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CASS. CIV., SEZ. III, 08/02/2021, N. 2904
«Con riferimento ai debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, anche se la circostanza che il debito sia sorto nell’ambito dell’impresa o dell’attività professionale non è di per sé idonea ad escludere in termini assoluti che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia, risponde invero a nozione di comune esperienza che le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia.
É pertanto necessario l’accertamento da parte del giudice di merito della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia in senso ampio intesi avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto.
La prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale. Dunque, ove venga proposta opposizione ex art. 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente ma anche che il suo debito verso quest’ultimo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Poiché il vincolo de quo opera esclusivamente nei confronti dei creditori consapevoli che l’obbligazione è stata contratta non già per far fronte ai bisogni della famiglia ma per altra e diversa finalità alla famiglia estranea, si è sottolineato come tale consapevolezza debba sussistere al momento del perfezionamento dell’atto da cui deriva l’obbligazione.
La prova dell’estraneità e della consapevolezza in argomento può essere peraltro fornita anche per presunzioni semplici» (Massima non ufficiale)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 14/2/2017 la Corte d’Appello di [Omissis] ha respinto i gravami interposti dal sig. [Omissis] – in via principale – e dalla sig. [Omissis] – in via incidentale – in relazione alla pronunzia Trib. [Omissis], di rigetto dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., proposta nell’ambito della procedura esecutiva promossa dalla [Omissis] s.p.a. avente ad oggetto il compendio immobiliare costituito da appartamento sito in [Omissis] e dal relativo garage, stante la ravvisata inopponibilità alla creditrice procedente del relativo conferimento in fondo patrimoniale, e comunque l’inefficacia ex art. 2901 c.c.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il [Omissis] propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.
Resiste con controricorso la Banca [Omissis] s.p.a. (già [Omissis] s.p.a., già Nuova [Omissis] s.p.a.).
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 1407 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia attribuito alla notifica della cessione del credito al debitore ceduto “un ruolo del tutto residuale” nonché tralasciato di considerare l’ulteriore eccezione concernente la sua “omessa accettazione della cessione del contratto”.
Il motivo è inammissibile.
Esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, alla cessione del contratto”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso né fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008. n. 15808: Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass. 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004. n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
L’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono pertanto dall’odierno ricorrente non idoneamente censurati.
Con il 2^ motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 170 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Si duole che, nel ribadire che “l’onere probatorio è in capo al debitore che invochi l’applicabilità dell’art. 170 c.c., il quale deve dimostrare che il debito sorto è estraneo ai bisogni della famiglia e che il creditore è consapevole di tale estraneità”, la corte di merito abbia nella specie ravvisato la pignorabilità dei beni in virtù dell’essere stato il debito contratto per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia.
Lamenta che “non tutti i debiti che sorgono in capo al pater familias che abbia una partecipazione sociale, automaticamente hanno una matrice “familiare” e certamente il fatto che (…) fosse socio della [Omissis] s.r.l. non può conferire l’automatismo voluto dalla Corte [Omissis] “, avendo la corte di merito erroneamente tratto tale conclusione in via presuntiva laddove nella specie trattasi di mera fideiussione “improvvidamente prestata ad un amico”.
Si duole non essere stata “in alcun modo fornita la prova che il fatto generatore dell’obbligazione, contratta (…) rilasciando una fideiussione, si dovesse rinvenire nello scopo di soddisfare i bisogni della famiglia”, e che per converso l'”attenta verifica.. delle pretese creditorie azionate in via monitoria dalla [Omissis] s.p.a. chiarisce inequivocabilmente che la creditrice procedente non poteva ignorare, e non lo può tuttora, che il debito contratto dal [Omissis] in forza della garanzia fideiussoria prestata a favore della società [Omissis] s.r.l., non poteva avere nulla a che vedere, neppure ipoteticamente, con i bisogni della famiglia dell’istante, con le esigenze di pieno mantenimento della stessa e con le necessità dell’armonico sviluppo della famiglia”.
Lamenta essersi nell’impugnata sentenza dalla corte di merito ravvisata la pignorabilità del bene “in totale spregio delle risultanze probatorie acquisite”, e “sulla scorta di sole presunzioni”.
Con il 3^ motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 115,116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia ritenuto inammissibili le formulate richieste istruttorie erroneamente ritenendole non espressamente riproposte in sede di gravame, laddove l'”esame degli atti del giudizio di secondo grado consente di avere la prova che le istanze istruttorie sono state riproposte”, e “i capitoli di prova formulati.. erano finalizzati.. a dimostrare la consapevolezza della [Omissis] di agire illegittimamente in via esecutiva su di un bene impignorabile”.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono p.q.r. fondati e vanno accolti nei termini e limiti di seguito indicati.
Il fondo patrimoniale indica la costituzione su determinati beni (immobili o mobili registrati o titoli di credito) da parte di uno o di entrambi i coniugi (o anche di un terzo), con convenzione matrimoniale assoggettata ad oneri formali (art. 167 c.c., comma 1) e pubblicitari (art. 162 c.c., comma 4 e D.P.R. n. 396 del 2000, art. 69), (v. Cass., 8/10/2008, n. 24798; Cass., 10/7/2008, n. 18870; Cass., 5/4/2007, n. 8610; Cass., 15/3/2006, n. 5684; Cass., 1/10/1999, n. 10859. Cfr. altresì Cass., 27/11/2012, n. 20995), di un vincolo di destinazione (art. 169 c.c.) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia (art. 170 c.c.).
Indica altresì il relativo regime di cogestione da parte dei coniugi (artt. 167 c.c. e segg.).
Il vincolo di destinazione impresso ai beni comporta che essi non siano aggredibili per debiti che i creditori conoscevano essere stati contratti per bisogni estranei alla famiglia (art. 170 c.c.).
A tale stregua, il detto vincolo limita l’aggredibilità dei beni conferiti solamente alla ricorrenza di determinate condizioni (art. 170 c.c.), rendendo più incerta o difficile la soddisfazione del credito, conseguentemente riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti in violazione dell’art. 2740 c.c., che impone al debitore di rispondere con tutti i suoi beni dell’adempimento delle obbligazioni, a prescindere dalla relativa fonte (v. Cass., 7/10/2008, n. 24757; Cass., 7/1/2007, n. 966; Cass., 15/3/2006, n. 5684; Cass., 7/3/2005. n. 4993; Cass., 2/8/2002, n. 11537; Cass., 21/5/1997, n. 4524; Cass., 2/9/1996, n. 8013; Cass., 18/3/1994, n. 2604).
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la costituzione del fondo patrimoniale può essere dichiarata inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. (v. Cass., 7/10/2008, n. 24757; Cass., 7/1/2007, n. 966; Cass., 7/3/2005, n. 4933; Cass., 2/8/2002, n. 11537: Cass., 21/5/1997, n. 4524; Cass., 2/9/1996, n. 8013; Cass., 18/3/1994, n. 2604), mezzo di tutela del creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, poiché con l’azione revocatoria ordinaria viene rimossa, a vantaggio dei creditori, la limitazione alle azioni esecutive che l’art. 170 c.c., circoscrive ai debiti contratti per i bisogni della famiglia (v. Cass., 7/7/2007, n. 15310), sempre che ricorrano le condizioni di cui all’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1 (v. Cass., 17/6/1999, n. 6017, e, conformemente, Cass., 7/10/2008, n. 24757), senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore da quest’ultimo avuto di mira nel compimento dell’atto dispositivo (a tale stregua considerandosi soggetti all’azione revocatoria anche gli “atti aventi un profondo valore etico e morale”, come ad es. il trasferimento della proprietà di un bene effettuato a seguito della separazione personale per adempiere al proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge, in favore di quest’ultimo: in tali termini v. Cass., 26/7/2005, n. 15603), per la sussistenza del consilium fraudis essendo in particolare sufficiente, nel caso in cui la costituzione sia avvenuta anteriormente al sorgere del debito, la consapevolezza da parte dei debitori del pregiudizio che mediante l’atto di disposizione venga in concreto arrecato alle ragioni del creditore (v. Cass., 23/9/2004, n. 19131).
Atteso che l’art. 170 c.c., disciplina l’efficacia sui beni del fondo patrimoniale di titoli che possono giustificare l’esecuzione su di essi (v. Cass., 5/3/2013, n. 5385), il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura – ex contractu” o “ex delitto – delle obbligazioni (v. Cass., 26/7/2005, n. 15603; Cass., 18/7/2003. n. 11230), ma nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia (v. Cass., 8/7/2003, n. 11230: Cass., 31/5/2006. n. 12998. E, conformemente, da ultimo, Cass., 19/6/2018, n. 16176, Cfr. altresì Cass., 7/7/2009, n. 15862).
A tale stregua, delle obbligazioni assunte, anche anteriormente alla costituzione del fondo (v. Cass., 9/4/1996, n. 3251), per bisogni estranei alla famiglia, i beni vincolati in fondo patrimoniale non rispondono.
Si è da questa Corte posto d’altro canto in rilievo che i bisogni della famiglia sono da intendersi non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensì (analogamente a quanto, prima della riforma di cui alla richiamata L. n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali) nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (v. Cass., 7/1/1984, n. 134).
In altri termini, i bisogni della famiglia debbono essere intesi in senso lato, non limitatamente cioè alle necessità c.d. essenziali o indispensabili della famiglia ma avendo più ampiamente riguardo a quanto necessario e funzionale allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare secondo il relativo indirizzo, e al miglioramento del benessere (anche) economico della famiglia (cfr. Cass., 19/2/2013, n. 4011), concordato ed attuato dai coniugi (cfr. Cass., 23/8/2018, n. 20998: Cass., 19/2/2013, n. 4011; Cass., 5/3/2013, n. 5385).
Con particolare riferimento ai debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, anche se la circostanza che il debito sia sorto nell’ambito dell’impresa o dell’attività professionale non è di per sé idonea ad escludere in termini assoluti che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (v. Cass., 26/3/2014, n. 15886; Cass., 7/7/2009, n. 15862), risponde invero a nozione di comune esperienza che le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12998, ove si è sottolineato come la finalità di sopperire ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa).
É pertanto necessario l’accertamento da parte del giudice di merito della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia in senso ampio intesi (v. Cass., 24/2/2015, n. 3738), avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto.
Va al riguardo per altro verso sottolineato che il vincolo di inespropriabilità ex art. 170 c.c., deve essere contemperato con l’esigenza di tutela dell’affidamento dei creditori.
Atteso che la prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, ove come nella specie venga proposta opposizione ex art. 615 c.p.c., per contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente il debitore opponente deve dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente ma anche che il suo debito verso quest’ultimo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia (cfr. Cass., 29/1/2016, n. 1652; Cass., 19/2/2013, n. 4011; Cass., 5/3/2013, n. 5385; Cass., 7/2/2013, n. 2970; Cass., 15/3/2006, n. 5684).
Poiché il vincolo de quo opera esclusivamente nei confronti dei creditori consapevoli che l’obbligazione è stata contratta non già per far fronte ai bisogni della famiglia ma per altra e diversa finalità alla famiglia estranea, si è sottolineato come tale consapevolezza debba sussistere al momento del perfezionamento dell’atto da cui deriva l’obbligazione.
La prova dell’estraneità e della consapevolezza in argomento può essere peraltro fornita anche per presunzioni semplici (v. Cass., 17/1/2007, n. 966; e, conformemente, Cass., 8/8/2007, n. 17418. Con riferimento alla prova della consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori quale condizione per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, cfr. Cass., 11/2/2005, n. 2748).
É pertanto sufficiente provare che lo scopo dell’obbligazione apparisse al momento della relativa assunzione come estraneo ai bisogni della famiglia.
Orbene, i suindicati principi sono rimasti dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.
Atteso che la vicenda attiene a pignoramento (notificato il 7/12/1994) della [Omissis] s.p.a. avente ad oggetto compendio immobiliare (integrato da appartamento sito in [Omissis] e dal relativo garage) dall’odierno ricorrente conferito in fondo patrimoniale il precedente 10/10/1993, e che gli importi il cui pagamento è stato dalla Banca richiesto sono relativi a fideiussioni dal medesimo prestate a garanzia di affidamenti ottenuti dalla società [Omissis] s.r.l., di cui era socio, tale giudice ha disatteso i suindicati principi là dove ha in particolare affermato che “in difetto di qualsiasi prova od allegazione su di una qualche diversa fonte di sostentamento della famiglia, appare del tutto legittimo presumere che dall’attività d’impresa di cui faceva parte il [Omissis] derivassero i mezzi di sostentamento del nucleo familiare, di modo che le obbligazioni fideiussorie assunte ricollegabili a tale rapporto societario ben possono ritenersi rientrare nell’alveo di quelle prestate nell’interesse della famiglia”.
Non è dato invero evincere su quali basi e con quali argomentazioni la corte di merito abbia evinto che la stipulazione delle fideiussioni sia stata dall’odierno ricorrente nella specie operata non già quale atto di esercizio della propria attività imprenditoriale volto a garantire la Banca in ordine agli affidamenti concessi funzionali allo svolgimento dell’attività della società (di cui era socio), quanto bensì per sopperire ai bisogni della famiglia.
Non risulta infatti dalla corte di merito fornita indicazione alcuna circa gli elementi o indizi deponenti nel senso dell’essere stata la stipulazione delle fideiussioni de quibus direttamente ed automaticamente volta anziché a favorire lo svolgimento dell’attività societaria al soddisfacimento viceversa dei bisogni della propria famiglia.
Né a fortiori emerge su quali basi la corte di merito sia pervenuta alla raggiunta conclusione in base ad una prova per presunzioni.
Non spiega infatti come abbia potuto ritenere che risponda all’id quod plerumque accidit che il professionista o come nella specie l’imprenditore, ove coniugato, nell’esercizio della propria attività professionale o imprenditoriale di norma assuma debiti non già al fine del relativo espletamento quanto bensì per direttamente ed immediatamente sopperire ai bisogni della famiglia.
Le obbligazioni concernenti l’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale risultano per converso avere di norma un’inerenza diretta ed immediata con le esigenze dell’attività imprenditoriale o professionale, solo indirettamente e mediatamente potendo assolvere (anche) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia (arg. ex art. 178 c.c. e art. 179 c.c., lett. d), se e nella misura in cui con i proventi della propria attività professionale o imprenditoriale il coniuge, in adempimento dei propri doveri ex art. 143 c.c., vi faccia fronte.
É fatta peraltro salva la prova contraria, potendo dimostrarsi che pur se posto in essere nell’ambito dello svolgimento dell’attività d’impresa o professionale nello specifico caso concreto, diversamente dall’id quod plerumque accidit, l’atto di assunzione del debito è eccezionalmente volto ad immediatamente e direttamente soddisfare i bisogni della famiglia.
Orbene, nell’impugnata sentenza la corte di merito ha errato là dove, pur esattamente movendo dal principio affermato da questa Corte secondo cui l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia, ha invero errato là dove ha invero omesso di valutare – dandone congruamente conto – l’aspetto relativo all’inerenza diretta ed immediata delle stipulate fideiussioni de quibus con specifico riguardo alla causa concreta degli stipulati contratti di garanzia in argomento (v. Cass., 10/6/2020, n. 11092; Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882; Cass., 6/7/2018, n. 17718; Cass., 19/3/2018, n. 6675; Cass., 22/11/2016, n. 23701).
Ha altresì errato là dove ha fondato la propria decisione su una ravvisata prova presuntiva di cui non è dato invero evincere quale sia il relativo provato fatto base da cui ha argomentato, né risulta spiegato su quali basi l’abbia ritenuta consentanea all’id quod plerumque accidit che appalesa viceversa di segno contrario.
Va ulteriormente posto in rilievo che l’affermazione secondo cui “in difetto di qualsiasi prova od allegazione su di una qualche diversa fonte di sostentamento della famiglia, appare del tutto legittimo presumere che dall’attività d’impresa di cui faceva parte il [Omissis] derivassero i mezzi di sostentamento del nucleo familiare, di modo che le obbligazioni fideiussorie assunte ricollegabili a tale rapporto societario ben possono ritenersi rientrare nell’alveo di quelle prestate nell’interesse della famiglia”, oltre che del tutto apodittica e intrinsecamente ed irrimediabilmente illogica, non consente invero nemmeno di evincere che al momento della stipulazione la Banca fosse consapevole che la finalità da quest’ultimo con essa perseguita fosse non già correlata all’esercizio della propria attività imprenditoriale bensì direttamente ed esclusivamente alla tutela dei bisogni della famiglia, quand’anche latamente intesi.
Senza sottacersi, da un canto, che risulta a tale stregua dai giudici di merito indebitamente e del tutto immotivatamente imposto a carico del debitore odierno ricorrente un onere di “prova od allegazione su di una qualche diversa fonte di sostentamento della famiglia” privo invero di fondamento alcuno, con conseguente violazione pertanto (anche) della regola di ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.
Per altro verso, che movendo dal ravvisato “difetto di qualsiasi prova od allegazione” al riguardo, l’inammissibilità dei mezzi di prova proposti dall’odierno ricorrente (e in particolare dell’articolata prova testimoniale in ragione della sussistenza “già agli atti” di “elementi sufficienti onde addivenire ad una corretta pronuncia sul punto”) ritenuta dalla corte di merito si appalesa ulteriormente contrastare con il principio affermato da questa Corte in base al quale la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza se il giudice trae conseguenze dalla mancata osservanza dell’onere sancito all’art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo (v. Cass., 5/5/2020, n. 8466; Cass., 3019/2019, n. 24205; Cass., 21/4/2005, n. 8357; Cass., 21/10/1992, n. 11491; Cass., 9/11/1981, n. 5915; Cass., 21/3/1979. n. 1627; Cass., 19/7/1975, n. 2867; Cass., 2/3/1963, n. 789).
Alla fondatezza nei suindicati termini e limiti del 2 e del 3 motivo, rigettato il 1 motivo, consegue la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di [Omissis], che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di [Omissis], in diversa composizione.
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