Il diritto di abitazione del convivente superstite nella L. 20/05/2016, n. 76 In nota al parere dell'Agenzia delle Entrate del 20/10/2018


L’art. 42 della L. 20/05/2016, n. 76 altrimenti nota come legge sulle unioni civili e la convivenza, dispone:

«salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni».

Si tratta, dunque, del riconoscimento di un diritto, quello di abitazione, particolarmente importante a tutela del convivente di fatto a fronte del decesso del proprietario della casa con cui vi era, appunto, una convivenza di fatto. Il diritto ha una durata variabile e maggiore nell’ipotesi di presenza di figli minori o disabili.

Ma come si accerta la convivenza?

L’art. 37 della L. 20/05/2016, n. 76 dispone:

« ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223».

Questo è il problema sottoposto all’Agenzia delle Entrate per un parere.

Il caso

Precisamente il caso è quello di un soggetto che è erede, insieme alla sorella, del loro fratello deceduto in assenza di testamento, senza figli.

Il punto è che il de cuius aveva coabitato initerrottamente ed effettivamente dal 2008 con una compagna nell’abitazione sita in Bologna a lui intestata, anche se questa aveva conservato la propria residenza anagrafica in un diverso e limitrofo comune.

La questione sottoposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate, è se ai fini del riconoscimento del diritto di abitazione previsto dall’articolo 1 comma 42 della legge n. 76 del 2016 a favore del convivente more uxorio sia necessaria o meno, la residenza anagrafica oppure se la coabitazione può essere provata in altro modo. Il soggetto in questione chiede anche se sia possibile inserire nella dichiarazione di successione del defunto fratello anche la convivente superstite quale titolare del diritto di abitazione, pur in assenza, al momento dell’apertura della successione della residenza anagrafica presso la casa del de cuius.

L’Agenzia delle Entrate risponde al quesito con il parere che di seguito si riporta.

Il parere dell’Agenzia delle Entrate

«La legge 20 maggio 2016, n. 76, in tema di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, al comma 37 dell’articolo 1 stabilisce che ai fini dell’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223. Sul punto la circolare n.7 del 2018 in tema di detrazioni per interventi di ristrutturazione ha precisato che “poiché ai fini dell’accertamento della stabile convivenza la legge n. 76 del 2016 richiama il concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico di cui al DPR n. 223 del 1989 (Risoluzione 28.07.2016 n.64), tale status può risultare dai registri anagrafici o essere oggetto di autocertificazione resa ai sensi dell’art. 47 del DPR n .445 del 2000”.

Pertanto, con riferimento al caso oggetto dell’interpello in esame si ritiene che lo status di convivente possa essere riconosciuto sulla base di una autocertificazione resa ai sensi del citato articolo 47 sebbene la convivenza con il de cuius non risulti da alcun registro anagrafico e la convivente superstite non abbia la residenza anagrafica nella casa di proprietà del de cuius.

Con riferimento, inoltre, al diritto di abitazione riconosciuto al convivente di fatto superstite occorre far riferimento al comma 42 della citata legge 76 del 2016 secondo cui “Salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni(…)”. Sul punto con la sentenza n. 10377 del 27.04.2017 la Suprema Corte ha chiarito che “la convivenza “more uxorio”, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, con la conseguenza che l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta da terzi e finanche dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7214 del 21/03/2013; id. Sez. 2, Sentenza n. 7 del 02/01/2014).

Tale situazione giuridica non immuta, tuttavia, al regime legale della detenzione del bene, in quanto riconducibile ad un diritto personale di godimento che viene acquistato dal convivente in dipendenza del titolo giuridico individuato dall’ordinamento nella comunanza di vita attuata anche mediante la coabitazione, ossia attraverso la destinazione dell’immobile all’uso abitativo dei conviventi(…).

Il riconoscimento del diritto di continuare ad abitare nella casa comune ad opera del citato articolo 1 comma 42 della legge n. 76 del 2016 è volto a garantire la tutela del diritto all’abitazione dalle pretese restitutorie dei successori del defunto per un lasso di tempo ragionevolmente sufficiente a consentite al convivente superstite di provvedere in altro modo a soddisfare l’esigenza abitativa.

Nel caso in esame il convivente non assume la qualifica di legatario dell’immobile in quanto manca una disposizione testamentaria volta a istituirlo come tale ai sensi dell’articolo 588 del codice civile.

Alla luce delle suesposte considerazioni, contrariamente a quanto ritenuto dall’istante, deve escludersi che il diritto di abitazione ex art.1 comma 42 della legge 76 del 2016 debba essere indicato nella dichiarazione di successione, in quanto diritto personale di godimento attribuito ad un soggetto che non è erede o legatario».

Documenti & materiali

Si precisa che il parere dell’Agenzia delle Entrate sopra riportato è stato estratto dalla rivista giuridica ‘Il Caso‘.

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Author: Avv. Daniela Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 20 agosto 1963. Iscritto all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 1992. Abilitata al patrocinio dinanzi alle magistrature superiori dal 2004. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione famiglia di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833.

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