Alla fine di una relazione, o più precisamente di una convivenza di fatto, a volte accade che si ‘facciano i conti’; in altre parole, cioè, accade che chi nel corso della relazione ha versato somme – a volte anche cospicue – all’altro a vario titolo, alla fine della convivenza ne pretenda la restituzione.
Ma è proprio così? Può pretendere la restituzione di quelle somme ?
Sul piano normativo nulla c’è con riferimento alla fine della convivenza di fatto, dato che, prima ancora, nulla ancora c’è che disciplini in via diretta l’istituto stesso della convivenza more uxorio.
La questione, però, è stata affrontata dalla giurisprudenza in diverse occasioni arrivando a conclusioni anche divergenti.
L’istituto cui si ricorre più frequentemente è quello dell’arricchimento senza causa disciplinato dall’art. 2041 C.C. secondo il quale: «Chi, senza una giusta causa, si e’ arricchito a danno di un’altra persona é tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale».
Tuttavia, quando si tratta di una famiglia di fatto, il principio dell’arricchimento senza causa, viene temperato dalla sussistenza di obbligazione naturale, disciplinato dall’art. 2034 C.C. secondo il quale: «non e’ ammessa la ripetizione di quanto e’ stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace. I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di cio’ che e’ stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti».
Su questa questione, e precisamente in un caso in cui un uomo, a convivenza cessata, aveva chiesto alla sua ex convivente di restituirgli una rilevante somma di denaro (€ 170.000) che egli aveva impiegato quale pagamento di parte del prezzo di un acquisto immobiliare, poi intestato alla donna, si è pronunciata proprio di recente la Corte di Cassazione con una interessante sentenza (22/09/2015, n. 18632) che qui si ritiene di dover segnalare.
I primi due gradi di giudizio avevano condannato la donna alla restituzione della somma di denaro richiesta dal suo ex convivente, e, con la sentenza 22/09/2015, n. 18632 la Cassazione ha confermato la correttezza delle decisioni di merito secondo questa impostazione.
Precisamente, la III Sez. della Corte, nella sentenza 22/09/2015, n. 18632 ha stabilito che:
Nell’escludere l’esistenza di una obbligazione naturale fondata sulla convivenza more uxorio e ritenere l’applicabilità dell’art. 2041 c.c., la Corte di merito ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità.
Da ultimo, è stato affermato che “L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. E’, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza“.
In sintesi, dunque, nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che la prestazione di natura economica in questione, andasse oltre il mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza (con ciò, quindi, indirettamente ammettendo che da tale rapporto di fatto discendono obbligazioni), e quindi, oltre le c.d. obbligazioni naturali, ed ha perciò ritenuto che essa costituisse un ingiusto arricchimento a favore di una parte ed a svantaggio dell’altra, ed in quanto tale da restituire.
Documenti & Materiali
leggi la sentenza Cass. Civ., Sez. III, 22/09/2015, n. 18632