissis] in conseguenza del decesso del cane nell’importo complessivo di euro 1.000,00, attualizzato alla data odierna.

Il danno complessivo derivante dalla morte dell’animale ammonta dunque ad euro 3.756,09 (di cui euro 2.756,09 a titolo di danno patrimoniale patito dall’attore ed euro 1.000,00 a titolo di danno non patrimoniale patito dalla figlia minore [Omissis]).

In virtù della graduazione delle rispettive responsabilità, il danno risarcibile addebitabile alla convenuta va quantificato in una somma pari alla metà dei danni complessivi come sopra individuati, dovendo quindi i titolari della Clinica risarcire in favore dei danneggiati la somma capitale complessiva di euro 1.878,05 (di cui euro 1.378,05 da corrispondersi a [Omissis] in proprio a titolo di risarcimento del danno patrimoniale ed euro 500,00 da corrispondersi in solido a [Omissis]) e [Omissis], in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia [Omissis] a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla minore).

In ordine agli accessori, sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale devono essere riconosciuti, in applicazione del principio stabilito da Cassazione civile Sezioni Unite, 17 febbraio 1995 n. 1712, sia la rivalutazione monetaria che gli interessi – dal giorno dell’illecito fino alla data della presente pronuncia – quale corrispettivo del mancato tempestivo godimento, da parte del danneggiato, dell’equivalente pecuniario del debito di valore. Ed invero, la corresponsione degli interessi costituisce uno dei criteri di liquidazione del predetto lucro cessante, la cui sussistenza può ritenersi provata alla stregua anche di presunzioni semplici e il cui ammontare può essere determinato secondo un equo apprezzamento. Pertanto, alla stregua dei principi affermati con la sentenza citata, la somma precedentemente indicata a titolo di danno non patrimoniale – attualizzata alla data odierna – deve essere devalutata alla data dell’illecito (cd. aestimatio). Sulle somma così calcolata e via via rivalutata annualmente secondo gli indici ISTAT devono quindi essere applicati gli interessi al tasso legale. Su tale importo, in quanto convertito con la liquidazione in credito di valuta, spettano gli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo.

Sul danno patrimoniale spettano invece interessi e rivalutazione calcolati dai singoli esborsi e sino al saldo.

La riconosciuta sussistenza di un concorso colposo degli attori nella causazione del decesso del cane giustifica la compensazione per metà delle spese di lite. La frazione residua segue la soccombenza della convenuta ed è liquidata come da dispositivo, tenuto conto della natura e del valore della controversia (avuto riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice ex art. 5, comma 1, DM n. 55/2014), con applicazione dei parametri medi di cui al DM n. 55 cit.

Le spese di CTU, separatamente liquidate, vanno poste, nei rapporti tra le parti, a carico della clinica convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando:

1) accerta e dichiara la responsabilità concorrente degli attori (nella misura di 1/2) e della struttura convenuta (nella misura di 1/2) nella causazione del decesso del cane [Omissis], avvenuto in data 24 novembre 2014;

2) per l’effetto, dichiara tenuti e condanna in solido tra loro [Omissis] e [Omissis], in qualità di titolari dello studio associato Clinica Veterinaria [Omissis] al pagamento delle seguenti somme:

– euro 1.378,05 in favore di [Omissis] a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, oltre rivalutazione ed interessi legali da ogni esborso e sino al saldo;

– euro 500,00 in favore di [Omissis] e [Omissis], in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia i, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla minore, oltre interessi sul capitale devalutato fino alla data del decesso e via via rivalutato;

3) respinge le ulteriori domande di parte attrice;

4) compensa per metà le spese di lite tra le parti, con condanna dei convenuti in solido a rifondere gli attori della frazione residua, che liquida in euro 132,00 per esborsi ed euro 1.215,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA;

5) pone le spese di CTU nei rapporti tra le parti a carico dei convenuti.

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