E se dimentico la formula esecutiva? in nota a Cass. Civ., Sez. III, 12/02/2019, n. 3967

By | 07/03/2019

A qualcuno è capitato di procedere ad esecuzione forzata dopo aver notificato il titolo senza, tuttavia, la relativa formula esecutiva (nella specie il titolo era costituito da un rogito notarile).

A fronte dell’opposizione dell’esecutato, il giudice di primo grado (Tribunale di Ancona) aveva annullato l’esecuzione, ma poi, la corte territoriale di Ancona aveva invece riformato la sentenza ritenendo che la mancanza della formula esecutiva era da ritenersi sanata ex art. 156 cpc con la proposizione dell’opposizione.

Il caso arriva sino in Cassazione la quale, prima di tutto ed in via preliminare, si domanda se l’eccezione di difetto di formula esecutiva va sollevata con opposizione agli atti esecutivi oppure con opposizione all’esecuzione, con ogni conseguente effetto anche procedurale.

E con la sentenza 12/02/2019, n. 3967 che qui si segnala, la III^ Sezione della Corte di Cassazione considera che:

«la questione, in sostanza, è se – riprendendo la tradizionale distinzione fra le diverse forme di patologia processuale recentemente riaffermata anche dalle Sezioni unite in tema di notificazioni (Sez. U, Sentenza n. 4916 del 20/07/2016, Rv. 640603) – l’omessa apposizione della formula esecutiva sul titolo ne determina l’inesistenza, ovvero dia luogo ad una mera irregolarità formale. Ciò in quanto, nel primo caso, la carenza dei presupposti dell’azione espropriativa potrebbe essere rilevata d’ufficio o denunciata dall’opponente fintanto che non sia stata disposta la vendita o l’assegnazione, a norma degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c., (art. 615 c.p.c., comma 2); nell’altra ipotesi, invece, il vizio sarebbe censurabile nelle forme e nei termini propri dell’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)».

E continua ritenendo che

«sul punto, occorre dare continuità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la denuncia dell’omessa apposizione della formula esecutiva configura un’opposizione agli atti esecutivi allorquando si faccia riferimento solamente alla correttezza della spedizione del titolo in forma esecutiva richiesta dall’art. 475 c.p.c., di cui non si ponga in dubbio l’esistenza, poichè in tal caso il difetto si concreta in una irregolarità del procedimento esecutivo o del precetto. Viceversa, allorchè si contesti l’inesistenza del titolo esecutivo ovvero la mancata soddisfazione delle condizioni perchè l’atto acquisti efficacia esecutiva, l’opposizione deve qualificarsi come proposta ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ. (Sez. 3, Sentenza n. 13069 del 05/06/2007, Rv. 597293; conf. Sez. 3, Sentenza n. 24279 del 30/11/2010, Rv. 614900; Sez. 3, Sentenza n. 25638 del 14/11/2013, Rv. 628755)».

Quanto al merito dell’eccezione, la Corte si sofferma a ricordare che secondo la dottrina più risalente – formatasi già sotto il codice del 1865 – l’apposizione della formula esecutiva (che costituisce un unicum inscindibile con la spedizione in forma esecutiva) è non altro che un’affermazione esteriore e solenne d’una efficacia che già è inerente al titolo esecutivo in sè considerato. Si tratterebbe, quindi, di un residuo storico, di un requisito più formalistico che formale.

Tuttavia, la Corte ritiene preferibile l’opinione di chi osserva che per l’individuazione dell’effettiva funzione della formula esecutiva occorre considerare che la stessa va apposta all’esito di un controllo sulla “perfezione formale” del titolo prescritto dall’art. 153 disp. att. c.p.c., sicchè l’adempimento in questione vale a sugellare la rilevanza dell’atto come idoneo a sostenere l’azione esecutiva (a tal proposito è stato affermato che il diritto a procedere ad esecuzione forzata sarebbe soggetto ad una condicio iuris impropria – l’apposizione della formula – il cui avveramento soltanto ne consente l’esercizio).

La Corte riassume l’importanza dell’apposizione della formula precisando che:

«mediante la spedizione in formula esecutiva si verifica: (a) l’esistenza di una norma che conferisca all’atto la qualità di titolo esecutivo, giusta la riserva di legge contenuta nell’art. 474 c.p.c.; (b) l’esigibilità del diritto, che – secondo la chiara lettera dell’art. 474 c.p.c., comma 1, – costituisce un presupposto dell’azione esecutiva distinto dalla valenza astratta dell’atto come titolo esecutivo; (c) trattandosi di credito di somme di denaro o di cose determinate secondo il genere, la sussistenza del requisito della liquidità, anch’esso richiesto dell’art. 474 c.p.c., comma 1; (d) trattandosi di scritture private autenticate, che esse contengano una obbligazione di somme di denaro (art. 474 c.p.c., comma 2, n. 2). ».
Pertanto, qualora si ponga in esecuzione un provvedimento giudiziario, la spedizione del titolo in forma esecutiva postula l’accertamento che non ne sia stata disposta la sospensione della provvisoria esecutività o che lo stesso non sia stato revocato, annullato o cassato. Ed ancora, non potrà provvedersi alla spedizione se non siano provati l’avveramento della condizione sospensiva, l’esecuzione della controprestazione, l’avvenuta scelta nell’obbligazione alternativa.
Altra funzione della spedizione in forma esecutiva è quella di individuare la parte che ha diritto ad utilizzare il titolo, alla quale soltanto può esserne dato il possesso (art. 475 c.p.c., comma 2).
Infine, la spedizione in forma esecutiva consente il controllo del numero delle copie del titolo esecutivo in circolazione, giacchè l’art. 476 c.p.c., dispone che non può spedirsi “senza giusto motivo” più di una copia in forma esecutiva alla stessa parte. Tale previsione, unitamente a quella secondo cui solo il presidente del tribunale o il giudice dell’esecuzione possono autorizzare il creditore a ritirare il titolo esecutivo, sostituendolo con copia autentica (art. 488 c.p.c., comma 2), valgono a mantenere sotto il controllo dell’autorità giudiziaria l’esercizio della facoltà di cumulo dei mezzi di espropriazione (art. 483 cod. proc. civ.)».

Ciò ricordato e precisato la Suprema Corte chiarisce che si deve, pertanto, escludere che la funzione della spedizione del titolo in forma esecutiva serva semplicemente (come nella specie affermava la Corte d’appello) a consentire all’intimato di avere piena cognizione della pretesa fatta valere nei suoi confronti. Anzi, tale funzione sembra del tutto estranea alla spedizione in forma esecutiva, spettando semmai all’atto di precetto assolvere a tale scopo. Di conseguenza, la conoscenza del titolo esecutivo comunque avuta dal debitore non basta a sanare, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, il vizio dell’omessa spedizione in forma esecutiva della copia a lui destinata, in quanto non è questa la finalità dell’adempimento imposto dall’art. 475 c.p.c.. Allo stesso modo, secondo la Corte, non produce alcun effetto sanante la proposizione di un’opposizione agli atti esecutivi volta a far valere il predetto vizio formale.

Però la Corte considera anche che:

«la sanatoria dell’atto nullo che abbia comunque raggiunto il suo scopo si determina tutte le volte in cui non risulta concretamente leso lo specifico interesse tutelato dalla norma processuale che regola la fattispecie. Si tratta, dunque, di un’ipotesi particolare di carenza di interesse (a dedurre la nullità processuale)».

Pur così ritenendo, la Corte ha tuttavia chiarito che il tema dell’effettività della lesione dei diritti di difesa (e quindi della concretezza di un interesse effettivamente pregiudicato dall’atto processuale nullo) ha un ambito di rilevanza più ampio: qualsiasi denuncia di un error in procedendo deve essere accompagnata dalla enucleazione di un concreto pregiudizio subito dalla parte, poichè non esiste un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria. I principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire impongono che l’impugnazione basata sulla violazione di regole processuali possa essere accolta solo se in tal modo la parte ottiene una pronuncia diversa e più favorevole del che la parte che intende far valere la nullità processuale deve indicare quale attività processuale gli sia stata preclusa per effetto della denunciata nullità.

Questo principio resta fermo anche in materia esecutiva, dove per la deduzione degli errores in procedendo è prevista un’apposita azione (art. 617 c.p.c.). per cui l’opponente, pertanto, non può limitarsi a lamentare l’esistenza dell’irregolarità formale in sè considerata, senza dedurre che essa abbia davvero determinato un pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo.

In conclusione, a prescindere dall’assolvimento delle molteplici funzioni propria della spedizione in forma esecutiva (par. 2.2), il debitore che intenda opporre, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., la mancanza sul titolo della formula prevista dall’art. 475 c.p.c., deve contestualmente indicare quale effettivo pregiudizio dei suoi diritti di difesa sia derivato da tale omissione. In mancanza, l’opposizione dovrà essere dichiarata inammissibile per carenza di interesse.

Sulla base delle considerazioni di cui sopra la Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto:

«L’omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore e da questi notificata al debitore determina una irregolarità formale del titolo medesimo, che deve essere denunciata nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c., comma 1, senza che la proposizione dell’opposizione determini l’automatica sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3. Tuttavia, in base ai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, il debitore opponente non può limitarsi, a pena di inammissibilità dell’opposizione, a dedurre l’irregolarità formale in sè considerata, senza indicare quale concreto pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo essa abbia cagionato».

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