Penale: Sezioni Unite: dopo l’assoluzione in primo grado, in appello non si può condannare senza rinnovare l’istruttoria In nota a Cass. Pen., S.U., 06/07/2016, n. 27620


Con una recentissima pronuncia (06/07/2016, n. 27620) le Sezioni Unite della Cassazione Penale si sono pronunciate in materia di rinnovazione istruttoria in sede di impugnazione mutando l’orientamento preesistente delle singole sezioni.

Il caso

Il caso da cui muove la pronuncia delle Sezioni Unite, è quello di un procedimento penale per estorsione continuata (ex artt. 629 e 81 CP), in cui l’imputato, dapprima, da parte del Giudice di primo grado, viene assolto, e poi, in secondo grado, viene condannato, sulla base, tuttavia, delle medesime prove assunte nel corso del giudizio di primo grado, senza, dunque, rinnovazione delle stesse da parte della corte territoriale, bensì, sulla base di una diversa valutazione delle stesse esclusivamente cartolare.

A fronte dell’impugnazione in Cassazione della sentenza da parte dell’imputato, la Seconda Sezione Penale rimette al Primo Presidente poichè rileva che nel caso di specie vi sarebbe la violazione dell’art. 6 C.E.D.U., così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, atteso che in casi come quello di cui si tratta, in ossequio al cit. art. 6 si sarebbe dovuto procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

Ma la Seconda Sezione Penale si chiede anche se, in mancanza di eccezione sul punto da parte del ricorrente-imputato, la Corte, possa o meno rilevare d’ufficio la questione, e, stante la sussistenza di divergenti orientamenti giurisprudenziali sul punto, rimette la decisione al Primo Presidente che assegna alle Sezioni Unite.

La rimessione alle Sezioni Unite

La questione rimessa alle Sezioni Unite può essere così enunciata:

«Se sia rilevabile d’ufficio in sede di giudizio di cassazione la questione relativa alla violazione dell’art. 6 C.E.D.U. per avere il giudice d’appello riformato la sentenza assolutoria di primo grado affermando la responsabilità penale dell’imputato esclusivamente sulla base di una diversa valutazione di attendibilità delle dichiarazioni di testimoni senza procedere a nuova escussione degli stessi».

I due distinti orientamenti della Cassazione

Sul punto, come detto, l’ordinanza di rimessione al Primo Presidente dà conto dell’esistenza di due orientamenti contrastanti:
1) Secondo una prima impostazione, che si è espressa in senso negativo, presupposto per rilevare la violazione dell’art. 6 C.E.D.U. è che l’imputato abbia esperito il ricorso a tutti i rimedi offerti dall’ordinamento processuale; situazione che non ricorre quando non vi sia stata richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e quando non sia stata impugnata la decisione di appello per mancato rispetto del parametro convenzionale, riconducibile a una violazione di legge da far valere ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), (Sez. 1, n. 26860 del 09/06/2015, Bagarella, Rv. 263961; Sez. 5, n. 51396 del 20/11/2013, Basile, Rv. 257831; Sez. 4, n. 18432 del 19/11/2013, dep. 2014, Spada, Rv. 261920).
2) Secondo il contrario orientamento, la violazione in questione è rilevabile d’ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, dato che il presupposto del previo esaurimento dei rimedi interni va applicato senza eccessivo formalismo, essendo sufficiente che la parte abbia impugnato la decisione ad essa sfavorevole, e dovendosi considerare che le norme della C.E.D.U. hanno natura sovralegislativa, seppure sub-costituzionale, tanto che il condannato potrebbe comunque ricorrere alla Corte EDU facendo valere la violazione dell’art. 6; dal che discenderebbe un dovere del giudice nazionale di ricondurre il processo alla legalità convenzionale pur in mancanza di una specifica deduzione di parte (Sez. 1, n. 24384 del 03/03/2015, Mandarino, Rv. 263896; Sez. 3, n. 19322 del 20/01/2015, Ruggeri, Rv. 263513; Sez. 3, n. 11648 del 12/11/2014, dep. 2015, P., Rv. 262978; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261555; cui adde, non menzionata dall’ordinanza, Sez. 5, n. 25475 del 24/02/2015, Prestanicola, Rv. 263902).

Ebbene, in realtà, con la pronuncia S.U., n. 27620/2016 che qui si segnala, le Sezioni Unite, ritengono di non condividere nè l’uno nè l’altro dei due orientamenti.

L’art. 6 C.E.D.U.

Il cit. art. 6 C.E.D.U., chiamato in causa dalla sentenza in esame, è intitolato “diritto a un equo processo” testualmente dispone che:

« Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.
2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:
(a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;
(b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;
(c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della
giustizia;
(d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
(e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza».

La posizione delle Sezioni Unite

Le S.U. affermano di non condividere nessuno dei due orientamenti sopra ricordati e ciò argomentando essenzialmente dalla considerazione che il giudice ha il dovere di motivare adeguatamente il proprio percorso decisionale, nonché muovendo dal canone “al di là di ogni ragionevole dubbio” introdotto nell’art. 533 C.P.P., comma 1 per effetto della L. 20/02/2006, n. 46.

In particolare, le S.U. precisano che nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, occorrendo una “forza persuasiva superiore, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio“,

«posto che, come incisivamente notato da Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Galante, “la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza».

La rinnovazione istruttoria

Occorre ricordare che secondo il nostro codice di rito, la rinnovazione istruttoria è subordinata ad alcune regole.

In particolare, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è stata concepita dal legislatore del 1988, in aderenza ai criteri direttivi della legge – delega del 1987 (art. 2/94), come istituto di carattere residuale.

Essa è subordinata alla richiesta di parte, e disposta solo se:
a) il giudice di appello ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, con riguardo alla riassunzione di prove già acquisite o all’assunzione di prove preesistenti e conosciute (art. 603 c.p.p., comma 1);
b) è ugualmente subordinata alla richiesta di parte, ma in questo caso soggetta al solo limite di manifesta superfluità o irrilevanza, con riguardo alle prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado (art. 603 c.p.p., comma 2, in combinato disposto con l’art. 495 c.p.p., comma 1, e art. 190 c.p.p., comma 1);
c) è, infine, espressione di un potere officioso del giudice di appello, analogo a quello del giudice di primo grado (art. 507 c.p.p.), nel caso di valutazione di assoluta necessità ai fini della decisione (art. 603 c.p.p., comma 3).

Ora, in questo quadro, in effetti non è espressamente contemplata l’ipotesi in cui il giudice di appello interpreti le risultanze di prove dichiarative in termini antitetici alle conclusioni assunte in primo grado, tuttavia, le Sezioni Unite giungono sostanzialmente ad includere anche questa ipotesi muovendo, proprio, dai valori sottesi al processo penale ed in particolare al principio del “ragionevole dubbio“.

Infatti con la sentenza Cass. Pen., S.U., 06/07/2016, n. 27620 le Sezioni Unite concludono  in pieno accordo con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU sopra richiamata, e ritengono che, fermi restando i limiti derivanti dal dovere di immediata declaratoria di cause di non procedibilità o di estinzione del reato, ex art. 129 c.p.p., comma 1, il giudice di appello, investito dalla impugnazione del pubblico ministero che si dolga dell’esito assolutorio di primo grado adducendo una erronea valutazione sulla concludenza delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato senza avere proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.

Il concetto di decisività delle prove da assumere

In ordine al concetto di “decisitività“, poi, Le Sezioni Unite chiariscono che:

«ai fini della presente decisione, tale nozione non può ridursi a quella presa in considerazione dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento al caso di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), secondo cui per “prova decisiva” deve intendersi quella che, ove esperita, avrebbe “sicuramente” determinato una diversa pronuncia».
E prosegue chiarendo che:
«devono ritenersi prove dichiarative “decisive” quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull’esito del giudizio di appello, nell’alternativa “proscioglimento – condanna”. Appaiono parimenti “decisive” quelle prove dichiarative che, ritenute di scarso o nullo valore probatorio dal primo giudice, siano, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti, da sole o insieme ad altri elementi di prova, ai fini dell’esito di condanna».

La natura del vizio della sentenza

Ma la conclusione forse più interessante cui arrivano le Sezioni Unite è che il vizio che si verrebbe così a determinare (omettendo la rinnovazione istruttoria nei casi in cui è dovuta) non va inquadrato nell’ambito della violazione di legge, bensì in quello di un “vizio di motivazione“.
Secondo il giudice di legittimità, occorre che l’imputato nell’atto di impugnazione
«attacchi il punto della sentenza contenente l’affermazione della responsabilità penale e si dolga di una errata valutazione delle risultanze probatorie mediante un “valido” ricorso per cassazione; il quale non sia viziato, cioè, da connotati di globale inammissibilità; essendo per contro del tutto irrilevante che faccia specifico riferimento alla violazione della regola di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3, alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, una volta che tale vizio, come detto, si riverbera sulla motivazione della sentenza».

La conclusione

Dunque, dopo un articolato quanto interessante ragionamento, sopra sintetizzato, le Sezioni Unite, concludono per disporre l’annullamento con rinvio della sentenza formulando i seguenti principi di diritto:
«I principi contenuti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come viventi nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme di diretta applicabilità nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione (“convenzionalmente orientata”) ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne”.
“La previsione contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso
dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado”.
“L’affermazione di responsabilità dell’imputato pronunciata dal giudice di appello su impugnazione del pubblico ministero, in riforma di una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 3, integra di per sè un vizio di motivazione della sentenza di appello, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 533 c.p.p., comma 1. In tal caso, al di fuori dei casi di in ammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata”.
“Gli stessi principi trovano applicazione nel caso di riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado, ai fini delle statuizioni civili, sull’appello proposto dalla parte civile“».

Documenti & materiali

Scarica la sentenza Cass. Pen., S.U., 06/07/2016, n. 27620

Scarica la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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