Danno da privazione del rapporto genitoriale: natura e criteri di liquidazione Trib. Lecce, Sez. I, 01/10/2019, n. 3024

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TRIB. LECCE, SEZ. I, 01/10/2019, N. 3024

«Il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole.

Trattasi di illecito endofamiliare c.d. da privazione del rapporto genitoriale, il quale contempla, quale soggetto attivo il genitore che omette di svolgere il ruolo da egli stesso scelto con la procreazione, mentre soggetto passivo diviene il minore, che perde, senza sua colpa, uno dei genitori.

Il pregiudizio non patrimoniale da violazione dei doveri di mantenimento, istruzione e educazione dei genitori verso la prole può essere provato per presunzioni e facendo ricorso alle nozioni di comune esperienza la cui valutazione è riservata al giudice del merito.

Il relativo quantum risarcitorio va liquidato in via equitativa e nella liquidazione si possono prendere a riferimento, con gli opportuni correttivi, le somme previste dalle tabelle del Tribunale di Milano per la perdita del rapporto parentale.

Va escluso il concorso colposo nella produzione del danno, ex art. 1227 cod. civ., in ipotesi di inerzia dei figli in ordine al momento da essi prescelto per l’iniziativa giudiziale, in quanto liberamente e legittimamente determinabile da parte dei titolari del diritto, oltre che del tutto ininfluente rispetto alla configurazione e determinazione del danno non patrimoniale riconosciuto» (Massima non ufficiale)

FATTO E DIRITTO

La presente controversia ha ad oggetto la domanda risarcitoria promossa da [Omissis] nei confronti di [Omissis] in relazione ai danni da illecito endofamiliare per privazione del rapporto genitoriale – da quantificarsi in via equitativa – che parte attrice ha lamentato le fosse stato cagionato dal padre convenuto, il quale non avrebbe mai inteso riconoscere la figlia, tanto da rendere necessario l’accertamento giudiziale della paternità, esitato nella sentenza n. 2639/2013; né avrebbe mai mostrato di interessarsi alla figlia, peraltro invalida al 75%, neppure dopo la citata pronuncia, non volendola mai incontrare e privandola dell’assistenza morale e materiale, anche in occasione delle patologie tumorali che le furono diagnosticate negli anni.

Costituitosi in giudizio, [Omissis] ha contestato in fatto e in diritto le pretese attoree chiedendone il rigetto, replicando di non essere il padre naturale della [Omissis]. E comunque di non essere mai stato informato della gravidanza e della nascita dell’attrice fino a quando gli fu notificato l’atto di citazione nel giudizio di riconoscimento giudiziale della paternità. Istruita la causa a mezzo delle prove testimoniali, all’udienza del 28.5.2019 la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti. La domanda è fondata e deve trovare accoglimento.

Il pregiudizio per il cui ristoro ha quivi agito la [Omissis], infatti, deve ritenersi conseguenza del disinteresse e dell’assenza del [Omissis] e, quindi, nella perdita della figura paterna, ovverosia del rapporto parentale che ogni figlio ha diritto di istaurare e mantenere con ciascuno dei genitori sulla scorta del diritto alla bigenitorialità, formalizzato in numerosi riferimenti normativi [artt. 315 bis e ss. cod. civ.: “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito, e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.”], tra cui principalmente l’art. 30 Cost., la cui portata deve ritenersi estesa anche alla filiazione fuori dal matrimonio. In particolare, secondo uniforme giurisprudenza, “il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole” (Cass. n. 3079/2015, n. 18853/2011): in altre parole, l’illecito endofamiliare c.d. da privazione del rapporto genitoriale, contempla, come nella specie, quale soggetto attivo il genitore che omette di svolgere il ruolo da egli stesso scelto con la procreazione, mentre soggetto passivo diviene il minore, che perde, senza sua colpa, uno dei genitori. Trattasi della figura d’illecito descritta dalle più recenti pronunce dei giudici di legittimità, per i quali “l’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli (art. 147 e 148 c.c.) è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali, nella specie, la indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all’epoca del concepimento” (Cass. n. 26205/2013).

Con riguardo all’onere probatorio richiesto in ordine all’esistenza dei danni, condivide il Tribunale l’orientamento espresso dalla Suprema Corte secondo cui il pregiudizio non patrimoniale da violazione dei doveri di mantenimento, istruzione e educazione dei genitori verso la prole può essere provato per presunzioni e facendo ricorso alle nozioni di comune esperienza la cui valutazione è riservata al giudice del merito “…consistente nella integrale perdita del rapporto parentale che ogni figlio ha diritto di realizzare con il proprio genitore e che deve essere risarcita per il fatto in sé della lesione” (Cass. n. 16657/2014).

Per mera completezza espositiva, si precisa che, secondo i canoni ermeneutici tracciati dall’organo di nomofilachia, infine, “in tema di azione volta al riconoscimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., esercitabile anche nell’ambito dell’azione per dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, va escluso il concorso colposo nella produzione del danno, ex art. 1227 cod. civ., in ipotesi di inerzia dei figli in ordine al momento da essi prescelto per l’iniziativa giudiziale, in quanto liberamente e legittimamente determinabile da parte dei titolari del diritto, oltre che del tutto ininfluente rispetto alla configurazione e determinazione del danno non patrimoniale riconosciuto” (Cass. n. 26205/2013).

Ebbene, risulta per tabulas che con sentenza non definitiva n. 995/2009 è stato accertato giudizialmente che [Omissis] Cr. sia figlia naturale di [Omissis] E che, all’esito del medesimo giudizio, la medesima abbia ottenuto il riconoscimento del diritto a ricevere il contributo al proprio mantenimento da parte del padre, sin dal giorno della domanda. Ancora, l’istruttoria orale ha consentito di sconfessare la ricostruzione dei fatti operata dal [Omissis] il quale sostiene di non esser mai stato informato della gravidanza di [Omissis], madre dell’attrice, né della nascita della bambina, odierna istante: ha, infatti, riferito la testimone indifferente, [Omissis], collega e amica intima della [Omissis], di esser stata a conoscenza, all’epoca, della relazione tra la sua amica e il convenuto, che fu interrotta proprio allorquando il medesimo venne a sapere dell’avvenuto concepimento e della gravidanza della donna, da cui nacque, infatti, sua figlia, la quale, una volta cresciuta, aveva più volte, inutilmente, tentato di mettersi in contatto con il padre, il quale “sistematicamente chiudeva la telefonata” (teste [Omissis]); tali circostanze sono state, altresì, confermate dalla testimone [Omissis], la quale, sebbene legata dal rapporto di filiazione con l’odierna attrice, ha comunque reso dichiarazioni coerenti, della cui attendibilità non v’è motivo di dubitare, in quanto ha allegato dettagli personali e verosimili per spiegare i motivi per i quali non ha mai inteso agire in giudizio per l’accertamento della paternità – temendo l’intervento dei servizi sociali che le avrebbero potuto allontanare la bambina. È incontestato, oltreché provato in sede istruttoria, che il [Omissis] non svolse mai, nei confronti della figlia, alcun ruolo o funzione genitoriale, privando del tutto la [Omissis] della figura paterna. Alla luce della disamina che precede, dunque, possono ritenersi sussistenti tutti i presupposti dell’illecito in oggetto, poiché vi è la prova della volontaria, grave e reiterata violazione da parte di [Omissis] degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della figlia [Omissis], alla quale è stato negato il diritto ad avere una famiglia intesa come sede di autorealizzazione e crescita, segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli, nell’ambito della quale i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela. Ai fini della liquidazione del risarcimento dovuto, da effettuarsi necessariamente in via equitativa, giova osservare che non rilevano le condizioni economiche del convenuto, in quanto il risarcimento non ha la funzione di sanzionare il suo comportamento ma quella di (tentare di) ripristinare il pregiudizio non patrimoniale subito dalla [Omissis] per essere cresciuta senza l’assistenza del padre, e può farsi ricorso, con gli opportuni correttivi, alle Tabelle di Milano, come suggerito da Cassazione civile sez. I, 22/07/2014, n. 16657: “il danno non patrimoniale da violazione dei doveri di mantenimento, istruzione e educazione dei genitori verso la prole va liquidato in via equitativa e nella liquidazione si possono prendere a riferimento, con gli opportuni correttivi, le somme previste dalle tabelle del Tribunale di Milano per la perdita del rapporto parentale”, escluso il concorso colposo dell’avente diritto ex art. 1227 c.c. per i motivi sopra esposti. Sulla scorta delle considerazioni che precedono, appare equo liquidare in favore di [Omissis], a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito, in considerazione della gravità dell’omissione perpetrata dal genitore, delle condizioni economiche delle parti, della durata dell’inadempimento e dell’irrimediabilità del pregiudizio arrecato, stante l’attuale età della stessa, trentaduenne, e le gravi condizioni di salute che la medesima ha sofferto nel tempo, debitamente documentate agli atti, la complessiva somma di € 60.000,00, determinata all’attualità e comprensiva di interessi e rivalutazione, che va maggiorata di interessi legali dalla pronuncia al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 55/2014.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando,

– accoglie la domanda e, per l’effetto, condanna [Omissis] al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di € 60.000,00 oltre ad interessi legali dalla presente sentenza al dì dell’effettivo saldo;

– condanna il convenuto al pagamento, in favore dell’Erario, delle spese prenotate a debito e di quelle sostenute per la difesa in giudizio della [Omissis], liquidate complessivamente in € 2.800,00, oltre al rfs, iva e cap come per legge.

Precedenti

Contra, sul punto della concorso colposo nella causazione del danno ex art. 1227 c.c. in ipotesi di ritardo nella  da ritardo, Trib. Vicenza, 24/10/2017, dove di legge:

«la scelta di ottenersi un padre affettivo e, comunque, sostentativo, non può neppure essere differita nel tempo con la grave conseguenza di accrescere per sé le conseguenze della mancanza del padre, ed anche l’entità del ristoro, a detrimento quindi sia del figlio che del padre.

Si ritiene, quindi (in consapevole dissenso da Cass. 22 novembre 2013 n. 26205), che l’attore, se avesse avuto realmente il bisogno di un padre affettivo e sostentativo, avrebbe dovuto chiederlo subito, cioè al compimento della maggiore età.

Non può ora dolersi, per ragioni squisitamente economiche, della sua prolungata assenza, poiché questa è dovuta principalmente alla sua inerzia, in termini di concorso al prodursi dell’evento lesivo, ex art. 1227 c.c.

Se è vero che la legge (art. 270 c.c.) dichiara imprescrittibile la relativa azione, è anche vero che ciò riguarda il diritto di vedersi riconosciuto un padre, che non ha natura economica, ma non il diritto di far maturare sine die le conseguenze economiche del mancato riconoscimento.

Sicché il danno da attività illecita di questo tipo deve essere circoscritto al mero pretium doloris, e la misura del ristoro non patrimoniale da mancato riconoscimento della paternità naturale non può che riferirsi all’arco della vita che va dalla nascita al compimento della maggiore età, in quanto il figlio può scegliere se agire o meno contro il padre, se è a conoscenza della sua identità (e qui lo era, per la stessa narrativa attorea), e se il padre, come dimostra il contegno processuale odierno, non rifiuta il test del DNA (o addirittura lo avrebbe sollecitato sin dall’inizio della vita del figlio)»

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