Il licenziamento orale va provato dal lavoratore Cass. Civ., Sez. Lav., 08/01/2021, n. 149

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CASS. CIV., SEZ. LAV., 08/01/2021, N. 149

«La mera cessazione definitiva nell’esecuzione delle prestazioni derivanti dal rapporto di lavoro non è di per sé sola idonea a fornire la prova del licenziamento, trattandosi di circostanza di fatto di significato polivalente, in quanto può costituire l’effetto sia di un licenziamento, sia di dimissioni, sia di una risoluzione consensuale. Tale cessazione non equivale a “estromissione”, parola sovente utilizzata nei precedenti citati ma che non ha un immediato riscontro nel diritto positivo per cui alla stessa va attribuito un significato normativo, sussumendola nella nozione giuridica di “licenziamento”, e quindi nel senso di allontanamento dall’attività lavorativa quale effetto di una volontà datoriale di esercitare il potere di recesso e risolvere il rapporto. L’accertata cessazione nell’esecuzione delle prestazioni può solo costituire circostanza fattuale in relazione alla quale, unitamente ad altri elementi, il giudice del merito possa radicare il convincimento, adeguatamente motivato, che il lavoratore abbia assolto l’onere probatorio sul medesimo gravante circa l’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa datoriale (nel caso di specie era intervenuto recesso datoriale scritto non impugnato dal lavoratore, il quale non aveva fornito la prova che tale recesso era stato, in realtà, intimato oralmente in momento precedente)» (Massima non ufficiale)

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di [Omissis] dichiarava la nullità della domanda proposta da [Omissis], avente ad oggetto differenze retributive connesse al rapporto di lavoro svolto alle dipendenze dell'[Omissis], sull’assunto che nell’atto introduttivo non erano indicate le ore lavorative giornaliere/settimanali di attività lavorativa svolta, e che era inammissibile anche la domanda proposta in via subordinata, avente ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, in quanto incompatibile con quella principale di risoluzione del rapporto per inadempimento, non essendo stato impugnato il licenziamento intimato nel novembre 2007.

2. Con sentenza del [Omissis], la Corte d’appello di [Omissis], in accoglimento parziale dell’appello del [Omissis] ed in parziale riforma della pronunzia impugnata, condannava [Omissis] a pagare al lavoratore Euro 83.813,86 per il titolo di cui in motivazione, oltre accessori di legge, dalle singole scadenze al soddisfo, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

3. La Corte distrettuale non condivideva la decisione del Giudice di primo grado quanto alla declaratoria di nullità della domanda di differenze retributive, osservando, nel pervenire a differente soluzione, che il ricorso di primo grado globalmente analizzato non denotava la totale assenza o l’assoluta incertezza dei requisiti essenziali, in quanto il petitum era in modo soddisfacente delimitabile anche alla luce dei documenti allegati e delle precise richieste istruttorie avanzate dal ricorrente. In conformità ai principi affermati dalla S. C., affermava che la mancata fissazione di un termine perentorio da parte del giudice per la rinnovazione del ricorso o per l’integrazione della domanda e la non tempestiva eccezione da parte del convenuto ex art. 157 c.p.c. del vizio dell’atto dovevano ritenersi indice dell’avvenuta sanatoria dell’eventuale nullità del ricorso carente in relazione all’idonea specificazione dei fatti e degli elementi di cui all’art. 414 c.p.c.

4. Quanto all’ammontare delle differenze retributive, il giudice del gravame riteneva provata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato dal febbraio 1997, con orario full time fino al luglio 2000, con orario part time dall’agosto 2000 e quindi nuovamente full time dal 1.3.2005 ed identificava il livello di appartenenza del [Omissis], diverso da quello riconosciuto, in relazione al quale determinava il quantum dovuto.

5. Con riguardo al capo di sentenza concernente l’impugnativa di licenziamento orale, ricondotto temporalmente dal lavoratore al marzo 2007, la Corte distrettuale osservava che ciò era contraddetto dal dato documentale del recesso datoriale intimato con missiva del novembre 2007, non impugnato dal lavoratore, il quale non aveva fornito la prova che il recesso era avvenuto in epoca precedente a tale ultima data.

6. Erano poi, secondo il giudice del gravame, da considerarsi nuovi i motivi proposti per la prima volta in appello afferenti all’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto dalla datrice a fondamento del proprio recesso.

7. Di tale decisione domanda la cassazione l’ [Omissis], affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste con controricorso il [Omissis], che propone ricorso incidentale, affidato a tre motivi.

8. L’associazione, ricorrente principale, ha depositato, in prossimità dell’udienza, atto di rinuncia al ricorso per cassazione, che è stato notificato alla controparte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l'[Omissis] Onlus denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 414 – 434 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 163 – 164 c.p.c., assumendo che non era applicabile al caso di specie la sanatoria di cui all’art. 164 c.p.c. non essendo l’individuazione del diritto fatto valere consentita attraverso l’esame complessivo dell’atto introduttivo.

2. Con il secondo motivo, sono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 assumendo la ricorrente che la ricostruzione fattuale sia stata impostata in maniera unidirezionale, sulla scorta di alcune delle risultanze istruttorie, tralasciando altri e diversi elementi anche di carattere documentale la cui corretta valutazione avrebbe condotto ad altri risultati.

3. Con il terzo, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., sostenendo che il Collegio abbia travisato i fatti nel momento in cui, a causa di una errata o superficiale valutazione delle risultanze istruttorie, ha ritenuto sussistente un rapporto di piena dipendenza del [Omissis] dall’ [Omissis] sin dall’anno 1997.

4. In relazione al ricorso principale va dichiarata l’estinzione del processo.

4.1. La rinunzia al ricorso per cassazione non ha carattere cosiddetto accettizio, che richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali (Cass. 23 dicembre 2005, n. 28675; Cass. 15 ottobre 2009, n. 21894; Cass. 5 maggio 2011, n. 9857; Cass. 26 febbraio 2015, n. 3971) ma carattere recettizio.

4.2. L’accettazione della controparte rileva unicamente quanto alla regolamentazione delle spese, stabilendo l’art. 391 c.p.c., comma 2 che, in assenza di accettazione, la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese.

4.3. L’art. 391 c.p.c., comma 4 prevede che, in caso di rinuncia, non è pronunciata condanna alle spese se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente, o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale;

4.4. Nel caso in esame, pur dovendo pervenirsi alla declaratoria di estinzione del processo quanto al ricorso principale, deve rilevarsi che non è intervenuta accettazione da parte del [Omissis] in persona del suo difensore debitamente autorizzato. Inoltre, pur dandosi atto nell’atto di rinunzia dell’esistenza di un verbale di conciliazione sindacale intervenuto tra le parti in data 24.6.2020, tale verbale non è stato depositato.

4.5. Il tenore della pronunzia, che è di estinzione e non di rigetto o di inammissibilità od improponibilità, esclude l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, prevedente l’obbligo, per il ricorrente non vittorioso, di versare una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione, trattandosi di norma lato sensu sanzionatoria e comunque eccezionale ed in quanto tale di stretta interpretazione (cfr. Cass. 30 settembre 2015, n. 19560).

RICORSO INCIDENTALE del [Omissis]:

5. Con il primo motivo, il [Omissis] deduce violazione degli artt. 2095,2013 c.c., dell’art. 37 CCNL UNEBA in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonché omessa motivazione, per avere la Corte distrettuale ritenuto erroneamente che non era stata raggiunta la prova in ordine alla qualifica di direttore di unità operativa, corrispondente al primo livello o quanto meno al terzo super, anche sulla base delle risultanze documentali.

6. Con il secondo motivo, denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 604 del 1966, artt. 2 e 5 assumendo che la Corte non ha esaminato le prove documentali prodotte nel fascicolo di parte e non disconosciute, con le quali esso [Omissis] aveva formulato, in diverse date, offerta scritta di lavoro, e specificamente il 2.4.2007 ed il 7.4.2007, proprio in virtù del licenziamento orale del legale rappresentante dell’ [Omissis]. Adduce che la Corte non abbia valutato la missiva presentata in data 12.4.2007 dal legale rappresentante alla Commissione Provinciale del Lavoro avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento.

6.1. Osserva, poi, che i giudici del gravame hanno violato l’art. 2697 c.c. in tema di riparto dell’onere della prova relativamente all’impugnativa di licenziamento adottato senza comunicazione scritta, essendo a carico del datore la prova concernente il requisito della forma scritta del licenziamento per essere il lavoratore gravato unicamente di quella della cessazione del rapporto. Sostiene che la Corte abbia in tale modo onerato il lavoratore di una prova diabolica.

7. Con il terzo motivo, lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 354 c.p.c., comma 2, in relazione all’individuazione di motivi nuovi relativamente alle deduzioni concernenti l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto dalla datrice a fondamento del proprio recesso. Adduce che l’onere della prova gravante sull’imprenditore riguarda sia l’effettività delle ragioni poste a fondamento del licenziamento, sia l’impossibilità di impiego del dipendente licenziato nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

8. Il ricorso incidentale è da respingere.

9. Quanto al primo motivo, è sufficiente, in primo luogo, evidenziare l’omesso deposito del c.c.n.l. di riferimento, di cui, peraltro, non è indicata neanche la sede idonea al suo eventuale reperimento nell’ambito delle produzioni delle parti relative ai gradi di giudizio di merito, ciò che si riflette in termini di inammissibilità del motivo;

9.1. Va invero ribadito il principio, reiteratamente affermato da questa Corte, secondo cui l’onere del ricorrente di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, munita di visto ai sensi dell’art. 369, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 195 del 2016, 21554 del 2017, 28893 del 2019; 31396 del 2019).

10. In ordine al secondo motivo, va rilevato che le prove documentali – che avrebbero avuto, secondo il [Omissis], una valenza significativa ai fini della prova del recesso datoriale -, oltre a non essere trascritte, non vengono indicate con riferimento alla sede del relativo deposito e ciò contravviene ai principi in tema di specificità.

11. In relazione alle censure relative agli oneri probatori gravanti sulle parti in tema di licenziamento orale, la prova a carico del lavoratore che il rapporto si è concluso per volontà del datore è affermata da Cass. 31501/2018 e da ultimo, con esaustiva ricognizione del tema, da Cass. 16.5.2019 n. 13195 e Cass. 8.2.2019 n. 3822.

11.1. É stato evidenziato come “la mera cessazione definitiva nell’esecuzione delle prestazioni derivanti dal rapporto di lavoro non è di per sé sola idonea a fornire la prova del licenziamento, trattandosi di circostanza di fatto di significato polivalente, in quanto può costituire l’effetto sia di un licenziamento, sia di dimissioni, sia di una risoluzione consensuale. Tale cessazione non equivale a “estromissione”, parola sovente utilizzata nei precedenti citati ma che non ha un immediato riscontro nel diritto positivo per cui alla stessa va attribuito un significato normativo, sussumendola nella nozione giuridica di “licenziamento”, e quindi nel senso di allontanamento dall’attività lavorativa quale effetto di una volontà datoriale di esercitare il potere di recesso e risolvere il rapporto. L’accertata cessazione nell’esecuzione delle prestazioni può solo costituire circostanza fattuale in relazione alla quale, unitamente ad altri elementi, il giudice del merito possa radicare il convincimento, adeguatamente motivato, che il lavoratore abbia assolto l’onere probatorio sul medesimo gravante circa l’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa datoriale” (cfr. in tali termini Cass. 13195/2019).

11.2. L’onere probatorio del convenuto in ordine alle eccezioni da lui proposte sorge in concreto solo quando l’attore abbia a sua volta fornito la prova dei fatti posti a fondamento della domanda, sicché l’insufficienza (o anche la mancanza) della prova sulle circostanze dedotte dal convenuto a confutazione dell’avversa pretesa non vale a dispensare la controparte dall’onere di dimostrare adeguatamente la fondatezza nel merito della pretesa stessa (cfr. Cass. 13195 cit., con richiamo a Cass. n. 1522 del 1983; Cass. n. 3148 del 1985; Cass. n. 3099 del 1987; Cass. n. 2680 del 1993; Cass. n. 5192 del 1998; Cass. n. 8164 del 2000; Cass. n. 3642 del 2004; Cass. n. 13390 del 2007). Ciò senza considerare che nel caso di specie il datore aveva provato di avere intimato il licenziamento con missiva del novembre 2007 e che aveva negato l’esistenza stessa di una precedente cessazione del rapporto di lavoro.

12. Anche le doglianze contenute nel terzo motivo vanno disattese, ove si consideri che le stesse si pongono su un piano diverso rispetto a quello del decisum, in quanto la Corte distrettuale ha affermato che non solo era riscontrabile il difetto di apposita impugnativa del licenziamento del novembre 2007, ma mancava nel ricorso introduttivo ogni contestazione in ordine alle ragioni addotte da parte datoriale a giustificazione dello stesso, oltre ad una richiesta di declaratoria di invalidità del medesimo, onde le deduzioni svolte erano da considerarsi nuove.

12.1. Era onere del ricorrente incidentale trascrivere, per le parti di rilievo, le deduzioni, tempestivamente formulate, concernenti l’insussistenza del g.m.o. al fine di confutare il rilievo del carattere di novità delle stesse effettuato dalla Corte distrettuale.

13. Le spese del presente giudizio di legittimità possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza.

14. Sussistono per il ricorrente incidentale le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il processo relativamente alle domande proposte con il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., ove dovuto.

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