Notifiche a mezzo PEC: per il Tribunale di Lecce occorre provare che il destinatario fosse in grado di leggerle A margine di Trib. Lecce, ordinanza 16/03/2016

By | 30/03/2016

Come abbiamo avuto modo di osservare diverse volte, esiste un robusto orientamento giurisprudenziale che si pone in termini di velata, quando non manifesta, ostilità rispetto al processo civile telematico e alle sue regole.

Sembra collocarsi entro tale filone il precedente del Tribunale di Lecce che oggi vi proponiamo (Trib. Lecce, ordinanza 16/03/2016), il quale si connota per la particolare sinteticità con cui vengono reinterpretati alcuni principi cardine che regolano – o meglio: fanno del loro meglio per regolare – la delicata materia delle notificazioni a mezzo PEC.

Il caso

Il caso esaminato dal provvedimento in commento è piuttosto semplice.

Tizio evoca in giudizio una società notificandole l’atto di citazione a mezzo PEC all’indirizzo PEC risultante dal registro imprese. La società convenuta non si costituisce e Tizio chiede ne venga dichiarata la contumacia, previo deposito di notificazione telematica con accettazione e consegna.

Sin qui, dunque, una fattispecie piuttosto lineare, dagli esiti che potrebbero apparire scontati.

E, invece scontati non sono stati, visto che il Giudice leccese, investito della problematica di cui sopra, ha ritenuto di rilevare, nell’ordine:

  1. che la normativa in tema di PEC impone alle imprese di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata ma non prevede alcun obbligo di «munirsi di programmi elettronici che consentono la lettura degli atti inviati con firma digitale»
  2. che, agli atti del giudizio de quo, esisteva prova della notifica a mezzo PEC dell’atto introduttivo, ma non del fatto che la società destinataria della notifica fosse in possesso di programmi idonei a prendere visione degli atti inviati in forma digitale;
  3. che «quindi, non vi è prova che la stessa abbia potuto prendere visione dell’atto di citazione».

Scacco matto in tre mosse, se ci si passa l’espressione.

Conseguenza: la notifica di specie va ripetuta «secondo l’ordinario procedimento a mezzo ufficiale giudiziario», stante il fatto che «la norma di cui all’art.1 della legge 21 gennaio 1994, n. 20 faculta il giudice» [sic; il riferimento esatto è alla L. 53/1994] a disporre tale tipo di notificazione.

Qualche riflessione

Chi scrive si è trovato spesso a commentare criticamente, per diverse ragioni, provvedimenti giurisdizionali resi in materia di PCT, ma va detto che raramente se ne è rinvenuto uno da cui ci si sentisse di dissentire in modo così aperto e totale, come quello oggi in esame.

E ciò, a cominciare dalla sua stessa premessa, secondo la quale, se la normativa in materia di posta elettronica certificata obbliga le imprese a munirsi di un indirizzo PEC (e, aggiungiamo, anche di un dispositivo di firma digitale), non vi sarebbe invece alcun obbligo legale per le medesime imprese di dotarsi di strumenti in grado di leggere ciò che a tale indirizzo PEC viene inviato dai terzi, previa sottoscrizione digitale, spettando dunque al mittente del messaggio di accertarsi e provare in giudizio la sussistenza di tale capacità di lettura.

Ora, supponiamo per un momento – ma solo per un momento – che il ragionamento appena svolto possa avere un qualche fondamento.

Ma perché, allora, limitarne il raggio d’azione concettuale al riscontro dell’effettiva esistenza, in capo al destinatario di un messaggio PEC, di un software idoneo (peraltro, va detto, reperibile gratuitamente online con uno sforzo davvero minimo) a leggere messaggi sottoscritti digitalmente ad egli inviati, così come fatto dal provvedimento in discorso?

A pensarci su bene, infatti, l’impresa titolare di una casella PEC potrebbe ben essere priva anche di un software capace di leggere un semplice file in formato pdf o in formato testo: non vi è nessuna legge, infatti, che la obblighi a munirsi dell’uno o dell’altro.

Oppure potrebbe non possedere un computer e/o un’idonea connessione a internet, visto che nessuna legge lo prescrive.

Oppure, è ben possibile che l’impresa dotata di casella PEC, software e computer, sia condotta da un titolare ipovedente che, avendo smarrito gli occhiali da vista, non possa leggere il contenuto dei messaggi PEC pervenuti: situazione, si badi, che potrebbe protrarsi sine die, non esistendo alcuna legge che imponga a quel titolare di acquistare un paio di occhiali nuovi e/o di avvalersi di collaboratori per leggergli i messaggi PEC medio tempore giunti in casella.

O, ancora, può darsi che il detentore di una casella PEC si disinteressi completamente di accedervi, posto che, se la legge gli impone di essere dotato di tale casella, non vi è, se non si va errando, alcuna norma che preveda la periodicità di consultazione della stessa.

Ebbene, anche in tutti questi casi, oltre che in quello preso specificamente in esame dal provvedimento de quo, secondo quest’ultimo non sarà la parte onerata a dotarsi di PEC a dover imputare a se medesima d’averne fatto uso incompleto, improprio e comunque non professionale (conclusione che, quantomeno a chi scrive, parrebbe scontata, posto che stiamo parlando di imprenditori, nella specie in forma collettiva, cioè a dire di utilizzatori professionali).

Sarà, invece, onere del mittente (nella specie: l’avvocato notificante) il dover preventivamente accertare che il destinatario di una comunicazione/notifica PEC, sia dotato, prima ancora che della relativa casella di posta, di adeguato software, ma anche di computer, connessione ad internet, occhiali con la giusta gradazione e voglia sufficiente a consentire l’adeguata consultazione della casella stessa, oltre che di quant’altro l’umana fantasia possa aggiungere.

E sarà sempre onere suo darne, non si sa davvero in che modo, adeguata prova in giudizio.

Sul che, conclusivamente, non si che aggiungere, se non ribadire che si dissente in modo quanto mai netto dalle conclusioni tratte dall’ordinanza in commento, le quali, peraltro, sono del tutto contrarie a quelli che sembrano essere i più significativi arresti giurisdizionali sul tema in esame che si stanno per esaminare.

Cosa ha detto la giurisprudenza sul punto

Ed infatti, la lettura di alcuni precedenti di legittimità e merito circa fattispecie quale quella in discussione, concludono in senso diametralmente opposto a quanto opinato dal provvedimento leccese, facendo applicazione del principio di autoresponsabilità nell’utilizzo dello “strumento PEC”, strumento che, come già si osservato, ha finalità intrinsecamente professionali e va trattato, dunque, con professionalità adeguata.

Così, in merito, C. App. Bologna, Sez. III, 30/05/2014, aveva stabilito che

la ricevuta di avvenuta consegna di un messaggio PEC da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario rende legalmente certa l’avvenuta conoscenza del messaggio da parte di quest’ultimo. Di conseguenza è irrilevante la mancata “apertura” del messaggio dovuta ad incuria del destinatario che ha perduto la password, essendo unicamente rilevante l’avvenuta consegna nelle forme legislativamente descritte con assoluta precisione, che generano certezza della effettiva conoscibilità dell’atto.

Dal canto suo, Trib. Mantova, Sez. Lav., 03/06/2014, n. 98, peraltro emessa in fattispecie similare a quella in commento, aveva avuto modo di ribadire che

la circostanza che un soggetto – imprenditore e titolare di indirizzo PEC – ignorasse di doversi munire di apposito software per scaricare e prendere visione dei documenti inviati a tale indirizzo, non giustifica la mancata tempestiva conoscenza di un decreto ingiuntivo notificatogli telematicamente in modo rituale e non legittima la proposizione di opposizione tardiva a tale decreto.

Infine, Cass. Civ., Sez. Lav., 02/07/2014, n. 15070, aveva insegnato che:

una volta ottenuta da parte dell’ufficio giudiziario interessato la prescritta abilitazione, ogni avvocato, dopo la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia attraverso il Consiglio dell’Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria PEC, nel senso che se non la apre ne risente le conseguenze.

Precedenti, questi ultimi di merito e legittimità, univoci in senso drasticamente opposto all’ordinanza oggi in rassegna, la quale, peraltro, neppure si occupa di darne in qualche modo conto.

Documenti & materiali

Scarica Trib. Lecce, ordinanza 16/03/2016
Scarica C. App. Bologna, Sez. III, 30/05/2014
Scarica  Trib. Mantova, Sez. Lav., 03/06/2014, n. 98
Scarica Cass. Civ., Sez. Lav., 02/07/2014, n. 15070

 

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Author: Avv. Luca Lucenti

Avvocato, nato a Pesaro il 20 ottobre 1961. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1991. Abilitato al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Responsabile di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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