Il creditore insoddisfatto nell’accordo di ristrutturazione può chiedere il fallimento: Trib. Roma 601/2019 Trib. Roma, Sez. XIV, 23/09/2019, n. 601

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TRIB. ROMA, SEZ. XIV, 23/09/2019, N. 601

«Con riferimento ai rapporti tra il procedimento di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall. e dichiarazione di fallimento dell’imprenditore che ne sia stato promotore, la legittimazione alla proposizione di istanza di fallimento dell’imprenditore stesso – indipendentemente ed a prescindere dalla pregiudiziale risoluzione dell’accordo – deve riconoscersi anche al creditore aderente all’accordo di ristrutturazione e le cui ragioni non abbiano trovato soddisfo in attuazione esecutiva del convenuto meccanismo di componimento della crisi d’impresa» (Massima non ufficiale)

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato il 10.10.2018 presso il tribunale di [Omissis] ed ivi iscritto al n. [Omissis] [Omissis] ha affermato di essere creditrice, di [Omissis], dell’importo di euro 179.336,55, oltre accessori e spese processuali, in forza di decreto ingiuntivo di quel tribunale n. 36 del 10.01,2013, nonché dell’ulteriore di euro 56.427,92, relativo alle fatture nn. 33/2011 e 19/2012; ha, inoltre, sostenuto che detto tribunale, con decreto del 2.09.2016, aveva omologato accordo ex art. 182 bis l. fall., intervenuto con la società debitrice, che prevedeva il pagamento, in proprio favore ed entro ventiquattro mesi dall’omologa, delle somme di euro 72.334,71 e di euro 122.908,63, quest’ultima a mezzo quattro rate omogenee di euro 30.727,18 ciascuna.

Poiché la debitrice non aveva proceduto al versamento di alcuno di detti importi ed era stata posta in liquidazione in data 4.09.2018 ha, quindi, chiesto, accertata incidentalmente l’intervenuta ‘risoluzione dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis LF omologato con decreto del tribunale di [Omissis] del 02.09.2016’, di dichiarare il fallimento di [Omissis], con sede legale in [Omissis], evidenziando che la complessiva debitoria a suo carico, come indicata nella procedura suddetta. si sostanziava in euro 5.519.353,94 e che il bilancio di esercizio 2017 vedeva l’iscrizione di un ‘totale debiti’ per euro 5.770.059.

Costituita nel procedimento, [Omissis] eccepiva: la inammissibilità della domanda incidentale di risoluzione dell’accordo ex art. 182 bis l fall., sostenendo che la relativa istanza avrebbe dovuto essere proposta in via principale dinanzi il giudice da individuare in applicazione delle regole generali di competenza, tenuto conto del contenuto negoziale privatistico dell’atto da risolvere “tale da escludere l’applicazione delle disposizioni relative alla risoluzione del concordato preventivo ‘ex art. 186 l. fall.- e solamente al suo esito avrebbe potuto essere introitata istanza di fallimento; il difetto di inadempimento, poiché la società debitrice era stata passivamente interessata dagli eventi sismici dell’anno 2016 e, quindi, beneficiava del provvedimento di sospensione dei termini ex art. 48 d.l. n. 189/2016, convertito in legge n. 229/2016, in cui applicazione l’accordo avrebbe potuto essere utilmente adempiuto entro il 14.08.2019; conclusivamente chiedeva rigettarsi l’avverso ricorso.

Con ordinanza del 19.02.2019 il tribunale di [Omissis] rilevava che, come risultava dalla visura camerale, [Omissis] aveva trasferite la propria sede da [Omissis] in [Omissis] in data 2.08.2018 e che tale evento, poiché intervenuto nell’anno antecedente all’avvio della procedura volta alla dichiarazione di fallimento il cui abbrivio era stato determinato dal ricorso depositato il 10.10.2018 non incideva sulla determinazione della competenza territoriale del tribunale deputato a provvedere che doveva, quindi, individuarsi in [Omissis], al quale disponeva trasmettersi l’incarto processuale.

Radicato il contraddittorie dinanzi questo tribunale nel procedimento iscritto al n. [Omissis]le parti hanno, quindi, ribadito le proprie richieste e difese.

Sentito il relatore ed esaminati gli atti rileva, preliminarmente, il tribunale, che la società convenuta deve ritenersi assoggettabile a fallimento, tenuto conto della propria natura di imprenditore commerciale in cui si sussume l’attività da essa esercitata, come anche statutariamente individuata e dettagliata e alla stregua delle risultanze della visura camerale in atti. A norma dell’articolo 1 della legge fallimentare, grava, sul resistente, l’onere di provare il mancato superamento delle soglie di fallibilità previste dalla legge e la società debitrice nulla ha dedotto o provato al riguardo.

Osserva, inoltre, il Collegio che, come predicato dall’art. 15, ultimo comma, l. fall., può procedersi a dichiarazione di fallimento di un imprenditore, individuale o organizzato in forma societaria, nel caso in cui risulti, a suo onere, una debitoria esigibile di ammontare eccedente euro 30.000,00 il cui inadempimento sia causalmente conseguente a di lui condizione di insolvenza.

L’esistenza, pertanto, di un credito suscettivo di immediato pagamento la cui entità superi la richiamata soglia minima legale costituisce un presupposto di fallibilità. Con riferimento ai rapporti tra il procedimento di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall. e dichiarazione di fallimento dell’imprenditore che ne sia stato promotore deve registrarsi recente intervento del giudice di legittimità che ne ha esaminato la natura giuridica e individuato /a disciplina applicabile in specifiche situazioni che si verifichino successivamente all’omologa giudiziale.

Affrontando la quaestio cui anche le parti hanno dato evidenza nei propri scritti difensivi, la Corte di Cassazione ha sostenuto che l’accordo ex art. 182 bis l. fall. riveste natura concorsuale e, quindi, escludendone carattere prettamente negoziale, dovrebbe essere annoverato nel contesto delle procedure volte alla giudiziale risoluzione della crisi d’impresa.

Una volta affermatane tale natura giuridica ha, quindi, ritenuto, il giudice di legittimità, che per quel che concerne i creditori estranei all’accordo deve affermarsi la possibilità di chiedere il fallimento dell’imprenditore, proprio debitore, successivamente all’omologazione e indipendentemente da pregiudiziali pronunzie di sua risoluzione.

Tale evenienza deve ammettersi perché, altrimenti, risulterebbe ingiustificatamente compromessa la pretesa del creditore non aderente e non partecipe al quale il componimento para – negoziale della debitoria imprenditoriale non può essere opposto. (cosi Cass, 21.06,2018 n. 16347).

Sulla scorta di tali argomenti motivi ritiene, il tribunale, che anche con riferimento al creditore aderente all’accordo di ristrutturazione e le cui ragioni non abbiano trovato soddisfo in attuazione esecutiva del convenuto meccanismo di componimento della crisi d’impresa debba predicarsi la legittimazione alla proposizione di istanza di fallimento dell’imprenditore, indipendentemente e a prescindere dalla pregiudiziale risoluzione dell’accordo.

Il creditore aderente è, comunque, titolare di una pretesa di pagamento che, in sede di accordo ex art. 182 bis l. fall., rispetto alla sua conformazione originaria, può aver trovato una differente modalità di componimento per quel che concerne il quantum ovvero il quomod[o] dell’adempimento.

Trattasi, quindi, di un credito che, laddove non soddisfatto secondo le forme previste nel convenuto modulo convenzionale costituisce, a latere debitoris, un debito scaduto e non pagato che, a mente della previsione dell’art. 15, ultimo comma, l. fall., può legittimare la proposizione di richiesta di fallimento dell’imprenditore inadempiente.

La patrocinata conclusione si pone in coerenza, laddove se ne sostenesse la configurabilità, con la natura negoziale dell’accordo ex art. 182 bis l. fall. il cui contenuto novativo dell’originario credito abiliterebbe il creditore aderente a far valere l’inadempimento della propria pretesa come ridefinita nel contesto convenzionale che, pertanto, a tali fini non necessiterebbe di risoluzione poiché ne integra il relativo titolo costitutivo.

Laddove, poi, volesse sostenersi la natura concorsuale dell’istituto ex art. 182 bis l. fall. dovrebbe ugualmente riconoscersi detta legittimazione in capo al creditore aderente insoddisfatto.

Appare utile, al riguardo, il richiamo alla giurisprudenza di legittimità formatasi con riferimento alla proposizione di istanza di fallimento da parte di creditore nei confronti di impresa ammessa a concordato preventivo già omologato, nella fase di sua esecuzione.

È stato ritenuto che il creditore concorsuale insoddisfatto possa chiedere il fallimento della impresa debitrice senza previamente sollecitare la risoluzione del concordato, ai sensi dell’art. 186 l. fall., nel solo caso in cui la pretesa di cui lamenti il mancato pagamento abbia ad oggetto il credito nella misura falcidiata e non quella originaria (Cass. 17703/2017; Cass. 29632/2017).

Dai richiamati arresti pretori può enuclearsi il principio in forza del quale il credito che avrebbe dovuto trovare soddisfo nel contesto di soluzione concorsuale della crisi d’impresa e non abbia visto adempimento legittima il suo titolare alla proposizione di istanza di fallimento dell’imprenditore insolvente.

Considerato, poi, che con riferimento all’accordo di ristrutturazione la disciplina positiva non appresta previsioni quali quella dell’art. 186 L. fall. relativa al concordato preventivo che possano regolamentarne le evenienze patologiche non può, in conseguenza, precludersi al creditore insoddisfatto la possibilità di agire per poter vedere adempiuta la propria pretesa, se del caso come rimodulata nel consesso convenzionale concorsuale, azionando la ragione che in esso ha titolo e che, pertanto, prescinde, quanto ad attualità ed esigibilità, dalla preliminare risoluzione.

Ciò posto deve, quindi, accertarsi se la società ricorrente sia titolare di credito di ammontare superiore ad euro 30.000,00 che, in relazione all’accordo di ristrutturazione convenuto con la società resistente e alle forme e i tempi in esso esplicitati; non abbia trovato soddisfo a causa di condizione di insolvenza della debitrice.

Dagli atti di detta procedura svoltasi dinanzi al tribunale di [Omissis] risulta che, con decreto del 2.09.2016, era omologato l’accordo di ristrutturazione presentato da ‘[Omissis] s.r.l.’ il quale, quanto alla creditrice odierna ricorrente [Omissis], prevedeva il pagamento dei seguenti importi alle rispettive scadenze: euro 122.908,63 entro due anni dall’omologa (e, quindi, entro il 2.09.2018); euro 30,727,16 entro il ‘I semestre successivo all’omologa’ (e, quindi, entro il 2.03.2017); euro 30,727,16 entro il ‘II semestre successivo all’omologa’ (e, quindi, entro il 2.09.2017); euro 30.727,16 entro il ‘III semestre successivo all’omologa’ (e, quindi, entro il 2.03.2018); euro 30.727,16 entro il ‘IV semestre successivo all’omologa’ (e, quindi, entro il 2.06.2018).

Parte convenuta ha eccepito che tali termini dovrebbero differirsi al 14.08,2019, e ciò ai sensi dell’art. 48 dei d.l. n. 189/2016, convertito in legge n. 229/2016, di cui dovrebbe farsi applicazione poiché l’impresa debitrice aveva sede nei territori passivamente interessati dagli eventi tellurici dell’anno 2016 e avrebbe beneficiato di tale legislazione speciale.

Va premesso che non vi contestazione tra le parti e quindi può ritenersi processualmente provato, ai sensi dell’art. 115, comma 1 c.p.c. il presupposto in fatto, condizionante l’applicabilità, al caso in esame, della richiamata normativa, relativo alla effettiva localizzazione dell’impresa resistente nel territorio di [Omissis] che, secondo quanto programmaticamente riportato all’art. 1 del di, 17 ottobre 2016 n. 189 (recante ‘Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici dei 2016’ convertito in legge 15 dicembre 2016, n. 229) rientrava nel novero degli ambiti spaziali di suo riferimento applicativo.

Nel caso di specie, contrariamente a quanto dedotto dalla resistente e in sintonia con la replica di parte ricorrente, deve, però, farsi riferimento alla previsione non già dell’art. 48 ma del successivo articolo 49 relativo a ‘termini processuali e sostanziali. Prescrizioni e decadenze. Rinvio di udienze, comunicazione e notificazione di atti’.

Il comma 4 del richiamato disposto prevede che ‘per i soggetti che alla data del 24 agosto 2016 erano residenti, avevano sede operativa o esercitavano la propria attività lavorativa, produttiva o di funzione nei Comuni di cui all’allegato 1, il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 24 agosto 2016 fino al 31 maggio 2017 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine del periodo.

Sono altresì sospesi, per lo stesso periodo e nei riguardi dei medesimi soggetti, i termini relativi ai processi esecutivi e i termini relativi alle procedure concorsuali, nonché i termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi amministrativi e giurisdizionali’.

Poiché l’accordo di ristrutturazione è stato omologato dal tribunale di [Omissis] con decreto del 2.09.2016, i termini per i pagamenti in esso previsti, secondo quanto normativamente stabilito, hanno, quindi, avuto decorrenza dall’1.07.2017 e vengono, quindi, a cosi ridefinirsi: [Omissis].

Pertanto, già alla data dei 10.10.2018, di avvio del presente procedimento con il deposito del relativo ricorso propulsivo presso il tribunale di [Omissis], la ricorrente poteva affermare, nei confronti della società convenuta e in forza dell’intervenuto accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis i, fall., stante il decorso delle scadenze convenute e legislativamente prorogate, l’omesso pagamento di complessivi euro 61.454,32 corrispondente ai ratei maturati l’1.01.2018 e l’1.07.2018 si da radicarsi, ai sensi dell’art. 15, ultimo comma, L Fall. la sua legittimazione alla promossa azione.

Per quel che riguarda l’esistenza di condizione di insolvenza della debitrice la società ricorrente ha fatto riferimento alla complessiva debitoria riportata nell’accordo di ristrutturazione dei debiti pari ad euro 5.519.353,94, all’iscrizione, nel bilancio di esercizio al 31.12.2017, di passività per euro 5.770.059 e alla sua messa in liquidazione.

Rileva il Collegio che il mancato pagamento delle poste creditorie di cui la ricorrente ha lamentato l’inadempimento può leggersi come conseguenza della carenza di risorse di cui poter fare impiego a tali finalità solutorie atteso che ha precluso il proficuo utilizzo dello strumento convenuto con il ceto creditorio per la risoluzione di una propria dichiarata condizione di crisi.

Peraltro, trattandosi di due ratei di un più ampio complessivo ammontare e tenuto conto che nel lasso temporale di oltre otto mesi richiesto per la definizione del presente giudizio (a. causa della sua originaria radicazione presso il tribunale Rieti dichiaratosi incompetente) la convenuta non ha proceduto, né prospettato eventuale adempimento tardivo, tale situazione può ritenersi logicamente e giuridicamente consequenziale solamente alla carenza di liquidità utile a tali scopi.

Deve, per altro verso, rilevarsi che, come attestato dalla visura camerale in atti, la società convenuta ha deciso la propria liquidazione volontaria con delibera iscritta nel registro delle imprese il 4.09,2018.

Tenuto conto dei crediti residuati inadempiuti facenti capo alla società ricorrente che, in costanza del presente procedimento, hanno registrato ulteriore incremento con riferimento ai ratei medio tempore scaduti di cui pure nulla è stato dedotto o provato circa loro soddisfo, in totale carenza di elementi espressivi di differente condizione deve fondatamente ritenersi non riscontrabile situazione reddituale e/o patrimoniale che consenta, alla procedura liquidatoria in atto, di far fronte alla citata pendenza debitoria, sì da appalesarsi insolvenza (v. Cass, 30.05.2013 n. 13644);

Devono, pertanto, ravvisarsi tutti i presupposti per poter procedere alla postulata declaratoria di fallimento, considerato che la società debitrice è stata convocata innanzi al Tribunale per essere sentita sui fatti relativi al ricorso.

P.Q.M.

Visti gli artt. 1, 5, 6, 9, 15 e 16 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267,

DICHIARA

II fallimento di [Omissis].

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