Cessione d’azienda e fallimento: quando il Fondo di Garanzia può legittimamente non intervenire Cass. Civ., Sez. VI, 23/01/2020, n. 1534

By | 11/06/2020

CASS. CIV., SEZ. VI, 23/01/2020, N. 1534

«Posto che il T.F.R. diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro, la circostanza che i ratei maturati fino al momento della cessione d’azienda siano stati (erroneamente) ammessi allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non vincola l’istituto previdenziale, il quale in quanto estraneo alla procedura, deve poter contestare il credito vantato a titolo di T.F.R. affermandone l’inesigibilità, anche parziale, col che neppure la garanzia prevista dalla L. n. 297 del 1982 ha modo di operare.

In presenza di un coobbligato solidale al pagamento del credito retributivo, quale è l’impresa cessionaria d’azienda, l’intervento a carico del Fondo di Garanzia non si giustifica, salvo che non venga dimostrata l’insolvenza dello stesso cessionario» (Massima non ufficiale)

RILEVATO

Che:

la Corte d’appello di [Omissis], in parziale riforma della sentenza di prime cure, ha disposto la riduzione dell’importo – posto a carico del Fondo di Garanzia – riconosciuto dal Tribunale a favore di [Omissis], dipendente (1995 – 2012) della Società [Omissis], di [Omissis] S.n.c., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di [Omissis] del 6 giugno 2013;

la Corte territoriale ha accertato che nel giugno del 2012 la Società aveva ceduto l’azienda alla [Omissis] s.r.l. alle cui dipendenze era passato il lavoratore e che, nell’ottobre 2013 il lavoratore aveva rassegnato le sue dimissioni dalla stessa [Omissis];

nello stesso ottobre del 2013, il [Omissis] aveva depositato istanza di insinuazione al passivo con riferimento ad emolumenti maturati alle dipendenze della [Omissis] di [Omissis] S.n.c. per l’ammontare di Euro 16.018,54 a titolo di quota di T.F.R. ed Euro 3.885,52 a titolo di ultime tre mensilità di retribuzione maturate;

richiamandosi all’orientamento di legittimità in materia di applicazione del principio di solidarietà nell’ipotesi di trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., la Corte d’appello ha ritenuto obbligato al pagamento il Fondo di garanzia; ha quindi riformato la sentenza di primo grado con riferimento alla quantificazione per difetto delle ultime 3 retribuzioni maturate (Euro 3.357), ritenendo che il Tribunale avesse condannato l’Inps al pagamento di una somma superiore rispetto al massimale di legge, che il D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 2, comma 2, stabilisce non possa superare tre volte il massimo dell’indennità di cassa integrazione straordinaria;

la cassazione della sentenza è domandata dall’Inps sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria; [Omissis] ha opposto difese con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Istituto ricorrente deduce che in presenza di un coobbligato solidale al pagamento del credito retributivo, quale è l’impresa cessionaria, non si giustificherebbe l’intervento a carico del Fondo di Garanzia, salvo che non venga dimostrata l’insolvenza dello stesso cessionario;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Inps lamenta, in via subordinata, che la Corte territoriale abbia accolto la domanda dell’assicurato diretta ad ottenere il pagamento delle ultime tre mensilità di retribuzione maturate nei confronti del datore di lavoro cedente, senza curarsi che ostava a detto accoglimento la continuazione senza soluzione di continuità del rapporto di lavoro con l’azienda subentrante;

i motivi, esaminati congiuntamente, in quanto fondati entrambi sul presupposto dell’inesistenza di un’obbligazione a carico del Fondo di Garanzia, devono essere accolti;

la statuizione della Corte territoriale secondo cui, una volta divenuto esecutivo lo stato passivo da cui risulti un credito del dipendente dell’impresa fallita ciò vincolerebbe l’Inps a prescindere dalla sua partecipazione alla procedura concorsuale, si ispira a una giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24730 del 2015) a cui sono seguite varie altre decisioni che ne hanno compiuto una profonda rivisitazione (da ultimo, in particolare cfr. Cass. n. 14348 del 2019);

l’orientamento oggi prevalente sostiene (Cass. n. 30804 del 2018) che la L. n. 297 del 1982, art. 2 e D.Lgs. n. 82 del 1990, art. 2 si riferiscono all’ipotesi in cui sia stato dichiarato insolvente e ammesso alle procedure concorsuali il datore di lavoro che è tale al momento in cui la domanda di insinuazione al passivo viene proposta;

stabilisce inoltre che, poiché il T.F.R. diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto, la circostanza che i ratei maturati fino al momento della cessione d’azienda siano stati (erroneamente) ammessi allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non vincola l’istituto previdenziale, il quale in quanto estraneo alla procedura, deve poter contestare il credito vantato a titolo di T.F.R. affermandone l’inesigibilità, anche parziale, col che neppure la garanzia prevista dalla L. n. 297 del 1982 ha modo di operare (cfr. in tal senso, ex multis, Cass. n. 30804 e n. 29363 del 2018);

nel caso in esame, il giudice dell’appello ha accertato che il [Omissis] aveva depositato istanza di insinuazione al passivo nell’ottobre 2013, quando non era già più dipendente della Società fallita (Società [Omissis] di [Omissis] S.n.c.);

è pur vero che nella stessa data il lavoratore aveva dato le dimissioni dall’impresa cessionaria, ma è altrettanto vero che l’Inps aveva contestato in radice la sussistenza dei crediti, rilevando come, a seguito della intervenuta cessione della Società [Omissis] di [Omissis] S.n.c. (e prima ancora dell’affitto della stessa alla [Omissis] S.r.l.), il lavoratore aveva continuato a lavorare per la cessionaria senza soluzione di continuità, di tal che, al momento dell’insinuazione al passivo, il lavoratore non aveva maturato nessun credito, né a titolo di T.F.R. né a titolo di ultime mensilità retributive, essendo il rapporto di lavoro proseguito con la [Omissis]. S.r.l. fino alle sue dimissioni;

di tale prospettazione dell’odierno ricorrente la Corte territoriale non ha tenuto conto in motivazione, ritenendo coobbligato l’Inps sebbene l’esigibilità del T.F.R. si fosse determinata solo al momento della cessazione del rapporto, circostanza, quest’ultima, il cui accertamento riveste un’importanza determinante ai fini della verifica delle concrete modalità di realizzazione della cessione d’azienda (cfr. ex multis Cass. n. 29363 del 2018; Cass. n. 1977 del 2018; Cass.n. 28136 del 2018);

lo stesso accertamento di merito deve ritenersi necessario anche con riferimento alla maturazione delle ultime retribuzioni mensili, il cui riconoscimento si fonda sui medesimi presupposti della concreta insolvenza dell’originario datore di lavoro, e della eventuale prosecuzione del rapporto di lavoro presso il cessionario senza soluzione di continuità(v. cass, n. 14348/2019);

in definitiva il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di [Omissis], in diversa composizione, la quale deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità;

in considerazione dell’esito del giudizio, si dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di [Omissis], in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

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