Cosa accade quando gli ex coniugi, comproprietari, procedono alla divisione dell’immobile in comproprietà, casa familiare? e se quell’immobile, in quanto casa familiare, è stato assegnato ad uno di essi, nel valore dell’immobile come e quanto incide detta assegnazione?
Questi sono i quesiti cui ha risposto la Suprema Corte con la sentenza, Sez. II, 09/09/2016, n. 17843 che qui si segnala.
La pronuncia della Suprema Corte interviene in un caso in cui si era ritenuto di registrare di fatto un contrasto giurisprudenziale del giudice di legittimità, in ordine, appunto, all’incidenza o meno, sul valore di mercato da attribuire alla casa familiare, nell’ipotesi in cui essa risulti assegnata ad uno dei due genitori.
In proposito, infatti, in passato con la sentenza 15/10/2004, n. 20319, sul punto, la Suprema Corte si era espressa nel seguente modo:
«l’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga eventualmente modificato. Ne consegue che di tale decurtazione deve tenersi conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge, ovvero venduto a terzi in caso di sua infrazionabilità in natura».
Insomma nel 2004 la Cassazione affermava il principio secondo cui del provvedimento di assegnazione della casa familiare si dovesse tenere conto in via oggettiva, con la conseguenza, quindi, che esso dovesse incidere negativamente sul valore di mercato dell’immobile.
Tuttavia, prima ancora di questa pronuncia, ve ne era stata un’altra (Cass. Civ., Sez. II, 17/09/2001, n. 11630) con cui si affermava un principio differente, anzi – si direbbe – opposto, e precisamente:
«la assegnazione della casa familiare, di cui i coniugi siano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli non ha più ragion d’essere e, quindi, il diritto di abitazione, che ne scaturisce, viene meno nel momento in cui il coniuge, cui la casa sia stata assegnata, ne chiede, nel corso del giudizio per lo scioglimento della comunione conseguente (nel caso di specie) a divorzio, l’assegnazione in proprietà, acquisendo così, attraverso detta assegnazione, anche la quota dell’altro coniuge. In tal caso, il diritto di abitazione (che è un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale) non può essere preso in considerazione, al fine di determinare il valore di mercato dell’immobile, sia perchè è un diritto che l’art. 155 c.c., comma 4, prevede nell’esclusivo interesse dei figli e non nell’interesse del coniuge affidatario degli stessi, sia perchè, intervenuto lo scioglimento della comunione a seguito di separazione personale o di divorzio, non può più darsi rilievo, per la valutazione dell’immobile, ad un diritto, che, con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non ha più ragione di esistere».
In sintesi, quindi, secondo la Suprema Corte del 2001, poi ribadito anche nel 2014 con la sentenza 27128/2014, la valutazione della casa familiare assegnata ad uno dei due genitori, quale affidatario della prole minore, non può subire decurtazioni per il fatto dell’assegnazione, allorchè venga assegnata in proprietà esclusiva a quest’ultimo (l’altro coniuge, infatti, che dovrà ricevere il conguaglio in denaro della propria quota, in questo caso, si troverebbe a dover subire ingiustamente un ingiusto impoverimento).
Chiarito, questo, la Corte del 2016, con la sentenza Cass. Civ., Sez. II, 09/09/2016, n. 17843 qui segnalata, ritenendo in primo luogo non esistente alcun contrasto giurisprudenziale, e ritenendo di aderire a quest’ultimo orientamento, ribadisce che:
«il diritto di abitazione della casa familiare è un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale), previsto nell’esclusivo interesse dei figli (art. 155 c.c., comma 5) e non nell’interesse del coniuge affidatario, che viene meno con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non avendo più ragione di esistere».
Precisando che:
“ove si operasse la decurtazione dal valore in considerazione del diritto di abitazione, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustificatamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà dell’effettivo valore venale del bene: il che è comprovato dalla considerazione che, qualora intendesse rivenderlo a terzi, l’assegnatario in proprietà esclusiva potrebbe ricavare l’intero prezzo di mercato, pari al valore venale del bene, senza alcuna diminuzione».
In conclusione, sembra di capire che, se la casa familiare in comproprietà, in sede di divisione venisse attribuita al genitore comproprietario assegnatario della casa medesima, il ‘vincolo’ di assegnazione esistente non potrà ridurre il suo valore di mercato, perchè avrebbe l’ingiusto effetto di penalizzare – ulteriormente – l’altro genitore comproprietario che così si vedrebbe liquidare la propria quota con una somma ridotta.
A contrario, però, a parere di chi scrive, si dovrà ritenere che questo principio non potrà valere nel caso opposto, ossia qualora in sede di divisione l’attribuzione della casa familiare (con ‘vincolo’ di assegnazione) venisse effettuata al genitore comproprietario non assegnatario.
Documenti & materiali
Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. II 15/10/2004, n. 20319
Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. II, 17/09/2001, n. 11630
Scarica la sentenza Cass. Civ., Sez. II, 09/09/2016, n. 17843
Avviso “REPLAY”
Questo articolo è stato pubblicato in data 28/02/2017 ed è stato uno dei più letti del nostro blog. Non costituisce un aggiornamento e viene nuovamente pubblicato nella sua stesura originaria per la serie “REPLAY”- 2017.