Nella seduta del 23/01/2019 il Ministro della Giustizia in carica ha illustrato in Parlamento la propria relazione annuale sull’amministrazione della giustizia.
La parte forse più pregnante è quella relativa alla – ennesima – riforma del processo civile che il governo ha in animo di predisporre e che ha già destato e, si prevede, desterà ulteriormente, preoccupazione tra gli operatori del diritto.
Si riporta il passaggio forse più rilevante sul punto, rimandando la lettura dell’intera Relazione al documento che si allega in calce:
«sul piano normativo un nuovo ed incisivo intervento è richiesto, innanzitutto, per quanto riguarda la giustizia civile, ove, nonostante varie iniziative di riforma adottate negli ultimi anni, diffuse permangono le inefficienze.
In tale ambito si è evidenziata da un lato la necessità, improcrastinabile, di aggredire l’eccessiva durata dei tempi del procedimento, dall’altra l’opportunità che gli obiettivi di semplificazione fossero realizzati con interventi calibrati, senza operare stravolgimenti sistemici.
I risultati raggiunti nell’anno 2018, con il conforto delle statistiche a consuntivo, attestano che, se alla fine del 2017 erano circa 3.572.870 le cause civili pendenti, alla data del 31 dicembre 2018 il totale nazionale dei fascicoli pendenti secondo l’analisi dei dati forniti dagli Uffici, raccolti ed elaborati dalla Direzione Generale di Statistica nell’ambito di un monitoraggio periodico pubblicato mensilmente sul sito istituzionale risulta, al netto dell’attività del giudice tutelare, degli accertamenti tecnici preventivi in materia previdenziale e delle verbalizzazioni di dichiarazioni giurate, pari a 3.460.764.
La diminuzione dei procedimenti pendenti, elemento di per sé positivo, non significa però che la giustizia in Italia sia migliorata, potendo, viceversa essere fungere da spia di un’aumentata disaffezione del cittadino verso il sistema giudiziario.
Proprio sulla base di questo convincimento, negli ultimi mesi è stato avviato uno studio analitico sull’impatto che hanno avuto gli interventi normativi posti in essere negli ultimi anni e tesi a deflazionare le cause in ingresso mediante le procedure di composizione stragiudiziale della controversia, studio dal quale si è verificato che, se in alcuni settori, come quello della famiglia, questi strumenti hanno avuto un impatto importante in termini di deflazione del processo, in altri, come quello bancario, il loro effetto è stato praticamente nullo.
Nel merito, dall’analisi della durata media dei procedimenti effettuata, è emerso che la dilatazione dell’attività istruttoria nei processi civili trattati con rito ordinario (che costituiscono quantitativamente la maggior parte del contenzioso) rappresenta uno dei punti rispetto ai quali debbono essere incentrate le azioni, in quanto, valutando lemacro aree del contenzioso ordinario – rito ordinario e rito del lavoro – la durata delle controversie trattate con quest’ultimo, cioè il rito del lavoro, risulta inferiore di circa il 40% (785 giorni a fronte di 1295 giorni di un procedimento di primo grado trattato con rito ordinario).
In ragione della stretta connessione tra la competitività del Paese, come percepita dagli investitori internazionali, e i tempi della giustizia civile, si è deciso, a pochissimi mesi dall’avvio del mandato governativo, di elaborare un testo di riforma del rito civile, che propone una radicale semplificazione del processo civile monocratico, sostituendo, per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, al procedimento ordinario di cognizione un rito semplificato, modellato sullo schema procedimentale del rito sommario di cognizione, con alcune integrazioni ispirate all’ormai rodato rito del lavoro. Il rito ordinario di cognizione è conservato per le cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale».
Documenti & materiali
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