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La questione della legittimazione processuale del commissario liquidatore nel concordato preventivo con cessione dei beni è una tra quelle più dibattute delle non poche che concernono questa figura concorsuale dai tratti sfumati: un po’ mandatario del ceto creditorio, un po’ protagonista autonomo della scena concordataria, come avevamo avuto occasione di rilevare in un articolo di qualche tempo fa.
Nel definirne i tratti generali, già Cass. Civ., III, 11/08/2000, n. 10738 aveva avuto modo di rilevare come
«nella cessione dei beni ai creditori costituente particolare modo di attuazione del concordato preventivo (artt. 160, 2 comma n. 2, 181, 1 comma n. 3, 182 e 186, 2 comma della legge fallimentare), pur sempre inquadrabile nell’ambito della “cessio bonorum” regolata dal codice civile, non si attua il trasferimento di proprietà dei beni ceduti, ma il solo trasferimento, in favore degli organi della procedura concordataria, della legittimazione a disporne (risolvendosi essa in un mandato irrevocabile, perché conferito anche nell’interesse di terzi, a gestire e a liquidare i beni ceduti)».
Concetto, quest’ultimo, ribadito anni dopo, allorquando Cass. Civ., I, 12/05/2010, n. 11520 affermò che
«secondo un’indiscussa giurisprudenza di questa corte, invero, la procedura di concordato preventivo mediante cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione».
Il che, considerando il parallelo ed indiscusso opinamento secondo cui il concordato con cessio bonorum non elide, in capo al debitore ammesso alla procedura, né la titolarità dei beni “ceduti” alla medesima, né, dunque, la relativa legittimazione processuale, apre importanti profili problematici: se, infatti, i beni (intesi come fascio di rapporti economici attivi e passivi) conferiti alla procedura concordataria restano del debitore ammesso alla procedura stessa, come ed a che titolo il liquidatore del concordato preventivo può interferire con le liti che li riguardano?
La legittimazione passiva del liquidatore concordatario: profili generali
Soffermandoci sul particolare aspetto della legittimazione passiva del liquidatore concordatario, oggetto del recente precedente di legittimità in commento (Cass. Civ., Sez. I, 10/05/2017, n. 11460), occorre ricordare che sul tema la linea era stata a suo tempo dettata da Cass. Civ., I, 01/08/1997 n. 7147, che rispetto a pretese vantate da terzi, aveva individuato il discrimen tra legittimazione del liquidatore, da un lato, e l’estraneità di questi a tali pretese, dall’altro, nell’attinenza o meno della domanda proposta nella specie all’ambito dei rapporti sorti nel corso o in funzione della liquidazione.
Infatti, come recita Cass. Civ., I, 01/08/1997 n. 7147 sopra citata,
«la legittimazione del liquidatore è definita dall’ambito del suo mandato (art. 182 l.f.) ed è perciò limitata ai rapporti obbligatori sorti nel corso e in funzione delle operazioni legate alla liquidazione. Sicché la legittimazione passiva nelle controversie che abbiano ad oggetto l’accertamento di ogni altro credito (non attinente – cioè strettamente alle operazioni di liquidazione) spetta esclusivamente al debitore concordatario».
Se, dunque, le cose stanno così, il problema diventa allora quello di stabilire quali siano «i rapporti obbligatori sorti nel corso o in funzione delle operazioni» di liquidazione che segnano il limite della legittimazione in questione.
Su questo tema, si era a suo tempo manifestato un contrasto giurisprudenziale tra chi, limitando il ruolo del liquidatore concordatario alla sola liquidazione dei “beni”, lo riteneva estraneo alle vicende giudiziarie relative alle pretese dei creditori della società debitrice e chi riteneva, invece, che egli fosse comunque legittimato passivamente almeno in tutti quei casi in cui l’accoglimento della domanda giudizialmente proposta avesse potuto avere comunque riflessi sulle operazioni di liquidazione.
Erano, così, intervenute le Sezioni Unite (Cass. Civ., SS. UU, 28/05/1987, n. 4779), sancendo non solo l’esistenza della legittimazione passiva del liquidatore, ma anche la sua qualifica di litisconsorte necessario ex art. 102, 2° co., c.p.c, quantomeno nei casi in cui si controvertesse nella natura, concordataria o meno, del credito fatto valere dall’attore.
Senonché, anche dopo l’intervento dell’arresto a Sezioni Unite appena citato era residuata una discreta incertezza ed il quadro che ne è derivato si è ripartito tra le ipotesi in cui la domanda del creditore sia di mero accertamento, in cui la legittimazione del liquidatore concordatario è tendenzialmente esclusa (v. Cass. Civ., I, 29/04/1999 n. 4301), e casi, invece, in cui il petitum sia, oltre che di accertamento, anche di condanna, in cui non solo la legittimazione in questione è riconosciuta a fianco di quella del liquidatore, ma viene altresì qualificata in termini di litisconsorzio necessario (Cass. Civ., Sez. Lav., 26/07/2001, n. 10250).
Un caso particolare: la legittimazione ad impugnare
In questo quadro si innesta la sentenza della Suprema Corte qui in esame (Cass. Civ., Sez. I, 10/05/2017, n. 11460), la quale provvede in ordine alla particolare fattispecie della legittimazione ad impugnare del commissario liquidatore.
Il caso
Il caso oggetto della vicenda di specie riguarda un’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da una società – allorché in bonis – e da alcuni coobbligati con essa solidali.
Questi ultimi e l’anzidetta società erano rimasti soccombenti all’esito del giudizio di primo grado, nel corso del quale la seconda era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo.
Appellavano la decisione i fideiussori e il liquidatore concordatario della società in questione, la quale rimaneva viceversa inerte.
In appello il creditore appellato rileava la carenza di legittimazione del liquidatore concordatario rispetto all’impugnazione, eccezione che veniva respinta dalla Corte d’Appello, la quale osservava, come risulta dalla premessa in fatto del precedente di legittimità in esame, che essa si manifestava infondata
«avuto riguardo al principio secondo cui, in caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche alla domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione di riparto del ricavato, si affianca alla legittimazione passiva del debitore quella del liquidatore giudiziale, senza necessità di autorizzazione del giudice delegato».
Il creditore (rimasto soccombente anche nel merito della causa, avendo la Corte rovesciato il verdetto di prime cure ad egli favorevole), ricorreva indi per Cassazione, ivi riproponendo l’eccezione di carenza di legittimazione al gravame del liquidatore giudiziale di cui sopra.
La decisione della Suprema Corte
Con la decisione in commento, la Suprema Corte, ribaditi i principi di massima in precedenza esaminati, osservava, anzitutto, che la legittimazione ad impugnare spetta, in tesi generale, solo alle parti
«tra le quali risulti essere stata formalmente emessa la sentenza impugnata alla stregua dei soli dati desumibili dal testo della medesima»,
non potendosi neppure rilevare, in contrario, la qualifica di litisconsorte necessario pretermesso (cosa, che, peraltro, nella specie non era avvenuta).
Ne consegue, in primo luogo, secondo l’insegnamento della Corte, che
«sotto l’aspetto considerato, il Commissario Liquidatore non era legittimato ad impugnare, e non lo sarebbe stato neppure se avesse allegato a fondamento dell’impugnazione la sua qualità di litisconsorte necessario pretermesso».
Affrontato tale profilo formale, la Corte passa poi ad esaminare la questione anche nella prospettiva successoria, rilevando, in proposito, che, posto che il liquidatore concordatario subentra al debitore ammesso alla procedura solo per quanto attiene alla liquidazione dei beni ceduti ad essa ed alle valutazioni relative al carattere, concordatario o meno, dei crediti vantati da quest’ultima, tale figura
«neppure possiede la qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso (Cass. 27 ottobre 2000, n. 14206), sicché la strada dell’impugnazione era preclusa al Commissario Liquidatore, nel nostro caso, anche per tale via».
In conclusione
Deriva, in definitiva, dal precedente sopra discusso che, laddove il liquidatore concordatario non sia stato originariamente parte del giudizio di prime cure, egli, salva la possibilità di intervento nel giudizio di appello (e la proposizione di opposizione di terzo, possibilità pure evidenziata dalla sentenza in commento), non è legittimato ad interporre autonoma impugnazione, neppure adducendo la propria qualifica di litisconsorte necessario pretermesso, che pure, almeno in certi casi, mantiene.
Documenti & materiali
Leggi Cass. Civ., Sez. I, 10/05/2017, n. 11460
Avviso “REPLAY”
Questo articolo è stato pubblicato in data 17/07/2017 ed è stato uno dei più letti del nostro blog. Non costituisce un aggiornamento e viene nuovamente pubblicato nella sua stesura originaria per la serie “REPLAY”- 2017.