Massime di esperienza e mere congetture: solo le prime possono essere utilizzate a base del convincimento del giudice Cass. Civ., Lav., 20/05/2016, n. 10536


La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza qui in commento, ha affrontato il tema dell’adoperabilità delle massime di esperienza a base del convincimento del giudicante, in specie per l’accertamento del demansionamento di una dipendente e del conseguente danno derivatole.

Il fatto

La vicenda trae origine dalla richiesta di una lavoratrice di risarcimento del danno a carico del proprio datore di lavoro per inadempimento contrattuale derivante da demansionamento relativamente ad un determinato periodo lavorativo.

In particolare, alla dipendente in questione erano state affidate mansioni inferiori (addetta Ufficio studi) rispetto a quelle precedentemente svolte dalla medesima (addetta all’Ufficio beni storici ed antropologici dell’Assessorato della cultura), con consistente e significato svuotamento, per qualità e quantità, delle proprie attribuzioni.

In primo grado, la domanda formulata dalla dipendente veniva rigettata con una sentenza successivamente ribaltata in grado di appello, che statuiva la condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni (alla professionalità e biologico, come accertati nella consulenza tecninca) riportati dalla dipendente.

La pronuncia della Cassazione (Cass. Civ., Lav., 20/05/2016, n. 10536)

L’Amministrazione Provinciale di Roma, affidandosi ad un unico ed articolato motivo di ricorso, proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello territoriale.

La ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 C.C., degli artt. 112 e 115 C.P.C. e vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata

«genericamente motivato basandosi su pretesi riscontri della deposizione della teste C., il tutto in contrasto con la specifica motivazione resa dal Tribunale, con le controdeduzioni svolte dall’amministrazione e con i numerosi documenti acquisiti in corso di causa».

Contrariamente alle deposizioni acquisite in sede istruttoria, infatti, secondo la ricorrente in cassazione, dalla prova documentale prodotta nel processo, emergeva un atteggiamento antagonistico della dipendente rispetto alle mansioni affidatele all’Ufficio studi, mansioni che, oltretutto, di cui essa stessa ne aveva richiesto l’assegnazione.

Inoltre, sempre ad avviso della ricorrente, la sentenza gravata aveva erroneamente riconosciuto il danno biologico, patito dalla da quest’ultima, sulla scorta di una CTU che si era limitata ad un giudizio meramente probabilistico di compatibilità causale (e non di probabilità qualificata) tra il disturbo dell’adattamento cronico di grado lieve con ansia e umore depresso e le condizioni lavorative (giudizio, quest’ultimo, peraltro emesso sulla base delle sole dichiarazioni della ricorrente, senza altro tipo di riscontro).

Il motivo è infondato, sostiene la Corte, per le ragioni che seguono.

Da una parte, infatti, il motivo non merita accoglimento in quanto in sede di legittimità non è ammesso il vaglio in punto di fatto delle differenti letture ipotizzate in ricorso, dovendo la Corte di legittimità limitarsi al sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione delle risultanze probatorie, nonché la correttezza del ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice.

Quanto alle massime di esperienza, soggiunge la Corte, il loro controllo in sede di legittimità non può comunque spingersi fino a sindacarne la scelta, dovendo la Corte limitarsi a verificare che il giudice di merito

«non abbia confuso con massima di esperienza quelle che sono, invece, mere congetture».

Ciò posto, la Corte delinea la differenza di significato tra i due concetti: mentre le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendente dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a decidere, le (mere) congetture sono, invece, ipotesi non fondate sullid quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica, ovvero pretese regole generali che risultano privi di qualunque pur minima plausibilià.

Solo le massime di esperienza possono, perciò, essere utilizzate come premesse maggiori dei sillogismi giudiziari.

Nel caso che ha occupato la Corte, il ricorso non rilevava l’uso di inesistenti massime di esperienza né violazioni di regole inferenziali, ma si limitatava a segnalare soltanto difformi valutazioni sugli elementi raccolti, richiedendo un accertamento che  – in presenza di una motivazione congrua ed esente da vizi logici – alla Cassazione era precluso.

La Corte ritiene inoltre che il demansionamento possa essere presunto: correttamente il giudice d’appello ha correttamente ricavato una presumptio hominis di impoverimento professionale prioettato nel futuro, presunzione, in quanto tale, non richiede la dimostrazione positiva d’una vera e propria impossibilità di aggiornamento.

Il motivo dedotto è stato infine ritenuto infondato anche sotto il profilo del vizio di motivazione in merito alla consulenza tecnica, in quanto non fondato sulla palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica.

Documenti & materiali

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Author: Avv. Francesca Serretti Gattoni

Avvocato, nata a Pesaro il 24 febbraio 1982. Iscritta all’Albo degli Avvocati di Pesaro dal 2010. Autrice e componente della redazione. Cura, in particolare, la sezione lavoro di Ragionando_weblog - ISSN 2464-8833

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