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Quello presentato a Milano il 14/03/2019 non è il solito Protocollo in materia di famiglia. Esso contiene le linee guida da seguire nel contenzioso in materia di famiglia con tanto di modelli di ricorso, di criteri e raccomandazioni non solo redazionali ma anche contenutistiche dei vari atti processuali.
I suoi firmatari sono la Corte d’appello, Tribunale, Consiglio dell’Ordine e Oservatorio della giustizia civile, tutti di Milano.
Le premesse del Protocollo
Questo documento muove dal presupposto che «la diffusione di una prassi condivisa nella redazione degli atti processuali, possa evitare di esasperare il conflitto fornendo al giudice ogni informazione necessaria sulla reale situazione personale ed economica delle parti», per cui in esso si raccomandano o, forse sarebbe meglio dire, si prescrivono, le regole da seguire e si arriva anche ad allegare i modelli raccomandati dei singoli atti processuali.
Precisamente si allega:
1) il modello del ricorso per separazione giudiziale;
2) il modello del ricorso per divorzio giudiziale;
3) il modello del ricorso per la regolamentazione della responsabilità genitoriale per genitori non coniugati.
Obbligo di lealtà
Tutti i modelli sono ispirati, secondo le linee guida contenute nel documento in esame, in primo luogo al criterio dell’obbligo di lealtà che secondo i firmatari del documento stesso è sì dovere generale che discende come noto dagli artt. 88 e 89 cpc e che vale per tutti gli atti processuali, ma che in questa materia (quella di famiglia, appunto), assume «un significato ed una portata più pregnante».
Precisamente, secondo le Linee guida 2019 di Milano:
«l’obbligo di lealtà si estende ad un onere di trasparenza che impone a ciascuna delle parti di comunicare, sin dall’inizio del procedimento, ogni notizia utile a rappresentare la loro situazione patrimoniale e reddituale».
Il comportamento omissivo e l’argomento di prova ex art. 116 cpc
Naturalmente il documento chiarisce che quanto contenuto nel suddetto Protocollo non è ‘vincolante’ nel senso che, di certo, la sua inosservanza non può comportare l’inammissibilità e/o l’improcedibilità dell’atto processuale (… e ci mancherebbe); tuttavia, ciò chiarito, si dice anche che la sua inosservanza non è indolore e senza conseguenze poichè può consentire al giudice di desumere argomenti di prova.
Precisamente, quantomeno con riferimento all’obbligo di lealtà e all’onere di allegazione, il documento testualmente afferma che:
«il comportamento omissivo della parte consentirà al giudice di desumere argomenti di prova ex art. 116 cpc fatto salvo, comunque, il potere officioso del giudice nella acquisizione della prova».
Il contenuto del Protocollo
Chiarite le premesse il Procollo di Milano si divide in due parti: i principi e la redazione degli atti.
I principi
Quanto ai principi cui devono aspirare gli atti sono:
1) lealtà, probità e divieto di espressione sconvenienti ed offensive;
2) verità e trasparenza;
3) chiarezza.
Le regole redazionali degli atti
Quanto alle regole redazionali esse sono enucleate sotto i seguenti punti:
1) contenuto degli atti (ove si afferma espressamente che «l’atto introduttivo del giudizio ed i successivi atti devono essere redatti secondo modelli predefiniti», cioè, per quanto si comprende, quei modelli allegati al Protocollo; gli atti devono essere chiari, devono seguire uno schema logico e un criterio cronologico, non devono contenere giudizi e soprattutto devono «non contenere una svalutazione delle figure genitoriali»);
2) struttura degli atti (ove si chiarisce che «l’indice degli argomenti e la numerazione delle pagine sono elementi indispensabili all’atto». Sotto questo profilo colpisce che poi lo stesso Protocollo è privo della numerazione delle pagine);
3) produzione documentale e collegamenti ipertestuali (si raccomanda la numerazione dei documenti progressiva utilizzando il formato 001 e ss. fino a 100, e poi 0001 e ss.; e si consiglia di utilizzare link ipertestuali);
4) richiami a dottrina e giurisprudenza (da inserire solo in nota con gli estremi per il loro reperimento).
Qualche perplessità
La raccomandazione di questi criteri può senz’altro agevolare la lettura e la consultazione dell’atto da parte del giudice, tuttavia, unita alla raccomandazione di utilizzare i modelli predefiniti allegati, fa sorgere qualche perplessità.
In primo luogo la standardizzazione dell’atto processuale, soprattutto in materia come quella di famiglia (ma non solo), non sembra ben conciliarsi con la unicità del singolo caso che, prima di essere giuridico, è umano e personale, con il rischio, dunque, di condurre ad una standardizzazione anche dei relativi provvedimenti giudiziali da adottare che, al contrario, dovrebbero essere sempre ‘ritagliati’ sul singolo caso.
Inoltre, la ‘raccomandazione’ di rispettare i criteri codificati a pena di ‘densunzione di argomenti di prova‘ si traduce in una sostanziale ‘imposizione’ con il rischio, oltre che di frustrare la libertà e la creatività dell’estensore dell’atto, di confliggere con le individuali e personali scelte difensive.
Dulcis in fundo
Ciò che, infine, colpisce in modo particolare è l’ultimo modello allegato al Protocollo intitolato «modello per la disclosure della situazione economica/reddituale/patrimoniale delle parti».
Si tratta di una vera e propria autodichiarazione, datata e firmata dalla parte, in cui deve essere indicato e specificato, oltre al reddito degli ultimi tre anni (questo effettivamente richiesto dalla vigente normativa), anche il saldo degli ultimi tre anni di tutti i conti correnti, naturalmente esistenti anche all’estero; le partecipazioni societarie; le proprietà immobiliari; i beni mobili registrati anche non intestati ma eventualmente anche solo in uso; i benefit aziendali; i collaboratori domestici; i costi dei circoli ricreativi e culturali frequentati; etc.
Insomma, una vera e propria confessione e messa a nudo della propria vita che probabilmente non si farebbe neppure dentro un confessionale, con ogni conseguente rischio di autodenuncia direttamente, o quasi, agli uffici all’Agenzia delle Entrate.
Il tutto, rafforzato, dalla dicitura, riportata in calce al modello predefinito, del seguente tenore: «dalla mancata o incompleta compilazione del presente modulo potrà [rectius potranno] essere desunti dal Tribunale argomenti di prova ai sensi dell’art. 116 comma 2 c.p.c.».