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Il Problema
La tutela dei minori è un campo delicato e difficile, sia per la difficoltà di esprimere – come capita talvolta – una valutazione ex ante in via preventiva, e sia per le implicazioni che ogni decisione assunta sul punto necessariamente comporta.
Purtroppo, a volte accade che questo – si ripete, difficile e delicato – compito, venga svolto da personale non adeguatamente preparato e competente.
Questo è quanto è accaduto a Monza, in un caso in cui i Servizi Sociali avevano chiesto ed ottenuto un provvedimento di allontanamento del minore dalla propria famiglia, sul presupposto di un sospetto di molestie sessuali da parte del padre, poi rivelatosi privo di fondamento.
Dopo diversi mesi di distacco, il minore è poi stato restituito alla sua famiglia e questa ha chiesto ed ottenuto la condanna al risarcimento del danno del Comune cui quei Servizi Sociali afferiscono. La Cassazione ha confermato la condanna (Cass. Civ., Sez. III, 16/10/2015, n. 20928).
Il caso
Venendo ai dettagli: nella fattispecie si trattava di una minore la cui maestra aveva cominciato a nutrire dei sospetti di molestie sessuali addebitabili al padre della minore, per cui aveva sollecitato l’intervento dei Servizi Sociali i quali, a loro volta, basandosi solo sulle dichiarazioni della maestra, avevano chiesto ed ottenuto dal Sindaco un provvedimento di allontanamento della minore dalla casa familiare e di affidamento al Comune, provvedimento emesso ai sensi dell’art. 403 CC.
Per effetto del citato provvedimento ex art. 403 CC, la minore era stata separata ed allontanata dai propri genitori (a cui, peraltro, per diverso tempo era stato negato anche solo il diritto di visita della propria figlia), dunque, con conseguente effetto grave e traumatico.
Il provvedimento ex art. 403 CC emesso dal Sindaco, era stato poi ‘ratificato’ dal Tribunale per i Minorenni territorialmente competente. Il Tribunale per i Minorenni aveva, poi, svolto ulteriori accertamenti ed indagini tramite CTU all’esito dei quali era emerso che «gli accertamenti condotti nei sei mesi in cui la bambina era stata allontanata dalla famiglia non avevano fatto emergere ‘elementi compatibili con la possibile sussistenza di molestie sessuali ai suoi danni’, nè contenuti atti a far ipotizzare disturbi della personalità od altri aspetti patologici», del che, il T.M. aveva ordinato la restituzione della bambina ai genitori.
A questo punto i genitori avevano citato in giudizio il Comune, in persona del suo Sindaco, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ex art. 2049 CC, in relazione al comportamento illecito degli addetti ai Servizi Sociali.
La domanda risarcitoria è stata accolta in primo grado dal Tribunale di Monza e confermata anche in secondo grado dalla Corte territoriale. Ed infine, impugnata dal Comune avanti la Corte di Cassazione, confermata anche da quest’ultima con la sentenza Cass. Civ., Sez. III, 16/10/2015, n. 20928.
La decisione n. 20928/2015 della Corte di Cassazione
Ad avviso di chi scrive, gli aspetti interessanti della decisione (Sez. III, 16/10/2015, n. 20928) della Suprema Corte, sono due:
a) la portata chiarificatrice del contenuto dell’art. 403 CC;
b) l’affermazione della responsabilità risarcitoria del Comune per fatto dei Servizi Sociali quali propri dipendenti ex art. 2049 CC.
Il contenuto dell’art. 403 CC
Sotto il primo profilo, nella sentenza Sez. III, 16/10/2015, n. 20928 la Corte di Cassazione, con un taglio innegabilmente critico rispetto all’operato dei Servizi in questione, chiarisce che:
il potere del Sindaco di intervenire direttamente sull’ambiente familiare ai sensi dell’art. 403 c.c., è previsto per i casi di “abbandono morale e materiale” (trascuratezza, mancanza di cure essenziali, percosse, ambiente insalubre o pericoloso, ecc.) ed in genere per situazioni di disagio minorile che siano palesi, evidenti o comunque di agevole e indiscutibile accertamento, al fine di adottare in via immediata i provvedimenti di tutela contingibili e urgenti, che si appalesino necessari.
L’autorità amministrativa non ha invece poteri di indagine e di istruttoria sul singolo caso […] l’ente amministrativo deve in tal caso rivolgersi – ovviamente con la tempestività e l’urgenza del caso – alle istituzioni specificamente competenti in materia, quali il Tribunale per i minorenni e s edel caso il pubblico ministero.
ed ulteriormente afferma che
si è a suo tempo discusso se la L. 4 maggio 1983, n. 184, sull’adozione speciale, ed in particolare l’art. 2 della legge stessa, relativo all’affidamento a terzi dei minori privi di un ambiente familiare idoneo, avesse implicitamente abrogato l’art. 403 c.c., e la soluzione è stata negativa proprio in base al rilievo che l’art. 403 si riferisce esclusivamente agli interventi urgenti, da realizzare nella fase anteriore ai provvedimenti relativi all’affidamento
La responsabilità risarcitoria del Comune
Quanto al secondo profilo, ossia quello della responsabilità risarcitoria del Comune per fatto dei Servizi Sociali, nella sentenza Sez. III, 16/10/2015, n. 20928, la Corte di Cassazione non ha esitazione nell’affermare che:
Non si può che condividere quindi il giudizio della Corte di appello, secondo cui il personale del Comune è incorso da un lato in imperizia nel gestire la vicenda, facendo affidamento sui sospetti di persona priva della competenza richiesta per la valutazione del caso, anzichè percepire la delicatezza della situazione e la necessità di procedere ad ulteriori ed approfondite indagini da parte degli organi giudiziari competenti; dall’altro lato in negligenza ed incuria, avendo – su tali precarie basi – sollecitato un provvedimento grave e traumatico quale l’allontanamento della minore dalla famiglia per vari mesi.
ed ulteriormente chiarisce che:
Il Comune è stato chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2049 c.c., sulla base di una fattispecie di responsabilità che gli è addebitabile oggettivamente, per effetto della condotta colposa dei suoi dipendenti, nell’esercizio delle loro specifiche incombenze.
Irrilevante è il fatto che il provvedimento [ex art 403 CC n.d.r.] non sia stato impugnato o annullato, perchè non esso, bensì i suoi presupposti, cioèil comportamento colposo degli operatori dei Servizi sociali, del cui comportamento il Comune è tenuto a rispondere, costituiscono la ragione della condanna.
La Corte Europea dei diritti dell’uomo
Proprio in questi giorni, su questo tema si è pronunciata anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo con una condanna dell’Italia per la violazione dell’art. 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo, con sentenza del 13/10/2015, di cui, tuttavia, siamo in grado di fornirvi solo il testo non tradotto reperito sul sito www.cronacasociale.it/wp/ (Strasburgo-sentenza-Hodson).
In quel caso, la fattispecie era differente perchè si trattava della dichiarazione di adottabilità di tre bambini, assunta, secondo la Corte, in violazione del generale principio secondo cui prima della dichiarazione di adottabilità devono essere compiuti tutti i tentativi necessari per evitarla, tuttavia, la linea di pensiero sembra essere sempre la stessa, ossia la raccomandazione di usare sempre estrema cautela e soprattutto competenza nell’allontanamento del minore dalla propria famiglia.
Documenti & Materiali
Leggi la sentenza Cass. Civ., Sez. III, 16/10/2015, n. 20928
scarica la Strasburgo-sentenza-Hodson
scarica la Convenzione dei diritti dell’uomo (ITA)