Promessa del fatto del terzo e mancata assunzione dell’obbligo da parte di quest’ultimo: indennizzo o risarcimento del danno? Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 13/05/2021, n. 12897

By | 29/07/2021

CASS. CIV., SEZ. III, ORDINANZA 13/05/2021, N. 12897

«L’articolo 1381 c.c. prevede, quale conseguenza della mancata assunzione, da parte del terzo, dell’obbligazione o del mancato compimento del fatto promesso, il pagamento di un indennizzo, diverso dal risarcimento del danno il quale spetta quando il promittente non assolva al proprio compito e cioè non si adoperi con la dovuta diligenza presso il terzo, violando così i propri doveri di correttezza e buona fede, nel qual caso il promissario può avvalersi dei rimedi predisposti contro l’inadempimento e richiedere, in presenza del necessario nesso di causalità, il risarcimento in parola; se invece il promittente abbia assolto diligentemente al suo obbligo di attivazione, ma, nonostante ciò, il terzo abbia rifiutato la prestazione o l’assunzione dell’obbligazione, si verifica la situazione in presenza della quale la norma sopra evocata riconosce al promissario l’indennità a carico del promittente, indipendentemente da ogni valutazione sul comportamento di quest’ultimo» (Massima non ufficiale)

RILEVATO

Che:

[Omissis] conveniva in giudizio [Omissis], [Omissis], [Omissis], [Omissis], esponendo che:

– era socio di una società cooperativa a responsabilità limitata in liquidazione;

– alcuni soci, quindi evocati in lite, si erano accordati per costituire una nuova cooperativa a responsabilità limitata con le medesime funzioni, assumendo l’impegno di ammettere il deducente quale socio;

– l’impegno era stato riversato in una scrittura sottoscritta dai menzionati soci e accettata dal deducente;

– la società era stata costituita, nel luglio 2006, e nell’aprile 2007 aveva chiesto l’ammissione alla stessa;

-il giugno successivo il consiglio di amministrazione comunicava il rigetto dell’ammissione per carenza di requisiti soggettivi introdotti da una modifica allo statuto del marzo 2007;

-aveva fatto ricorso all’assemblea, come da statuto, ma senza ottenere risposta, sicché spettava l’indennizzo, se non il risarcimento, ai sensi dell’articolo 1381 c.c., tenuto conto che la modifica statutaria era stata effettuata proprio al fine di inibire il suo ingresso in società; i convenuti deducevano l’infondatezza della pretesa, atteso che [Omissis] era stato invitato a partecipare all’atto costitutivo senza però presentarsi dal notaio;

il Tribunale rigettava la domanda escludendo l’inadempimento dei convenuti, e osservando che era stato invece l’attore a chiedere l’ammissione quando non era più, possibile in ragione della modifica statutaria;

la Corte di appello dichiarava inammissibile il gravame rilevando che le domande di indennizzo e risarcimento non erano cumulabili basandosi su presupposti differenti, solo la seconda implicando una condotta illegittima, e, mentre davanti al primo giudice erano state contraddittoriamente evocate, in seconde cure la pretesa aveva avuto una netta impronta risarcitoria tale da doversi qualificare nuova e quindi preclusa;

avverso questa decisione ricorre per cassazione [Omissis] articolando quattro motivi, corredati da memoria e avversati da controricorso.

RILEVATO

Che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1381 c.c., articolo 345 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato affermando illogicamente una inesistente impossibilità di cumulare la domanda risarcitoria e di indennizzo, invece proponibili alternativamente ovvero subordinatamente, e avrebbe altresì mancato di constatare che tali domande erano state introdotte in primo grado e coltivate in secondo;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che non era stata introdotta in secondo grado alcuna domanda nuova, ma semplicemente reiterate le pretese con l’unica differenza che davanti al Tribunale si era concluso per la spettanza dell’indennizzo “o” del risarcimento, e davanti al Collegio di successiva istanza richiedendo l’uno “e” l’altro: e d’altra parte, la Corte territoriale non avrebbe potuto dichiarare inammissibile l’intero gravame, ma solo la domanda pretesamente ritenuta nuova;

con il terzo motivo si prospetta, in relazione a quanto riassunto nelle prime due censure, la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, per motivazione in realtà meramente apparente e contraddittoria;

con il quarto motivo si prospetta, conclusivamente e complessivamente, la violazione della legge processuale per l’inammissibile formalismo con cui era stata obliterata l’effettività delle domande svolte;

Rilevato che:

i primi due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono il primo inammissibile e il secondo viceversa fondato, con assorbimento dei restanti;

la Corte territoriale ha correttamente affermato la diversità delle domande di risarcimento e indennizzo ex articolo 1381 c.c.;

l’articolo 1381 c.c. prevede infatti, quale conseguenza della mancata assunzione, da parte del terzo, dell’obbligazione o del mancato compimento del fatto promesso, il pagamento di un indennizzo, diverso dal risarcimento del danno il quale spetta quando il promittente non assolva al proprio compito e cioè non si adoperi con la dovuta diligenza presso il terzo, violando così i propri doveri di correttezza e buona fede, nel qual caso il promissario può avvalersi dei rimedi predisposti contro l’inadempimento e richiedere, in presenza del necessario nesso di causalità, il risarcimento in parola; se invece il promittente abbia assolto diligentemente al suo obbligo di attivazione, ma, nonostante ciò, il terzo abbia rifiutato la prestazione o l’assunzione dell’obbligazione, si verifica la situazione in presenza della quale la norma sopra evocata riconosce al promissario l’indennità a carico del promittente, indipendentemente da ogni valutazione sul comportamento di quest’ultimo (Cass., 05/09/1997, n. 8614, e successive conformi tra cui, ad esempio, Cass., 19/12/2003, n. 19472, Cass., 21/11/2014, n. 24853);

ora, seppur è vero che, di conseguenza, la diversità di “causa petendi” non ammette innovazioni della pretesa in appello, tuttavia nulla esclude, logicamente, la possibilità di prospettare domande alternative, allegando i fatti ed offrendoli alla qualificazione giudiziale;

parte ricorrente ha dimostrato di aver proposto le domande alternativamente in prime cure e di averle reiterate in secondo grado, sia pure concludendo sul punto con una congiuntiva “e” invece che disgiuntiva “o”, ma questo, se non poteva escludere la permanenza della ricostruita alternatività, d’altro canto non avrebbe potuto implicare l’inammissibilità del gravame;

in questa cornice, deve osservarsi che il primo motivo risulta a ben vedere inammissibile poiché la Corte di appello non ha affermato l’assunto divieto di cumulabilità, bensì ha delineato la propria ragione decisoria concludendo che solo in seconde cure, concretamente e inammissibilmente, era stata formulata la richiesta risarcitoria;

non misurandosi questa censura con la “ratio decidendi” effettivamente emergente, la stessa non è ammissibile;

viceversa, si è visto che le domande erano state sin dal primo grado cumulativamente e quindi, per ragioni logiche, alternativamente introdotte, sicché la seconda censura coglie, all’opposto, nel segno;

spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbiti gli altri, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di [Omissis] perché, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.

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