Contenuti
Il giurista che, ieri mattina, abbia ascoltato la lettura dei giornali su una qualsiasi emittente radiofonica o televisiva, sicuramente sarà sobbalzato venendo a conoscenza del fatto che le Sezioni Unite della Cassazione avevano dato libero ingresso al danno punitivo nel nostro ordinamento.
Le cose stanno, in effetti così, ma ciò non comporta, come qualcuno ha frettolosamente detto, che d’ora in poi si potranno condannare liberamente le parti a rifondere, a titolo di danno punitivo, qualsivoglia importo il giudice ritenga ad libitum dovuto.
Le SS.UU. (Cass. Civ. SS.UU., 05/07/2017, n. 16601) hanno infatti emesso una decisione che, se per certi versi appare rivoluzionare il sistema, per altri ribadisce in modo chiaro alcuni principi basilari del nostro ordinamento.
Ma procediamo – molto sinteticamente – con ordine.
Il caso
Il caso da cui trae origine la sentenza in esame nasce in Florida ed attiene ad una controversia risarcitoria proposta da un motociclista rimasto lesionato in un sinistro stradale per cause da egli addebitate ad un difetto del casco di protezione che indossava (prodotto da una società italiana e commercializzato da una società statunitense).
Ne è derivato un contenzioso tra questi, la società venditrice (americana) e quella produttrice (italiana) del casco in questione, alquanto complesso e comunque terminato, in estrema sintesi, con la condanna della prima società (americana) a rifondere il danno alla vittima e della seconda società (italiana) a mallevare la prima.
Da ciò, la richiesta di riconoscimento nell’ordinamento italiano ex art. 64 L. 31/05/1995, n. 218 (d.i.p) – concessa dalla Corte d’Appello – ed il successivo ricorso per Cassazione della società italiana, nel contesto del quale la Prima Sezione ebbe a richiedere la rimessione della questione alle Sezioni Unite «per un ripensamento sul tema della riconoscibilità delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi».
Termina qui la rilevanza del caso concreto rispetto alla questione in esame, posto che le Sezioni Unite, oltre a respingere il ricorso, esplicitamente affermano anche come la sentenza (o meglio le sentenze, posto che ve ne erano più d’una) americana oggetto di delibazione ex L. 218/2015 fosse in realtà priva di qualsiasi elemento di punitività, con la conseguenza che la pronuncia in commento viene resa ai sensi dell’art. 363, 3° co., C.P.C..
Il punto sul danno punitivo e sulla sua compatibilità con il nostro ordinamento
Nell’affrontare, dunque, il tema della compatibilità tra danno punitivo e principi dell’ordinamento interno, le Sezioni Unite prendono le mosse da un articolato excursus della giurisprudenza in materia, evidenziandone l’evoluzione da posizioni che sancivano «l’estraneità del risarcimento del danno dell’idea di punizione o di sanzione», oltre che il «carattere monofunzionale della responsabilità civile, avente la sola funzione di “restaurare la sfera patrimoniale” del soggetto leso» (Cass. Civ., Sez. III, 19/01/2007 n. 1183), al ben diverso opinamento secondo cui «la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno «non è più “incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva (…)”» (Cass. Civ., SS. UU., 06/05/2015 n. 9100).
La conclusione che la sentenza in commento trae da tale evoluzione è che
«in sintesi estrema può dirsi che accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell’istituto (che immancabilmente lambisce a deterrenza) è emersa la natura polifunzionale (un autore ha contato più di una decina di funzioni), che si proietta vero più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva».
Una successiva ed ampia disamina della normativa e della giurisprudenza costituzionale, poi, conduce le Sezioni Unite, oltre che a trovare riscontro legislativo specifico della menzionata concezione «polifunzionale della responsabilità civile», anche – nel che stava il punto in ordine al quale le Sezioni Unite erano state chiamate a intervenire – ad affermare la compatibilità (o meglio, più cautamente, la “non incompatibilità ontologica”) tra il nostro ordinamento e le sentenze straniere che portino condanne al risarcimento del danno punitivo.
Limiti
Senonché, dichiarare, come fa il precedente in esame, in termini generali ed in negativo che «non è (…) ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi», non significa certo dare indiscriminato accesso a tale istituto nel nostro ordinamento, assegnando ai giudici una discrezionalità piena sul tema, e non significa neppure ammetterne l’indiscriminata applicazione tramite sentenze straniere che portino un tale tipo di condanna e debbano essere delibate in Italia.
Sotto il primo profilo, infatti, le Sezioni Unite sono molto chiare nell’affermare che l’arresto
«non significa che l’istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati».
Occorrerà, infatti, pur sempre che esista un’adeguata
«”intermediazione legislativa”, in forza del principio di cui all’art. 23 Cost. (correlato agli artt. 24 e 25), che pone una riserva di legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario».
Ed occorrerà, altresì che, anche ove esista un’idonea norma di legge che legittimi l’irrogazione di tale tipo di risarcimento, sia comunque ed altresì verificata
«la proporzionalità tra risarcimento ripararatorio-compensativo e risarcimento punitivo e tra quest’ultimo e la condotta censurata, per rendere riconoscibile la natura della sanzione/punizione»,
nel rispetto del principio di «proporzionalità del risarcimento, in ogni sua articolazione», che costituisce «uno dei cardini della materia della responsabilità civile».
Sotto il secondo profilo – dedicato ai limiti dell’ingresso nel nostro ordinamento di sentenze straniere di condanna al ristoro del danno punitivo – la pronuncia d’altro canto riafferma con la massima chiarezza, da un lato, che, così come «ogni prestazione patrimoniale di carattere sanzionatorio o deterrente non può essere imposta dal giudice italiano senza espressa previsione normativa, similmente dovrà essere richiesto per ogni pronuncia straniera» (la quale, dunque, dovrà fondarsi su un’adeguato presupposto di legge che ne legittimi l’emanazione); e, dall’altro, che le Corti d’Appello dovranno estendere il proprio controllo della sentenza straniera alla verifica della sua proporzionalità, sia “interna” (rapporto equilibrato tra risarcimento compensativo e punitivo), sia “esterna” (rapporto equilibrato tra risarcimento punitivo e condotta lesiva).
Dunque, se è vero che il danno punitivo trova oggi, con la sentenza più volte citata, il (giusto) riconoscimento nel nostro ordinamento, è vero pure che tale riconoscimento viene (giustamente) delimitato sia sotto il profilo dell’an, che dovrà pur sempre essere legittimato dall’esistenza di una espressa previsione di legge, sia sotto quello del quantum, rigorosamente ancorato a criteri di proporzionalità, onde evitare il ricorrere di fenomeni risarcitori «grossly excessive».
Documenti & materiali
Leggi Cass. Civ. SS.UU., 05/07/2017, n. 16601