Prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo e oneri istruttori del datore di lavoro Trib. Bari, Sez. Lav., 25/11/2019

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TRIB. BARI, SEZ. LAV., 25/11/2019

«L’onere probatorio della sussistenza del giustificato motivo oggettivo grava ai sensi dell’art. 5 l. 604/66 sul datore di lavoro, cui spetta dimostrare non solo la concreta riferibilità del licenziamento individuale a iniziative collegate a effettive ragioni di carattere produttivo e/o organizzativo, ma anche l’impossibilità di utilizzare il lavoratore estromesso in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui era stato precedentemente adibito» (Massima non ufficiale)

FATTO E DIRITTO

La domanda è fondata e, pertanto, merita accoglimento.

Il ricorrente in epigrafe indicato, premesso di aver lavorato alle dipendenze della società convenuta dal 14.07.03 al 12.09.14 con qualifica e mansioni di assemblatore e installatore di infissi in alluminio, inquadrato nel livello 3° del CCNL di settore, ha impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli con decorrenza dal 10.09.14.

Costituitasi in giudizio, la controparte ha contestato quanto ex adverso dedotto, chiedendo pertanto il rigetto del ricorso.

Il processo è stato istruito mediante interrogatorio formale delle parti e prova testimoniale.

All’odierna udienza la causa è stata decisa.

Come noto, l’art. 3 della legge n. 604/1966 identifica il giustificato motivo oggettivo in “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di esso”.

Si ritiene che la ragione giustificativa del licenziamento, purché seria ed effettiva e non già pretestuosa, possa rinvenirsi sia nei fattori (sfavorevoli) di mercato, sia nelle modificazioni tecnico – produttive ovvero anche nelle iniziative di riorganizzazione inerenti alla gestione d’impresa orientate al contenimento dei costi (in questo senso, ex plurimis, Cass. n. 21282/06, Cass. n. 7750/2003, Cass. n. 14093/2001), o in quelle che attengono a una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero sono dirette a un aumento della redditività d’impresa (Cass. sez. lav. n. 25201 del 07/12/2016), dovendosi ravvisare piuttosto nella previsione dell’obbligo di repechage il contemperamento tra l’interesse dell’impresa e quello del lavoratore ugualmente protetti dalla normativa costituzionale.

Ciò posto, vale osservare che, se è pressoché incontrastata l’affermazione dell’insindacabilità giudiziale delle scelte imprenditoriali, in quanto espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art.41 Cost., come parte convenuta non ha mancato di sottolineare, è invece rimessa al giudice la ricognizione dell’effettività delle denunciate esigenze tecniche ed economiche dell’organizzazione produttiva, dell’esistenza di un nesso di causalità tra le scelte imprenditoriali e il provvedimento di licenziamento e della mancanza di qualsiasi possibilità di utilizzazione alternativa del lavoratore (cosiddetto “repechage”) mediante l’adibizione dello stesso a mansioni tendenzialmente equivalenti (si veda, ex plurimis, Cass. n. 15894/2000).

L’onere probatorio della sussistenza del giustificato motivo oggettivo grava ai sensi dell’art. 5 l. 604/66 sul datore di lavoro, cui spetta dimostrare non solo la concreta riferibilità del licenziamento individuale a iniziative collegate a effettive ragioni di carattere produttivo e/o organizzativo, ma anche l’impossibilità di utilizzare il lavoratore estromesso in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui era stato precedentemente adibito (si veda, ex plurimis, Cass. n. 4688/1991; cfr. anche Cass. sez. lav. 11720/09, secondo cui “In materia di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo determinati da ragioni inerenti all’attività produttiva, il datore di lavoro ha l’onere di provare, con riferimento alla organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento e anche attraverso fatti positivi, tali da determinare presunzioni semplici (come il fatto che dopo il licenziamento e per un congruo periodo non vi siano state nuove assunzioni nella stessa qualifica del lavoratore licenziato), l’impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva, giustificandosi il recesso solo come “extrema ratio””).

Nel caso di specie, la lettera di recesso datoriale reca la seguente motivazione: “A causa di una precaria situazione finanziaria dovuta ad una drastica riduzione di lavoro, siamo costretti a comunicarLe il suo licenziamento dalle nostre dipendenze”.

É pacifico che all’epoca del licenziamento l’impresa convenuta contasse solo, oltre al titolare e alla moglie, due dipendenti, nelle persone dell’odierno instante e del collega [Omissis]

A fronte della necessità di ridurre il costo del lavoro, determinata da un progressivo calo del fatturato, l’azienda ha quindi ritenuto di risolvere il rapporto con il ricorrente.

Orbene, pur volendo dare credito alla tesi di parte convenuta circa la situazione di crisi finanziaria e di riduzione delle commesse di lavoro, si osserva che non è stata dimostrata la sussistenza del nesso causale fra la crisi aziendale e la soppressione della specifica posizione lavorativa del ricorrente.

Invero, i dati che emergono dai bilanci, se possono valere a denotare l’andamento negativo dell’attività, tuttavia nulla dicono circa la necessità di privarsi proprio della prestazione lavorativa offerta dall’odierno instante.

In tal senso, la società convenuta non ha affatto dimostrato l’esistenza di obiettive ragioni che abbiano imposto o consigliato di licenziare proprio il ricorrente e non l’altro dipendente sig. [Omissis]

In altri termini, ove pure si ritenesse legittima e giustificata la decisione di ridurre il personale a causa della contrazione delle commesse di lavoro, non potrebbe addivenirsi allo stesso giudizio di legittimità e giustificatezza in relazione alla scelta dell’unità da licenziare.

Sull’argomento i giudici di legittimità hanno statuito che “L’esigenza, derivante da ragioni inerenti all’attività produttiva, di ridurre di una o più unità il numero dei dipendenti dell’azienda, se non dà luogo ad una ipotesi di licenziamento collettivo, regolata dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 (la cui applicabilità è riservata a fattispecie specificamente individuate), può di per sé concretare un giustificato motivo obiettivo di licenziamento individuale, la cui legittimità dipende, tuttavia, dalla ulteriore condizione della comprovata impossibilità di utilizzare “aliunde” il lavoratore licenziato, ovvero dal rispetto delle regole di correttezza di cui all’art. 1175 cod. civ. nella scelta del lavoratore licenziato fra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in riferimento ad una situazione in cui le generiche ragioni produttive di riduzione del personale non si prospettavano rispetto ad una individuata lavoratrice tra gli addetti ad attività impiegatizie, ma ad una generica posizione di lavoro, aveva ritenuto sussistente il giustificato motivo oggettivo sulla base del mero nesso di causalità tra la generica necessità di riduzione e il licenziamento, di per sé privo di sufficiente funzione individualizzante del lavoratore licenziabile, sicché la selezione tra i vari lavoratori interessati non avrebbe potuto essere compiuta liberamente, ma con applicazione analogica dei criteri previsti dall’art. 5 della legge n. 223 del 1991, quali i carichi di famiglia e l’anzianità)” (Cass. sez. lav. n. 11124 del 11/06/2004); nello stesso senso, “In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, se il motivo consiste nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, – in relazione al quale non sono utilizzabili né il normale criterio della posizione lavorativa da sopprimere, né il criterio dalla impossibilità di “repechage” – il datore di lavoro deve pur sempre improntare l’individuazione del soggetto (o dei soggetti) da licenziare ai principi di correttezza e buona fede, cui deve essere informato, ai sensi dell’art. 1175 cod. civ., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse” (Cass. sez. lav. n. 7046 del 28/03/2011; cfr. anche Cass. Sez. L, sentenza n. 25192 del 07/12/2016).

Nella fattispecie in esame, la documentazione versata in atti e le risultanze dell’istruttoria orale hanno confermato che gli unici due dipendenti in servizio avevano pari anzianità (aprile 2009) e inquadramento (3° livello), e che in concreto svolgevano mansioni pienamente fungibili fra loro e sovrapponibili (cfr. anche interrogatorio formale reso dal ricorrente).

In verità, con riguardo alla documentazione prodotta da parte convenuta, occorre evidenziare che per il ricorrente è stata depositata la busta paga di agosto 2014, invece per il sig. [Omissis] quella di maggio 2015, dunque di epoca successiva rispetto al licenziamento qui impugnato: ciò non consente di verificare se alla data del settembre 2014 (epoca del recesso) i due lavoratori avessero effettivamente pari inquadramento e retribuzione, ma si ritiene di poter superare tale incertezza sulla base delle testimonianze e delle ammissioni del ricorrente nel corso dell’interrogatorio formale, dalle quali emerge che entrambi i dipendenti svolgevano sostanzialmente le medesime attività.

Dunque, a fronte di tale piena fungibilità, in conformità all’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato (ben ripercorso da Cass. 25192/2016 cit.), la società avrebbe dovuto seguire i criteri di correttezza e buona fede nella selezione del lavoratore da licenziare, valutando, per esempio, i carichi di famiglia: dai prospetti paga risulta che il ricorrente aveva a proprio carico sia la moglie che i figli, a differenza del collega [Omissis], che aveva solo i figli (le detrazioni per carichi familiari erano infatti maggiori per il ricorrente).

Ancora, quanto all’anzianità di servizio, vero è che le due buste paga indicano la medesima data di assunzione (aprile 2009) per entrambi i dipendenti; tuttavia, il ricorrente ha dedotto e documentato di aver prestato la propria attività sin da epoca precedente, in particolare a partire dal luglio 2003 in virtù di successivi contratti (cfr. contratto di assunzione del 14.07.03 alle dipendenze della [Omissis] e [Omissis], cui è poi subentrata la s.a.s. qui convenuta): tale circostanza non è stata specificamente contestata dalla controparte, sicché deve ritenersi acquisita al giudizio.

Ne consegue che, di fatto, il ricorrente era il più anziano e provetto, avendo maturato maggiore esperienza nel settore di operatività dell’azienda.

Appare dunque irragionevole la decisione aziendale di risolvere il rapporto di lavoro proprio con tale unità.

Né può assumere alcuna rilevanza il fatto che il ricorrente avesse subito un infortunio sul lavoro, con riduzione della capacità lavorativa.

Premesso che non v’è alcuna prova di tale riduzione, del suo carattere permanente, della sua entità, della sua incidenza sulle mansioni svolte, è dirimente la considerazione che il licenziamento in questione non è stato intimato per presunta inidoneità fisica (parziale o totale) del dipendente, bensì per far fronte a una “precaria situazione finanziaria”; e comunque la società non ha affatto dimostrato l’eventuale incidenza negativa di tale infortunio sul rendimento lavorativo del ricorrente, tale da consentire di preferirgli, nella scelta del dipendente da mantenere in servizio, il collega [Omissis]

Deve quindi ritenersi accertata l’illegittimità del licenziamento, stante la mancanza di giustificato motivo oggettivo nei termini sopra esposti.

Con riguardo alle conseguenze di tale illegittimità, va fatta applicazione della tutela obbligatoria di cui alla l. 604/66, essendo pacifico che la convenuta non occupava all’epoca del licenziamento più di 15 dipendenti.

La società resistente deve perciò essere condannata alla riassunzione del lavoratore entro il termine di tre giorni o, in mancanza, al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 8 l. 604/66, da determinarsi in misura pari a 4 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (pari a € [Omissis], cfr. ultima busta paga), tenuto conto, complessivamente, della durata media del rapporto di lavoro, delle medie dimensioni della ditta datrice, del ridottissimo numero di dipendenti occupati e del carattere “sostanziale” dell’illegittimità del licenziamento.

La peculiarità e opinabilità della questione affrontata consentono di disporre la compensazione nella misura della metà delle spese del giudizio, che per la restante metà vanno invece poste a carico della convenuta.

La liquidazione, affidata al dispositivo che segue, è effettuata sulla scorta dei parametri di cui al d.m. 10 marzo 2014, n. 55. Per la determinazione del compenso si ha riguardo ai valori previsti dalle tabelle allegate al citato d.m. 55/14 in relazione alla tipologia di causa (procedimento in materia di lavoro), al valore della controversia (indeterminabile basso, dunque scaglione compreso fra € 26.000,00 ed € 52.000,00) e alle fasi in cui si è articolata l’attività difensiva espletata nel presente giudizio (quindi con fase istruttoria). Deve tenersi conto dei valori medi previsti dal d.m. cit., con riduzione nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto della non particolare complessità delle questioni trattate. Va inoltre liquidata una somma pari al 15% del compenso totale per la prestazione a titolo di rimborso spese forfettarie (art. 2 d.m. 55/14).

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da [Omissis] con ricorso depositato in data 19.12.2014 nei confronti della [Omissis] s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, così provvede:

– accoglie la domanda e, per l’effetto, accerta l’illegittimità del licenziamento impugnato e condanna la società convenuta alla riassunzione del ricorrente entro il termine di tre giorni o, in mancanza, al pagamento in suo favore dell’indennità ex art. 8 l. 604/66 in misura pari a 4 (quattro) mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (€ [Omissis]), oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sino al soddisfo;

– liquida le spese di lite in favore del ricorrente in complessivi [Omissis], con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi anticipante, e che compensa per la metà residua.

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